La croce che domina la città

In un’epoca di conflitto tra Stato e Chiesa, l’impegno di un parroco per rendere il principale segno del cristianesimo “ben visibile” a tutta una città

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Fra le belle colline che stanno alle spalle della città di San Benedetto del Tronto, ce n’è una che si chiama “Monte della Croce”. Essa prende il nome dalla grande croce che vi è piantata e che domina la città. Ogni sambenedettese la può ammirare. Ma quanti ne conoscono la storia?

Quello che oggi si chiama, appunto, Monte della Croce, in passato era conosciuto come Monte Sereno o Monte di Aniceto. Infatti qui, il 22 dicembre del 1822, perse la vita un abitante di San Benedetto, tale Aniceto Merlini. Siccome il soprannome di Aniceto era “Muscio”, talvolta veniva anche chiamato “Monte di Muscio”.

Il Monte prese l’attuale nome quando nel 1901 Mons. Francesco Sciocchetti, santo sacerdote e benemerito parroco della Chiesa della Madonna della Marina, volle ergervi una croce a perpetuo ricordo del giubileo del 1900. Come spesso avveniva nei tempi passati, si fece una colletta e, grazie alla generosità del popolo sambenedettese, la realizzazione dell’opera venne affidata al fabbro Nazzareno Bruni.

A quel tempo fra Stato e Chiesa c’era un gran conflitto, la “questione romana” non era ancora stata risolta e la conciliazione fra l’Italia e il Vaticano sarebbe avvenuta solo una trentina di anni dopo con i Patti Lateranensi. Il clima culturale non era particolarmente favorevole alla religione. Proprio per questo Mons. Sciocchetti volle che il principale segno del cristianesimo potesse essere ben visibile da tutta la città.

Per amore di quella croce Mons. Sciocchetti passò anche dei guai giudiziari in una vicenda che ricorda in qualche modo il Don Camillo e il Peppone di Giovannino Guareschi. La croce era issata su un terreno che era di proprietà della parrocchia della Marina. Il primo maggio un fervente anticlericale chiamato Romolo (detto “Canarone”) issò sulla croce una bandiera rossa. L’energico parroco, avvertito del fatto, si recò sul posto e la rimosse.

Romolo ne pretese la restituzione, ma, evidentemente davanti ad un diniego di Mons. Sciocchetti, lo citò in giudizio e il nostro fu convocato in pretura. Al giudice che gli domandava dove si trovasse in quel momento la bandiera, rispose che l’aveva seppellita nel letamaio provocando le risa e gli schiamazzi dei presenti! Nonostante la “sfrontatezza” del monsignore, contro di lui non si configurava nessun tipo di reato e pertanto venne assolto per non aver commesso il fatto. Ciò provocò l’ira di Romolo che in seguito cercò di disturbare più volte il povero prete mentre celebrava la messa. L’episodio è riportato anche in una poesia nella quale Mons. Sciocchetti volle riassumere la propria vita.

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Nicola Rosetti

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