Ha esordito con una buona dose di senso dello humour, papa Francesco all’incontro di ieri pomeriggio con il clero della Diocesi di Caserta, avvenuto nella Cappella Palatina della Reggia.
Dopo l’indirizzo di saluto del vescovo di Caserta, monsignor Giovanni D’Alise, il Santo Padre ha scherzato sulla dilazione della visita in due giorni (ieri e domani).
“Sono contento e mi sento un po’ colpevole di avere combinato tanti problemi nel giorno della festa patronale”, ha detto, sottolineando di aver preferito rimandare al lunedì successivo l’incontro con il pastore Giovanni Traettino, per non farla coincidere, per ragioni di opportunità, con la festa patronale di Sant’Anna.
“E subito ho pensato: Il giorno dopo sui giornali ci sarà: nella festa patronale di Caserta il Papa è andato dai protestanti. Bel titolo, eh?”, ha ironizzato il Papa.
Rispondendo a una domanda del vicario generale, monsignor Antonio Pasquarello, in merito ad alcune conflittualità territoriali e burocratiche riscontrate nella diocesi casertana, il Santo Padre ha ricordato che è “brutto quando i Vescovi sparlano uno dell’altro, o fanno cordate”: in tal modo “si rompe l’unità della chiesa”.
Ha poi rievocato i primi Concili, quando molti vescovi “arrivavano anche ai pugni” ed ha aggiunto: “io preferisco che si gridino quattro cose di quelle forti e poi si abbraccino e non che si parlino di nascosto uno contro l’altro”.
È giusto che i vescovi siano d’accordo tra loro, ha spiegato il Santo Padre, purché, “nell’unità, non nell’uniformità. Ognuno ha il suo carisma, ognuno ha il suo modo di pensare, di vedere le cose: questa varietà a volte è frutto di sbagli, ma tante volte è frutto dello stesso Spirito”.
Alla domanda di un parroco in merito alla possibilità di una “pastorale che senza mortificare la pietà popolare, possa rilanciare il primato del Vangelo”, il Papa ha citato la Evangelii Nuntiandi, di Paolo VI, che ricordava come talora la pietà popolare debba essere in un certo senso “evangelizzata”, in modo da evitare il rischio che essa possa “non avere un’espressione di fede forte”.
Parlando degli apostolati giovanili, in particolare sulla scorta della sua esperienza nella diocesi di Buenos Aires, Bergoglio ha affermato che in tali iniziative vi è “qualcosa della pietà popolare”.
Anche nei “santuari”, ha aggiunto, si può riscontrare “gente semplice, peccatrice ma santa” dalla quale traspare un “senso evangelico”: dietro le “miserie” raccontate in confessionale da questi fedeli, c’è sempre “la grazia di Dio che li conduce a questo momento”.
In una conversazione successiva, Francesco si è soffermato sul dono della “creatività” che è stato di grande aiuto per molti apostoli del passato, a partire da Pietro e Paolo, e che non è possibile ottenere se non nella preghiera.
La creatività spirituale ha una dimensione di “trascendenza”, sia rispetto a Dio che rispetto al prossimo. “Non bisogna essere una Chiesa chiusa in sé, che si guarda l’ombelico, una Chiesa autoreferenziale, che guarda se stessa e non è capace di trascendere”, ha ribadito il Santo Padre.
Fare apostolato significa fare i conti con il “dialogo”, il quale comunque necessita che non si rinunzi mai alla propria “identità”, che però non va confusa con il “proselitismo” che è una “trappola”. La Chiesa, infatti, come già aveva affermato Benedetto XVI, “cresce non per proselitismo, ma per attrazione”. E l’attrazione consiste proprio nella “empatia umana che poi viene guidata dallo Spirito Santo”.
Il prete del XXI secolo, quindi, sarà principalmente un “uomo di creatività” che, attraverso la preghiera, “si avvicina alla gente”.
Nell’ultimo botta-e-risposta, papa Francesco ha raccomandato che i sacerdoti diocesani sappiano intrecciare un rapporto gioioso, costruttivo, franco e all’insegna dell’obbedienza con il proprio vescovo, al di là delle possibili divergenze caratteriali.
Anche in queste dinamiche, il “nemico più grande” sono “le chiacchiere” che, sovente, secondo il Pontefice sono la “conseguenza di una vita celibataria vissuta come sterilità, non come fecondità”.
L’amarezza e la rabbia possono segnare anche la vita dei sacerdoti, tuttavia, in essi, dovranno sempre prevalere la “doppia fedeltà” e la “doppia trascendenza” del legame con Dio e con gli uomini.