L'Europarlamento condanna il governo del Sudan per il caso di Meriam

Approvata dall’Assemblea di Strasburgo una risoluzione in cui si esorta il Sudan a proteggere l’identità religiosa delle minoranze, contrastando le discriminazioni

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Il Parlamento Europeo ha concluso giovedì scorso, 17 luglio, la sessione plenaria approvando una durissima risoluzione relativa al caso Meriam Yahia Ibrahim, la madre sudanese arrestata e condannata a morte per impiccagione con l’accusa di apostasia, nonostante la gravidanza avanzata.

Il testo parlamentare condanna le pratiche e le norme che in Sudan discriminano le minoranze religiose e negano alle donne pari diritti e dignità. In particolare, l’assemblea di Strasburgo si scaglia contro “la detenzione ingiustificata di Meriam”, esortando il governo del Sudan “ad abrogare tutta la legislazione che discrimina in base al genere o alla religione e a proteggere l’identità religiosa delle minoranze”. 

Meriam, liberata dopo circa otto mesi di prigioni, è rifugiata attualmente nell’ambasciata statunitense di Karthum insieme alla sua famiglia, a causa diun cavillo burocratico legato al suo passaporto che le impedisce di lasciare il Paese per volare in America, come richiesto dalla diplomazia degli Usa. Questo, dopo aver subito in prigione ogni tipo di tortura e umiliazione, colpevole di aver sposato un uomo cristiano ‘rinunciando’ così alla fede islamica paterna.

Un dato, questo, smentito dalla stessa donna in tribunale e ricordato anche dal Parlamento europeo nella sua risoluzione in cui si ribadisce che Meriam è stata educata da sempre al cristianesimo dalla madre etiope, mentre il padre, musulmano sudanese, è andato via di casa quando lei aveva solo tre anni. Quindi non aveva alcun fondamento l’accusa “di adulterio da parte della famiglia paterna, che l’ha denunciata alle autorità per aver sposato un cristiano”. 

Tra i patimenti subiti dalla giovane 27enne dietro le sbarre, il più “degradante e inumano” – come affermano gli eurodeputati – è stato sicuramente l’esser stata costretta a partorire la sua secondogenita, Maya, in prigione, “incatenata e fisicamente trattenuta”. Su questo punto, i parlamentari nel testo approvato invitano le autorità del Sudan a “garantire che tutte le donne incinte o puerpere che sono detenute ricevano un’adeguata e sicura assistenza sanitaria materna e neonatale”.

Inoltre, viene ribadito che “la libertà di coscienza, di credo e di religione è un diritto umano universale che deve essere protetto ovunque e per tutti”, secondo anche gli obblighi internazionali relativi alle convenzioni Onu e dell’Unione africana sottoscritte.

Traendo spunto, dunque, dalla drammatica vicenda della madre cristiana, l’Europarlamento “esige” pertanto che il governo sudanese – in linea con i diritti umani universali – “abroghi tutte le disposizioni di legge che penalizzano o discriminano le persone per le loro convinzioni religiose, perché cambiano religione o credo o per aver indotto altri a cambiare religione o credo, soprattutto quando i casi di apostasia, eterodossia o conversione sono punibili con la morte”.

L’esortazione è quindi ad intraprendere “con il sostegno della comunità internazionale”, una “urgente riforma giuridica al fine di tutelare i diritti umani e le libertà fondamentali”, in modo da contrastare “ogni forma di “discriminazione contro le donne, le minoranze e i gruppi svantaggiati”. 

(S.C.)

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Per il testo integrale della risoluzione del Parlamento Europeo cliccare qui

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ZENIT Staff

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