Le immagini lo ritraggono mentre, abbracciato a sua moglie, ammira le bellezze di Parigi a bordo di un battello che salpa sulla Senna. Approfitta del servizio che la tv brasiliana Globo sta preparando sulla sua biografia, il calciatore Thiago Silva, per concedersi un momento di romantico relax nella città in cui lavora come difensore della squadra del Paris Saint Germain.
Un mestiere non come gli altri, quello del calciatore a certi livelli; un mestiere che concede guadagni in abbondanza e notorietà. Privilegi che rischiano di logorare chi li possiede ma che di fatto vi si lascia possedere. È il caso di tanti sportivi che, attratti dal fascino della fama che li precede, finiscono per correre sì, ma fuori dal campo da gioco, dietro ai feticci dello star system.
Thiago Silva invece, corre e suda soltanto dentro al rettangolo verde, dietro al pallone e agli attaccanti avversari. Nella vita preferisce andare piano, riflettere prima di parlare ed assumere un atteggiamento sobrio e dignitoso dinanzi alle telecamere. Lo si è visto lo scorso 9 luglio quando, allo stadio di Belo Horizonte, si è consumata la peggiore disfatta della storia per la Nazionale brasiliana. Una sconfitta per 7 a 1, contro la Germania, che resterà un marchio sciagurato, impresso sulla pelle dei tifosi e dei giocatori brasiliani vita natural durante.
Il capitano della compagine verdeoro, Thiago Silva, ha assistito all’ecatombe calcistica dei suoi compagni dalla tribuna, per via di una squalifica rimediata nella partita precedente. Le tv di tutto il mondo lo hanno immortalato mentre, sguardo contrito, teneva le mani tra i capelli. A fine partita poi, è sceso giù in campo, ha abbracciato i compagni ancora segnati in volto per l’umiliazione e, insieme a loro, ha alzato le braccia verso i propri tifosi, in segno di scusa. Gesto, quello di scusarsi con il popolo brasiliano, che ha infine ripetuto davanti ai microfoni dei giornalisti.
Del resto da una sconfitta, pur ponderosa che sia, si può sempre uscire. Un insegnamento che Thiago Silva ha imparato lungo il corso della sua vita, forgiata nel contesto duro e pericoloso di una tra le peggiori favelas di Rio de Janeiro, quella di Santa Cruz. È qui che il fuoriclasse brasiliano ha dovuto lottare per crescere e arrivare fin dove oggi è arrivato, schivando la tentazione di anestetizzare miseria e segregazione con il ricorso “facile” alla criminalità.
Con la lotta, Thiago Silva ci ha avuto a che fare a 14 anni, quando per una tubercolosi ha rischiato di morire. Ma, prima ancora, la lotta l’ha conosciuta senza esserne ancora cosciente. È quella che ha affrontato sua madre Angela esattamente trent’anni fa, incalzata da una vita che le stava crescendo in grembo e dal dissennato desiderio di interrompere quel prodigioso processo vitale.
La stessa Angela racconta quei momenti nel corso dello speciale su Thiago Silva andato in onda su Globo. “Papà, non vorrei abortire, ma non sono nelle condizioni di avere un bambino”, disse disperata a suo padre, con il pianto che le spezzava le parole e aspergeva la spalla del futuro nonno del fuoriclasse brasiliano. L’uomo ascoltò la figlia, cercando di dissuaderla con cura e con fermezza allo stesso tempo. “Me lo impedì - spiega oggi la donna -, mi disse che non potevo commettere un peccato”. Quel concetto, che oggi qualcuno - nella cultura dominante - vorrebbe diluire con gocce di falsa misericordia, penetrò lentamente nel cuore di Angela aprendolo all’amore per una nuova vita.
Fu così che si convinse a portare avanti la gravidanza, sino a quel fatidico 22 settembre 1984, giorno in cui Thiago Silva venne alla luce. Tra il fango di una favelala famiglia non gli avrebbe garantito un’esistenza facile, ma felice sì, grazie all’amore per un figlio arrivato all’improvviso, e alla fine accolto come un dono. Un dono venuto dall’alto, come lo stesso Thiago Silva in cuor suo sa. E se l’è scritto pure sulla pelle, con un tatuaggio che recita: “Non posseggo il mondo, ma sono il figlio di chi lo possiede”.