"Io, ebrea, dico: solo il perdono ci salverà"

Le riflessioni di una donna che non da oggi testimonia con i fatti, oltre che con le parole, i valori del dialogo e del rispetto

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Il rapimento e la barbara esecuzione di tre ragazzi ebrei. L’assassinio di un diciassettenne palestinese. Di nuovo sangue in Terra Santa. Ma odio, violenza e vendetta non sono le uniche vie praticabili. Pubblichiamo le riflessioni di Angelica Edna Calò Livné, una donna che non da oggi testimonia con i fatti, oltre che con le parole, i valori del dialogo e del rispetto. 

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Eyal, Gilad e Naftali. Tre  ragazzi di 16, 17,  19 anni. Rapiti e uccisi a sangue freddo, “colpevoli” solo d’essere ebrei. Fino a quando? Fino a quando dovremo sopportare quest’odio, questa furia selvaggia? Non ci sono parole, ma solo la voglia di piangere e  di gridare “perché?”  Nel suo ultimo viaggio in Terra Santa, papa Francesco, davanti alla fiamma perennemente accesa di Yad Vashem, s’è chiesto e ha chiesto a tutti:  «Uomo chi sei? Non ti riconosco più, di che sei stato capace?».

Una domanda che ci siamo posti davanti ai forni crematori di Majdanek, alle porte di Lublino, nella Polonia allora occupata dai nazisti. Ma ce lo siamo domandati anche in seguito a eventi più vicini a noi nel tempo: dopo gli attacchi che hanno seminato morte, a Gerusalemme, al ristorante Sbarro (2001) e al Caffè Moment (2002) e dopo gli attentati terroristici perpetrati fino a qualche anno fa a Tel Aviv, a Natania a Hedera.  Ma non abbiamo risposte…. perché non si riesce a spiegare ciò che non si conosce…   Siamo cresciuti al ritmo della  Torah, conosciamo bene la storia d’Israele….

Pace,  shalom, è la parola che ricorre di più nella nostra tradizione. Se non ci avessimo creduto non avremmo potuto superare né Nabuccodonosor né l’imperatore Tito né tutti gli altri malvagi che hanno distrutto, profanato, violentato e massacrato. Abbiamo il cuore in frantumi, ancora una volta, ma sappiamo che il nostro compito è creare e dimostrare che la vera strada è la collaborazione, la condivisione. 

C’è tanto. E c’è per tutti. Dobbiamo dare coraggio a chi, sia esso ebreo, cristiano, musulmano o druso, uomo, donna o bambino, ha capito che non si possono più accettare soprusi e imposizioni ma ha paura di dirlo. Non possiamo restare soli a  combattere per questi semplici valori. E il mondo non può reagire solo quando ci colpiscono al cuore. Il mondo deve svegliarsi, smettere di aver paura.

Siedo muta davanti alle immagini del funerale. I tre ragazzi giacciono su tre barelle, avvolti nella bandiera di Israele. Migliaia di persone sono venute da tutto il Paese: la destra , la sinistra, religiosi, laici. Povere madri. Andranno avanti, lo so, crescendo gli altri figli, incoraggiando la gente intorno a loro come fanno da sempre le madri d’Israele, dopo ogni tragedia, dopo ogni catastrofe, con il cuore deflagrato, con l’anima calpestata, ma andranno avanti. Finirà un giorno… Le famiglie si sono separate per sempre dai loro figli senza chiedere vendetta, senza pronunciare la parola odio. Solo parole di speranza , così si conclude il Kaddish, la preghiera per innalzare l’anima al cielo con i versi che recitiamo ogni venerdi per accogliere il Sabato, lo Shabbat, il giorno del Signore: «Yaase’ shalom Aleinu veal col aolam amen. E fai la pace su di noi e su tutto il mondo, amen!».

Io voglio vivere il mio ebraismo e la mia israelianità ricolma di speranza, aborrendo il terrorismo e la spietatezza, rimboccandomi le maniche per un futuro migliore. Ho bisogno di condividere ciò che sento con chi desidera andare avanti. Per questo qui si lavora, si ride, si piange insieme, ebrei, musulmani, cristiani e drusi, per questo ho creato Beresheet LaShalom, il teatro di ragazzi ebrei e arabi, e lo porto avanti con tutte le mie forze. Quando, durante i funerali,  ho sentito  Ein Milvado («Non c’è nulla al di fuori di  Lui, il Santo benedetto») sono scoppiata in un pianto irrefrenabile. Sono sicura che quelle madri non smetteranno per un attimo di avere fede. Cantano: «Verrà un giorno lo sto aspettando.. I pugni stretti si apriranno…non ci colpiranno più… e potremo stare tranquilli… e ci sembrerà che la sofferenza non esiste».

Le immagini di violenza e di odio, da qualunque parte vengano,  mi lasciano esterrefatta. Mi torna in mente la poesia di Friedrich Martin Niemöller:  «Quando sono venuti a prendere gli ebrei sono rimasto in silenzio perché non ero ebreo. Quando sono venuti a prendere gli omosessuali sono rimasto in silenzio perché non ero omosessuale. Quando sono venuti a prendere i comunisti sono rimasto in silenzio perché non ero comunista. Quando sono venuti a prendere gli zingari sono rimasto in silenzio perché non ero zingaro. Quando sono venuti a prendere me, non c’era più nessuno che potesse parlare per difendermi».

La situazione è difficile, quando ci sono tragedie come questa molte famiglie palestinesi che desidererebbero vivere  in pace con noi, subiscono ­- a causa dei terroristi – le nostre reazioni. La violenza porta solo dolore.  Nei giorni scorsi, quando non si sapeva ancora nulla del destino dei ragazzi, ero in Italia con  la mia amica cristiana palestinese di Betania, Samar Sahar. Lei ha aperto  il nostro intervento con emozione, in mano un fagottino dal forte odore di miele: «Prima di partire sono andata al Santo Sepolcro, a Gerusalemme e ho preso queste candele speciali per accenderle qui con voi, per chiedere al Signore che faccia tornare presto a casa i tre ragazzi rapiti a Hebron. Accendo queste candele per tutte le madri di Israele. Con la speranza che non soffrano più. Che altri abbiano la fortuna di avere un’amica israeliana come è capitato a me. Se ogni israeliano e ogni palestinese avessero un amico dall’altra parte, questa sofferenza non ci esisterebbe più».

Dobbiamo fermare tutto e subito. Dobbiamo fermarci e dialogare.  Ebrei, musulmani, cristiani, drusi. Tutti. Dobbiamo fermarci e pensare. Fermarci e decidere di perdonare, di ricominciare da capo, di accoglierci, di abbracciarci. Sia benedetta la memoria di Eyal, Gilad e Naftali. E siano benedetti tutti coloro che continuano a credere e che non si arrendono al male, e cercano con responsabilità, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze di mantenere in vita la splendida creazione che Dio ci ha dato.

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Fonte: http://www.famigliacristiana.it/articolo/io-ebrea-dico-che-solo-il-perdono-ci-salvera.aspx

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ZENIT Staff

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