Un membro della Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori ha smentito le accuse da parte di alcuni gruppi di vittime di abusi che l’incontro di Papa Francesco, lunedì scorso, con sei persone che avevano subito abusi sessuali da parte di membri del clero sia stato solo una “trovata per le pubbliche relazioni”. Si tratta del gesuita padre Hans Zollner, presente a due degli incontri personali del Pontefice con le vittime, che ha concesso a ZENIT l’intervista che riportiamo di seguito.
Presidente del comitato direttivo del Centro per la Protezione dell’Infanzia dell’Istituto di Psicologia presso la Pontificia Università Gregoriana, padre Zollner non solo condivide gli impegni di Papa Francesco nel combattere i problemi di abusi, ma anche spiega che le sue azioni si pongono in perfetta continuità con l’impegno di Benedetto XVI verso questa problematica. Il Papa emerito era infatti, per il gesuita e per tutti coloro a conoscenza di questo grave problema, un vero “eroe” della lotta contro gli abusi, che ha fatto tutto ciò che si poteva fare per impedire che essi continuassero in seno alla Chiesa.
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Potrebbe descrivere il suo ruolo nella Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori istituita dal Santo Padre? Quale compito dovrà svolgere?
Al momento, tutti noi, eccetto il cardinale O’Malley, abbiamo lo stesso ruolo. L’arcivescovo di Boston è il coordinatore del gruppo, della Commissione, degli altri sette membri, e dei lavori per la tutela dei minori. Tutti gli altri sette siamo uguali. Siamo in procinto di aggiungere nuovi membri, come abbiamo chiesto al Santo Padre, provenienti magari da quei continenti di cui attualmente non abbiamo rappresentanti, come Africa, Asia e Oceania. Abbiamo lavorato domenica un bel po’ su questo, in modo da identificare una rosa di persone che potrebbe essere invitata. Ora attendiamo di vedere chi sarà nominato. Per il resto, ognuno dei membri ha proprie determinate competenze e conoscenze. Io lavoro al Centro per la Protezione dell’Infanzia presso l’Istituto di Psicologia dell’Università Gregoriana: lo abbiamo fondato per prevenire casi di abusi nei quattro continenti. Pertanto, io posso offrire la mia esperienza ei miei contatti di lavoro alla commissione nella linea della educazione e della prevenzione.
Quali sono, secondo lei, gli obiettivi primari della Commissione?
Sono tanti gli obiettivi che abbiamo identificato e che riteniamo una priorità per tutti noi, per la Chiesa stessa. Uno è che, in linea generale, il nostro lavoro, le nostre comunicazioni e la nostra presenza qui a Roma possano inviare un segnale a tutta la Chiesa e alla società che gli abusi su minori, sui figli, sugli adolescenti sono un problema grave in molti paesi il mondo. Vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica su questo argomento in modo da poterne discutere in quei luoghi dove finora non vi è alcuna attenzione su questi temi. In molti paesi, infatti, la situazione è diversa rispetto agli Stati Uniti o al Canada, dove questa discussione c’è d 30 anni, o in Irlanda dove c’è da 20. Dunque questo è il primo argomento.
Un altro obiettivo è assumere una consapevolezza di come si dovrebbe incontrare le vittime, come aiutarle e dar loro una voce per comunicare il dolore, la rabbia, la solitudine. L’incontro del Santo Padre con le sei persone a Santa Marta ha dimostrato come questo sia importante. Inoltre, è certamente una delle nostre priorità che il ritornello “Victims First” sia davvero messo in atto, che abbia effettivamente rilevanza e influenze politiche, verso gli atteggiamenti e i comportamenti dei superiori religiosi e dei vescovi. Tutti insieme abbiamo individuato gli obiettivi che sono legati al comportamento dei funzionari della Chiesa, così come tutti quegli obiettivi che il cardinale Sean O’Malley ha espresso nella conferenza stampa del 3 maggio, ad esempio, cosa fare per chiarire e definire i criteri della responsabilità episcopale. Inoltre è molto importante che si parli della prevenzione degli abusi e delle persecuzioni verso coloro che hanno abusato.
Quale considera la più grande impresa della Commissione? E il più grande ostacolo?
Penso che la Commissione riunisce fin d’ora – e così sarà ancor di più quando avremo il gruppo al completo – persone provenienti da diversi settori con grande esperienza alle spalle, decenni di ricerca di terapia, che cercano di capire questo fenomeno dell’abuso di minori in molti aspetti e su molti livelli. Veniamo da diverse culture, lingue, percorsi, diverse figure professionali e storie lavorative. Tutto questo contribuisce a una migliore comprensione della realtà degli abusi nella Chiesa. E’ interessante discutere di queste cose, anche se non sempre siamo d’accordo su ogni singolo punto. Quello che apprezzo è il fatto che tutti ci sentiamo sulla stessa barca, realmente, e che tutti vogliamo lavorare per portare verso soluzioni concrete. Adesso. Anche se per un vero cambiamento attitudinale ci vorranno molti anni, dobbiamo cominciare adesso. Trovo che le nostre conversazioni siano schiette, aperte e piene di speranza. E’ interessante vedere da dove gli altri provengono, e quale passato ci sia dietro le loro spiegazioni, i loro ragionamenti e le loro interpretazioni.
Gli ostacoli più grandi, di certo, saranno non solo se e come saremo d’accordo o in disaccordo, ma anche le pratiche, le cose logistiche: ad esempio, il modo in cui comunicheremo e attraverso quali mezzi. Questo diventerà una sfida ancora più grande quando ci espanderemo includendo persone provenienti da altri luoghi. Naturalmente dovremo incontrarci di persona, perché non si può organizzare tutto via e-mail o tramite la comunicazione virtuale. Inoltre, dovremo avere alcuni sottogruppi che verranno individuati in base a zone o situazioni particolari. Questi gruppi avranno alcuni obiettivi definiti per lavorare insieme. Ma tutto sarà redatto e inviato alla Commissione stessa, la quale discuterà e rivedrà poi questi argomenti, e trasmetterà le raccomandazioni al Santo Padre.
Come crede che il Santo Padre abbia risposto a questa tragedia? Inoltre, si potrebbe fare un confronto tra i suoi sforzi e quelli di Benedetto XVI, come pure di Giovanni Paolo II, almeno per i casi venuti alla luce durante il suo pontificato?
Credo che fin dall’inizio del suo pontificato sia stato chiaro che Papa Francesco fosse ben consapevole della portata del problema e, soprattutto, della sofferenza delle vittime. Nel suo primo incontro con la Congregazione per la Dottrina della Fede, solo circa due settimane dopo esser stato eletto Papa, disse alla Congregazione di continuare a lavorare sulla stessa linea che il suo predecessore aveva indicato. Poi si rivolse alla folla presso le pubbliche udienze: credo che sia stato all’inizio di maggio dello scorso anno 2013, sei settimane dopo la sua elezione, quando incontrò un gruppo di persone che lavorano con le vittime per la prevenzione degli abusi qui in Italia. Il Papa ha anche ricevuto noi del Centro per la Protezione dell’Infanzia dell’Università Gregoriana e ci ha incoraggiato a continuare i nostri sforzi. Quindi ci sono stati segnali chiari e tante altre cose.
In questi giorni, abbiamo visto tutto ciò che Francesco ha cercato di fare, in termini di riforma finanziaria e dell’organizzazione dei dicasteri, della Curia e via dicendo. Egli spesso ha parlato di poveri, deboli, profughi, ha denunciato il traffico di esseri umani e la prostituzione e ha esortato a lavorare duramente per curare le ingiustizie, le sofferenze e la disperazione di tanti.
Il Santo Padre è senza dubbio impegnato ad affrontare il problema degli abusi nella Chiesa. Lo dimostrava chiaramente anche quanto egli ha espresso nella sua omelia in spagnolo a Santa Marta, che era evidente avesse scritto lui stesso. Ci sono delle affermazioni molto forti in quella omelia. Già qualcosa aveva accennato ai giornalisti sull’aereo di ritorno dalla Terra Santa, dove, in co
nferenza stampa, ha utilizzato la più forte delle parole da un punto di vista cattolico, confrontando l’abuso sessuale ad un abuso della Santa Eucaristia, cioè una messa nera, che in termini teologici è una delle peggiori cose che ci possa essere. Questo è decisamente in linea con quello che ha scritto Papa Benedetto XVI, in particolare nella sua lettera ai cattolici in Irlanda del 2010. Il Papa ha confermato la linea del suo predecessore anche in termini di implicazioni canoniche. E ha confermato pure l’indirizzo della Congregazione per la Dottrina della Fede nel trattare con gli autori degli abusi, quando ha detto nella sua omelia che tutti i chierici, vescovi inclusi, saranno perseguiti sulla base di tale quadro canonico senza alcuna esitazione. Ne abbiamo avuto dimostrazione in queste settimane quando un arcivescovo è stato ridotto allo stato laicale, cioè è stato dimesso dallo stato clericale, la punizione più pesante che può essere inflitta ad un membro del clero, specialmente per un arcivescovo che è stato nunzio.
Questo – ripeto – è in sintonia con la linea d’azione seguita da papa Benedetto quando era ancora prefetto della Congregazione della Fede. Con il sostegno di Giovanni Paolo II, il cardinale Ratzinger nel 2002, ad esempio, ha invitato tutti i vescovi statunitensi a riferire dei casi negli Stati Uniti, e ha stabilito la posizione del Promotore di Giustizia in seno alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Il Papa emerito ha dato molto potere a quella posizione nel perseguire i trasgressori nella Chiesa. Ha promulgato leggi più severe e chiarito, una volta per tutte, che tutti i sacerdoti e i vescovi devono collaborare con la giustizia statale secondo la legge dello stato, il diritto penale e civile, in vigore nel rispettivo Paese.
Cosa risponde a chi sostiene che Benedetto XVI non fosse impegnato, o comunque non abbastanza impegnato, nella lotta contro gli abusi sessuali durante il suo pontificato?
Certamente non sono d’accordo e direi che queste persone veramente non hanno idea di cosa ci fosse dietro tutto quello che il cardinale Ratzinger ha fatto come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e poi come papa Benedetto XVI, tutto quello che ha messo in atto. Posso affermare che è stata davvero una rivoluzione in termini di organizzazione e di assunzione delle responsabilità. Ratzinger ha tolto alla Congregazione per il Clero la responsabilità di trattare questi casi, affidandola alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Ha centralizzato tutto, perché era ben consapevole, da quello che leggeva, che nelle diocesi a livello locale o a livello nazionale, in quasi tutti i Paesi del mondo, c’era (e c’è tuttora) pochissima competenza in termini di esperti canonisti, capaci veramente di seguire i casi con sufficiente personale, strutture e mezzi. Dunque, Benedetto era per me e per tutti coloro che conoscevano questa problematica un vero “eroe” nel combattere gli abusi, che ha fatto tutto il possibile per prevenire che tali crimini si verificassero ancora in seno alla Chiesa.