«La religiosità popolare, se ben orientata, manifesta una sete di Dio che genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione».
I fatti di Oppido, e le parole consegnate da papa Paolo VI all’eternità attraverso la Evangelii nuntiandi, non possono rimanere estranei alla riflessione alla quale Catanzaro è chiamata nella festa del suo patrono, san Vitaliano, il cui culto è praticato anche in altre località dell’Italia meridionale, in particolare Capua, nel segno di una comune vicinanza ad un Vescovo che ha custodito fedelmente il gregge affidatogli, mantenendo ferma la sua fede cristiana e superando assalti e violenze, forte del valore della contemplazione e dell’orazione, oltre che dell’azione.
Per questa via il santo campano mostra che cosa sia necessario fare di fronte alle insidie che quotidianamente si traducono in inciampi alla vita ed alla fede. Lo fa all’insegna della gioia e dell’amore, sentimenti che egli provò e manifestò donando tutto se stesso al popolo, che l’aveva entusiasticamente voluto salvo per poi rinchiuderlo in un sacco e gettarlo nel fiume Garigliano, prima di far ricorso a lui, sopravvissuto miracolosamente, nei giorni della carestia, della siccità e della peste. Una testimonianza che pone in rilievo come spesso, forse troppo spesso, l’uomo viva come se Dio non esistesse, trattando con indifferenza e superficialità le virtù umane e cristiane.
Guardando a san Vitaliano si è invece invitati a riscoprire la bellezza del tempo della formazione e della catechesi e, soprattutto, verificare la congruenza tra quanto viene creduto dottrinalmente e quanto bisogna vivere, socialmente ed ecclesialmente, sia individualmente, sia come comunità. Ma si è spinti anche ad approfondire l’essenza del rapporto personale e collettivo di fede con Dio, che sfocia pure nelle manifestazioni religiose nell’ambito delle quali capita di dover assistere, come i recenti fatti di cronaca attestano, ad altrettanto serie divaricazioni tra l’essere e l’apparire, tra ciò in cui si dice di credere e ciò in cui davvero si crede, come fanno i cattivi cristiani, quali gli uomini e le donne di mafia.
Ma in queste fratture non c’è spazio per equivoci: guai se ci fosse! Così come peccato e bene non sono compatibili, anche Vangelo e mafia sono incompatibili, e non conduce a conclusione diversa l’ostentazione di santini o l’esibizione di sé durante i riti della tradizione popolare. In casi del genere l’unica strada che consente di entrare a far parte del gregge di Dio è quella della conversione, che presuppone il riconoscimento degli errori, l’accettazione della giustizia umana e, soprattutto, l’assoggettamento all’espiazione e alla riparazione del male commesso.
È da qui, dall’impegno per non tradire il mandato spirituale che dal sacrificio di san Vitaliano deriva, che occorre ripartire se si vuole cambiare se stessi e la propria terra, protesi verso orizzonti di pace, fraternità, giustizia e di testimonianza di una fede vera, autentica.