La storia di Meriam Yahya Ibrahim non ha bisogno di premesse. In ogni angolo del globo si è diffusa la notizia di questa giovane madre cristiana condannata a morte per apostasia da un tribunale del Sudan. E in ogni angolo del globo si è alzato un grido di indignazione per una condanna a dir poco assurda che, in un sol colpo, ha squalificato anni di lavoro a favore dei diritti umani e della libertà religiosa. Nessuno è rimasto a guardare: la mobilitazione internazionale per la liberazione della donna è stata massiccia. La prima a lanciare l’allarme è stata la ong Italians for Darfur, associazione per i diritti umani con sede a Roma, capitanata dalla presidente Antonella Napoli che si è battuta fino all’ultimo perché Meriam fosse rilasciata. E così è stato, anche se ora un cavillo burocratico legato alla sua documentazione ha costretto la donna e la sua famiglia a rifugiarsi nell’ambasciata statunitense di Khartum, senza la possibilità di lasciare il Paese. Proprio lì Antonella Napoli si è recata nei giorni scorsi e, nell’intervista di seguito a ZENIT, racconta di questo emozionante momento vissuto insieme alla sua “protetta”.
***
Cosa ha provato nel vedere questa donna la cui vicenda ha tenuto il mondo intero con il fiato sospeso?
È stato uno dei momenti più importanti della mia vita, una grandissima emozione. Sia come esperienza personale che professionale. Le parlavo in inglese attraverso il marito Daniel perchè Meriam parla solo arabo. Al di là di questo, però, incontrarla dopo che per mesi sono stata impegnata per lei, vederla sana e salva, con il marito e i suoi bambini, mi ha dato una grande soddisfazione. Ho visto concretamente quanto sia stata importante la nostra azione. Se Meriam sta bene è proprio grazie a tutti noi che abbiamo lottato per la sua libertà.
Quindi, secondo lei, la pressione internazionale ha favorito l’abolizione della condanna da parte del tribunale di Khartum?
Credo di sì. Anzi, sono convinta che la mobilitazione sia stata fondamentale!
Che donna ha trovato? Una donna stanca, arrabbiata, oppure serena, speranzosa?
Stanca ma serena, in attesa dell’ultimo scoglio: l’archiviazione delle accuse per falsificazione di documenti. Meriam non vede l’ora di lasciare il Sudan. Lo stesso vale per il marito Daniel, che le è sempre a fianco.
Alcune settimane fa Meriam ha dichiarato che, a causa delle condizioni disumane del suo parto, la figlia Maya sarà probabilmente disabile. Può confermarlo?
Quello di Meriam era più che altro un dubbio. Lei è stata costretta a partorire senza la possibilità di aprire bene le gambe, a causa delle catene sulle caviglie, e temeva che questo avesse causato dei danni irreparabili alla piccola. Ma il medico che ha visitato la bimba nell’ambasciata non ha rilevato nulla di preoccupante. Tuttavia servirà un’ecografia più approfondita alle anche per togliere ogni dubbio.
La questione del passaporto sembra evolversi o è ancora bloccata?
C’è una denuncia pendente, ma il processo per falsificazione di documenti è fermo. Giovedì scorso, ad esempio, l’avvocato è andato in tribunale per un’udienza, ma il procuratore che dovrebbe decidere sull’archiviazione non si è fatto trovare…
Meriam, molto credente, ha espresso il desiderio di incontrare Papa Francesco. Si sta lavorando per fare in modo che ciò avvenga?
Ho promesso a lei e Daniel che appena tutto fosse finito avrei organizzato un loro viaggio in Italia. Aspettiamo che si concluda questa assurda vicenda e poi lavoreremo su questo.
Nella mobilitazione internazionale, la sua ong Italians for Darfur ha lottato strenuamente per ottenere la liberazione della giovane madre. Ci può raccontare il lavoro svolto in questi mesi?
Siamo stati informati subito della vicenda di questa donna in Sudan e abbiamo cominciato a seguire il caso per alcune settimane. Avevamo deciso di mantenere un profilo basso perché speravamo si potesse risolvere in un breve periodo, invece poi è arrivata la condanna! Cinque minuti dopo che è giunta la notizia che Meriam era stata condannata a morte per impiccagione abbiamo inserito il format della petizione che avevamo già preparato. Alcune ore dopo il quotidiano Avvenire ha rilanciato il nostro appello e poi la reazione è stata a catena.
Qual è la sua paura adesso per il futuro di Meriam e quale la sua speranza?
Non voglio parlare di timori, ma solo di speranza. Il mio auspicio è che la nuova accusa sia presto archiviata e che finalmente questa madre coraggiosa sia libera di ricominciare a vivere serenamente con suo marito e i suoi due piccoli figli.