“In tutta la mia vita accademica, ho avuto il desiderio di stare al confine tra la Chiesa e il mondo, tra la fede e la cultura, tra credenti e non credenti”. “Credo che non possa esserci una negazione cristiana del mondo”. “La bussola della mia vita è stata la Scrittura” e “credo nel potere dell’altro sepolto nelle profondità della vita ordinaria!”
Sono poche affermazioni che però tratteggiano la personalità forte e profonda della professoressa Anne-Marie Pelletier, teologa e vincitrice del Premio Ratzinger 2014. La prima donna a cui viene riconosciuto un premio così prestigioso. In una intervista concessa a ZENIT, la Pelletier spiega che il premio “è stata una grande sorpresa”, a dimostrazione del fatto che “la maggior parte di ciò che costruisce la storia è spesso nascosto alla vista dei più”.
Pur ammirando molte figure pubbliche, la Pelletier dice di credere “nel potere dell’altro sepolto nelle profondità della vita ordinaria!”. Mamma e nonna, la teologa esprime “gratitudine alla Fondazione Ratzinger” e gioia per il fatto di essere una cristiana chiamata a vivere la vita battesimale, immersa nel mondo di oggi e impegnata nel campo della cultura.
“In tutta la mia vita accademica – racconta – ho avuto il gusto e la voglia di stare al confine tra la Chiesa e il mondo, come è scritto nella Gaudium et Spes, tra la fede e la cultura, tra credenti e miscredenti”.
La Pelletier narra poi della sua vita nel mondo, occupata a scrivere con passione, a leggere, interpretare e insegnare come il linguaggio umano e divino si incrociano nel mistero dell’incarnazione. Suo riferimento intellettuale e spirituale è il grande esegeta padre Paul Beauchamp, e il discorso fatto al mondo della cultura da Papa Benedetto XVI al Bernardine College, nel settembre 2008.
La donna ha avuto modo di incontrare personalmente il Papa emerito durante il Sinodo del 2001, ma già aveva avuto con lui uno scambio epistolare su questioni antropologiche e teologiche.
Secondo la Pelletier, “Ratzinger è una persona di grande intelligenza e umiltà, capace di un insegnamento luminoso, come è evidente nei testi che ha scritto”. “Completamente dedicato al servizio dell’intelligenza-verità – afferma – non ad un insieme di idee e argomenti, ma alla persona di Cristo. Non bisogna dimenticare mai, che lo ‘splendore della verità’ non è altro che la gloria della persona di Gesù, che splende nella narrazione dei Vangeli!”.
Alla domanda sulle affinità con San Benedetto, la docente francese risponde che “San Benedetto non mi è certo indifferente. È il mondo monastico è stata un delle fonti della mia vita (…). La vita monastica nella sua singolarità, non è solo un ideale di qualche elité cristiana… E’ una vita che rivela la vita! Il suo compito è, quello di cercare e integrare la relazione con Dio, la relazione con l’altro, il rapporto con il tempo. Ciò riguarda ogni cristiano!”.
“La vita monastica – prosegue la teologa – ci porta al cuore della vita cristiana, che altro non è che la vita segnata dal battesimo, che invita ciascuno, dal più grande al più piccolo, ad essere il figlio di Dio, e per mezzo di Cristo. Niente di più, niente di meno! Da lì un sacco di cose sono ordinate. A me sembra che questo sia il punto di partenza, il fondamento di ogni ecclesiologia, il punto di riferimento di tutte le nostre discussioni sulla vita della Chiesa”.
Essere la prima donna ad essere premiata con il “Ratzinger” significa che esiste un modo femminile di leggere la Bibbia e fare teologia? A questa domanda la studiosa francese risponde che “sì, tra esegesi e teologia c’è unità di fondo”, ma “sarebbe rovinoso se le donne rimanessero bloccate in uno stile che sarebbe il loro esclusivo”. Tuttavia, “con l’ermeneutica contemporanea, che riecheggia il documento stilato nel 1993, relativo alla interpretazione della Bibbia nella Chiesa, possiamo dire che la lettura del femminile o del maschile è tutt’altro che indifferente”. Così, secondo la Pellettier, “la pratica della Scrittura da parte delle donne ha rivelato oggi nuove domande, nuove figure e ruoli dimenticati nelle narrazioni bibliche. Consente di trovare tutte le densità antropologica della rivelazione biblica è in particolare ciò che accade nell’ incontro tra uomini e donne”.
Interrogata sul suo punto di vista per il prossimo Sinodo che rifletterà sulla famiglia, la professoressa afferma: “La vita familiare è una scuola di vita. Non esiste niente di più completo della famiglia per sperimentare la ricchezza, la complessità e la difficoltà dei rapporti tra gli esseri umani. La famiglia è il luogo delle più grandi gioie e di eventi a volte più grandi”.
“Un sinodo sulla famiglia – sottolinea – deve supporre che la realtà con tutte le sue espressioni contemporanee va analizzata e presa in considerazione. Questo è anche buon senso che è stato inteso dagli organizzatori”. Tuttavia,“mi sembra importante non perdersi in immagini irreali. Se Dio è presente in tutto ciò che anima la gentilezza, la generosità, la libertà, l’amore fedele e paziente, non è meno presente nelle famiglie che stanno affrontando prove più dure. Oserei dire, che Dio è intimidito dai nostri altezzosi ideali di perfezione”.
“Maternamente – conclude la vincitrice del premio Ratzinger – mi sento di dire che la Chiesa deve testimoniare prima di tutto la misericordia, vale a dire, quello sguardo di Cristo che chiede la fiducia di tutti. Diciamoci la verità: la misericordia ha il potere di convertire ciò che dovrebbe essere nelle nostre società. La cosa bella è che Dio non si è piegato né si è perso. Cerchiamo, in questo mondo spesso difficile di non rendere vana la Resurrezione di Cristo!”.