"Non si può lasciare la coscienza su un appendiabiti, fuori dal lavoro"

Mons. Zygmunt Zimowski celebra la Messa a Jasna Góra, per il pellegrinaggio della Famiglia di Radio Maria, e sottolinea che lo Stato deve preoccuparsi delle coscienze dei propri cittadini

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“Siamo chiamati ad essere servitori della Verità Divina”. Lo ha detto l’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, nell’omelia della Messa presieduta ieri, 13 luglio, al Santuario nazionale di Jasna Góra, a Częstochowa, in occasione del pellegrinaggio della Famiglia di Radio Maria.

Al pellegrinaggio, che si è svolto nei giorni 12-13 luglio, hanno preso parte vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, migliaia di fedeli provenienti da tutta la Polonia e da altri paesi come, ad esempio, Stati Uniti e Italia.

Facendo il riferimento all’attuale situazione in Polonia, mons. Zimowski ha sottolineato che quando nel paese, accadono “situazioni e luoghi segnati dalla necessità della difficile difesa della verità di Dio, nel nome di Cristo dobbiamo rimanere fedeli. Dobbiamo essere collaboratori della verità, la verità di Cristo”.

Sono tre, in particolare, le parole utili a salvaguardare “la salute morale” della nazione, secondo il presidente del Dicastero per gli Operatori Sanitari: “Sono, ricordo e vigilo”. Quest’ultimo verbo, “vigilo”, è un riferimento diretto alla coscienza umana, ha osservato il presule, richiamando il caso dei medici polacchi che difendono la vita e l’obiezione. “Il tempo della prova delle coscienze dei polacchi continua – ha detto -. Questa prova è davanti ai nostri occhi […] La futura forma della nostra vita sociale e dello Stato non dipende tanto dalla ricchezza della nostra nazione, ma dallo stato delle coscienze dei suoi cittadini. L’uomo è tale per la sua coscienza […] E lo Stato, la nazione, come priorità deve preoccuparsi della coscienza dei suoi cittadini”.

L’arcivescovo ha quindi ricordato le parole di San Giovanni Paolo II nell’incontro del 1991 a Radom, in Polonia, quando disse:  “Esiste una tale istanza umana, esiste un tale parlamento, che abbia il diritto di legalizzare l’uccisione di un essere umano innocente ed indifeso? Che abbia il diritto di dire ‘è lecito uccidere’, e perfino ‘bisogna uccidere’, là dove occorre massimamente proteggere e aiutare la Vita?”.

“Osserviamo ancora – disse in quell’occasione il Santo Pontefice – che il comandamento ‘Non uccidere’ contiene in sé non solo il divieto. Esso ci esorta a determinati atteggiamenti e comportamenti positivi. ‘Non uccidere’, piuttosto proteggi la vita, proteggi la salute e rispetta la dignità di ogni uomo, indipendentemente dalla sua razza o religione, dal livello di intelligenza, dal grado di conoscenza o di età, dallo stato di salute o di malattia”.

Allora, “cerchiamo di difendere la vita dal concepimento fino alla morte naturale. E siano benedetti, coloro che lo fanno”,ha sottolineato Zimowski, e ricordando ancora un discorso di Wojtyla a Skoczów, nel 1995, ha aggiunto: “Nonostante le apparenze, i diritti della coscienza vanno difesi anche oggi. Sotto l’insegna della tolleranza si diffonde, spesso, nella vita pubblica e nei mezzi di comunicazione di massa un’intolleranza forte, forse sempre più forte”.

“I credenti lo risentono dolorosamente – ha rimarcato -. Essi avvertono crescenti tendenze alla loro emarginazione nella vita sociale: si deride, a volte, e si schernisce ciò che per loro è più sacro. Queste forme di ritornante discriminazione destano inquietudine e devono fare molto pensare.”

Quindi, ha concluso il capo Dicastero, “la coscienza non può essere messa giù, appesa su un appendiabiti con i vestiti, fuori dal lavoro, dall’ufficio o dall’ospedale”, essa “è la voce di Dio, che risuona nei nostri cuori”.

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Mariusz Frukacz

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