Dalla Moscova al Bosforo, dal Danubio al Tevere: tre fiumi, uno stretto, quattro città, quattro ‘Rome’ di diversa impronta religiosa. L’originaria all’ombra di San Pietro; la seconda simbolo dell’ortodossia russa; la terza dell’ortodossia costantinopolitana; la quarta (introdotta nell’elenco con qualche forzatura) già sede del Sacro Romano Impero, che, fondato da Carlo Magno, dal XVI secolo fu presieduto (guscio prezioso ma ormai vuoto) dalla Casa d’Asburgo. Quattro Rome in un pellegrinaggio, quello promosso a luglio dalla Fondazione statunitense Urbi et Orbi, creata da Robert Moynehan al fine di incrementare lo sviluppo del dialogo ecumenico cattolico-ortodosso attraverso occasioni di incontro di tipo prevalentemente culturale e in sintonia con gli impulsi dati del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani presieduto dal cardinale Kurt Koch.
Dal 13 al 24 luglio il piccolo gruppo di pellegrini (quasi tutti statunitensi) ha potuto così incontrare e ascoltare alcune figure significative per i rapporti cattolico-ortodossi. Tra gli altri, a Mosca, il metropolita Hilarion e il portavoce del Patriarcato Vsevolod Chaplin; a Istanbul il patriarca Bartolomeo; a Vienna il cardinale Erdö e a Roma il vescovo Farrell, segretario del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Un’esperienza di sicuro non comune per un pellegrinaggio, che è stata molto apprezzata da tutti i partecipanti.
Partiamo allora da Mosca, dove, dopo aver ascoltato da un sacerdote e una suora dettagli sulla vita quotidiana dei cattolici al tempo dell’Unione sovietica, il gruppo è stato ricevuto dal metropolita Hilarion e dal portavoce Chaplin. Con il metropolita si è parlato dell’auspicata creazione a Roma di un’Accademia russa di cultura (un po’ sul modello dell’Académie de France), un’idea già avanzata anni fa da Giovanni Maria e Paolo Vian, così da poter approfondire la conoscenza e dunque la comprensione della cultura (ivi compresa la spiritualità) del mondo russo. Cultura perciò come strumento anche di un fecondo dialogo ecumenico. Come del resto ben sa il Pontificio Consiglio competente che in autunno probabilmente studierà un incremento degli scambi culturali con il Patriarcato di Mosca. A Mosca i pellegrini hanno potuto poi ascoltare, in un’interpretazione molto intensa dell’Ave Maria schubertiana, un coro di giovani disabili provenienti dalla Siberia: “Speriamo di poterli portare l’anno prossimo negli Stati Uniti per un concerto”, auspica Robert Moynihan, fondatore e direttore tra l’altro del mensile cattolico Inside the Vatican.
Molto stimolante l’incontro di Istanbul con il patriarca Bartolomeo, un incontro suggerito dal metropolita Ghennadios in occasione del recente Forum ortodosso-cattolico di Minsk, cui la Fondazione era presente. Al Fanar il patriarca ha rievocato con il gruppo i suoi tre anni a Roma, durante il Concilio, ospite del Seminario francese presso la Minerva: “A cena si parlava delle maggiori questioni conciliari con alcuni grandi teologi francesi”. Ribadendo con forza il suo desiderio di rafforzare le relazioni con il mondo cattolico, Bartolomeo ha ricordato i suoi recenti incontri con papa Francesco in Terra Santa e in Vaticano per l’ ‘Invocazione per la pace’. Aggiungendo che il Papa ha accettato il suo invito a venire a Istanbul per la grande festa ortodossa di sant’Andrea apostolo. Se il governo turco acconsentisse, la visita avverrebbe già per il prossimo 30 novembre. I pellegrini sono stati invitati poi alla celebrazione dei Vespri cantati in lingua greca e celebrati dal patriarca insieme con cinque sacerdoti. Per l’occasione Bartolomeo ha ricordato l’anniversario dell’ordinazione episcopale del suo predecessore Athenagora. Il gruppo ha incontrato nel soggiorno a Istanbul anche padre Francesco, che cura il piccolo gregge cattolico dell’ex-Costantinopoli.
Nell’intenso e corposo incontro di Vienna il cardinale Peter Erdoe (in vacanza in Austria) ha parlato della delicata sfida antropologica in Europa, constatando tra l’altro la grave crisi in cui versa la famiglia. A Roma invece è il vescovo Brian Farrell che ha ricevuto – insieme con il padre domenicano francese Hyacinthe D’Esteville, che ha vissuto cinque anni a San Pietroburgo – i pellegrini. Con il segretario del Pontificio Consiglio si è parlato anche dei piccoli progetti di aiuto al dialogo sostenuti dalla Fondazione, che ha ad esempio contribuito all’organizzazione di concerti, all’attività di un gruppo di disabili a Kharkiv in Ucraina o, sempre in Ucraina, ha fatto una piccola donazione al Centro San Clemente di Kiev, diretto da uno studioso ortodosso di grande valore e molto aperto culturalmente come Konstantin Sigov.
La ventunenne studentessa svedese Lovisa ha ricavato dal pellegrinaggio un’ottima impressione, così come gli altri partecipanti provenienti da varie parti degli Stati Uniti. Soprattutto le è piaciuto che il viaggio sia stato posto sotto il segno dell’ascolto delle esperienze altrui. Per Lovisa, tramite l’ascolto, si viene a meglio comprendere che gli altri sono sì differenti da noi e tra loro, ma in tutti emergono punti comuni importanti che uniscono e sui quali si può costruire un dialogo quotidiano solido. Lovisa è stata colpita ad esempio dal fatto che la chiesa cattolica a Istanbul è frequentata anche da musulmani e a Vienna dalla riflessione del cardinale Erdö sulla famiglia oggi: tanti giovani, ha detto il relatore generale al prossimo Sinodo sulla famiglia, non vogliono più sottostare a strutture matrimoniali. Per Lovisa è anche perché si tende prima di tutto a ricercare una stabilità individuale oggi difficile da trovare.
Nei giorni romani i pellegrini si sono recati anche al santuario abruzzese di Manoppello: un’altra e ultima, per questa volta, esperienza spiritualmente intensa.
COLLABORAZIONE TRA LE DIVERSE ROME ANCHE PER AIUTARE I CRISTIANI DEL MEDIO ORIENTE
I giorni drammatici con cui ci dobbiamo confrontare dovrebbero spingere ancora di più le diverse Rome a collaborare tra loro per aiutare concretamente i fratelli nella fede che vivono nella martoriata regione mediorientale: lo rileva Robert Moynehan che con la Fondazione Urbi et orbi intende contribuire a progetti già in atto ed anche a creare una rete di sostegno efficace per le famiglie e i bambini vittime della tragedia. Annunciata, aggiungiamo noi, e – un po’ perché i cristiani sono ‘fuori moda’, un po’ per le consuete e perverse ragioni di interesse economico e un po’ per paura di attentati terroristici in casa propria – intenzionalmente sottovalutata se non ignorata da quell’Occidente che tante e pesantissime responsabilità ha per quanto successo nella regione. Per non risalire più indietro, dalle invasioni dell’Iraq al sostegno alle cosiddette ‘primavere arabe’ all’appoggio concreto per i ribelli siriani. Ciò ha comportato tra l’altro la crescita militare di un feroce estremismo musulmano oggi ben installato in Iraq e in Siria, mentre incomincia purtroppo a tremare seriamente anche quel Libano che si regge da sempre su equilibri politico-religiosi fragilissimi.
Fonte: Rossoporpora