Queste ed altre domande relative al dibattito sulle proposte di legge per le unioni civili ZENIT le ha rivolte a Simone Pillon, avvocato cassazionista e mediatore familiare. Nato a Brescia nel 1971, sposato e padre di due figli, Simone Pillon vive a Perugia dal 2004. Attivo fin da giovanissimo nel mondo cattolico e sociale, è consigliere nazionale del Forum delle Associazioni Familiari e membro della Commissione nazionale adozioni internazionali, nonché direttore del consultorio “La Dimora”. Nella sua attività di avvocato segue prevalentemente il diritto di famiglia in tutte le sue implicazioni. Negli ultimi dieci anni è stato relatore in moltissimi convegni sul tema della famiglia, dell’affido condiviso e della resistenza alla teoria del gender. È autore di diverse pubblicazioni e di numerosi progetti di legge ed emendamenti in materia di famiglia e minori, per i quali è stato in diverse occasioni ascoltato presso i parlamenti italiano ed europeo.
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Quante sono state le proposte di legge per regolamentare le unioni civili? Quali secondo lei le più equilibrate e sagge?
Pillion: Dal 2007, quando l’allora governo Prodi presentò un disegno di legge a firma delle on. Pollastrini e Bindi (che era ministro della Famiglia), poi naufragato soprattutto grazie al Family Day, sono stati moltissimi i progetti di legge presentati da numerosi parlamentari sul tema. Per semplificare possiamo raggruppare le varie proposte essenzialmente due grandi ambiti: le proposte “pubbliciste” e quelle “privatiste”. Le prime mirano al riconoscimento pubblico delle convivenze (anche tra persone dello stesso sesso), equiparandole formalmente o sostanzialmente al matrimonio, le altre offrono alle convivenze di fatto una tutela nell’ambito del diritto civile, ampiamente sufficiente a garantire le facoltà che sono state fatte oggetto di rivendicazione e cioè sostanzialmente la solidarietà post-relazionale, ovvero i diritti in caso di locazione o carcerazione, malattia o morte. La più equilibrata delle proposte è certamente quella a firma del sen. Sacconi che offre tutte le idonee tutele nell’ambito del diritto privato alle persone che vivono relazioni di convivenza, salvaguardando nel contempo la specialità del matrimonio come previsto dall’art. 29 della Costituzione.
A che punto è il dibattito parlamentare? Quali sono gli argomenti e la sostanza del testo unico proposto dalla senatrice Monica Cirinnà?
Pillion: Il dibattito parlamentare è attualmente molto vivace, sul tema – anzi direi sovradimensionato – visto che si parla solo di coppie di fatto mentre sarebbe decisamente il caso di orientare i lavori parlamentari verso la realizzazione di autentiche politiche familiari. Come che sia, l’on. Cirinnà si è incaricata di fondere le varie proposte in un testo unico, poi rimaneggiato su indicazione del Governo e ora ripresentato nella sua forma attuale. Sembra tuttavia che ancora non siamo davanti all’ultimo step, visto che, a quanto pare, il Presidente del Consiglio ha deciso di mandare avanti questa sorta di bozza al fine di studiare le reazioni politiche e di società civile suscitate, per poi imporre un proprio disegno di legge entro il prossimo settembre.
Il testo della Cirinnà è stato molto criticato. Può illustrarci il perché e le ragioni di chi si oppone?
Pillion: Il testo di cui parliamo contiene due pericolose proposte. La prima proposta è quella di riconoscere sostanzialmente il matrimonio gay. Gli articoli dall’1 al 7 mirano a parificare in tutto e per tutto il le unioni civili omosessuali al matrimonio, estendendo loro tutti i diritti e i doveri oggi riservati al matrimonio. Ci sarà una cerimonia di nozze, con tanto di sindaco e testimoni, le parti assumeranno il cognome dell’altra, è previsto lo stato vedovile e si vuole la più piena delle equiparazioni, tanto che è prevista all’art. 7 la delega al Governo ad “inserire, dopo la parola matrimonio, ovunque ricorra nelle leggi nei decreti e nei regolamenti (…) le parole “o unione civile”. Perfino i minori ultrasedicenni potranno contrarre l’unione gay se autorizzati dal Giudice. In caso di rottura dell’unione, è addirittura previsto l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento all’ex compagno che non sia in grado di “provvedere alle proprie necessità”. In questo modo la relazione omosessuale è parificata in tutto e per tutto a quella eterosessuale e può esser tranquillamente presentata come una valida alternativa, tutelata dalla legge, ai giovani o ai giovanissimi che si affacciano alla vita sociale. Chi non trova una fidanzatina, già alla scuola dell’infanzia, sarà legittimato o incoraggiato a trovarsi un fidanzatino e viceversa, contando sul potente effetto pedagogico della legge. È vero che, almeno formalmente, l’equiparazione al matrimonio esclude l’accesso all’adozione dei minori ex art. 6 L. 184/83, ma anche a tacer del pericolo che tale norma venga spazzata via presto o tardi dalla Corte Costituzionale, sarà comunque possibile adottare il figlio dell’altro partner.
Inoltre – e ciò è gravissimo – la proposta Cirinnà esplicitamente estende la nuova disciplina della filiazione alle unioni gay, cui applicheranno - fin da subito - gli articoli 231 e seguenti del codice civile. In parole povere, il figlio concepito (cfr. unione lesbica con donatore eterologo) o nato (unione gay con utero in affitto all’estero) durante l’unione civile sarà automaticamente e legalmente figlio della coppia gay. Due donne o due uomini saranno per legge i due genitori di un bambino, condannato per legge a crescere senza madre o senza padre. Tutto questo non è accettabile e mette gravemente in pericolo il superiore diritto del minore a nascere e crescere ricevendo cura e assistenza dalla madre e dal padre.
La seconda proposta, sempre contenuta nel testo Cirinnà, è quello di regolamentare altre forme di unione, questa volta anche eterosessuali, prevedendo mediante automatismo la “convivenza di fatto”, che scatterà dopo tre anni di coabitazione, ovvero mediante stipula notarile il “contratto di convivenza”. Queste forme di per sé non sono particolarmente gravi poiché restano sostanzialmente nell’ambito del diritto privato e consentono ai conviventi di regolamentare a piacimento alcuni diritti e doveri reciproci che già oggi sono loro disponibili e ne attribuiscono alcuni (accesso alle strutture sanitarie ovvero penitenziarie ovvero subentro nelle locazioni) che sono già riconosciuti per via giudiziaria o regolamentare. Tali forme di convivenza non susciterebbero dunque di per sé problematiche di natura antropologica se fossero approvate da sole. Essendo tuttavia inserite in un unico progetto di radicale ristrutturazione sociale divengono pericolose poiché completano quella sorta di “bazar” delle famiglie che il governo pare avere come obiettivo legislativo. In altre parole i giovani che per la prima volta si affacciano ad un progetto di vita in comune – dopo aver deciso se preferiscono una unione omosessuale o eterosessuale potranno scegliere tra matrimonio (peraltro tra poco solubile col “divorzio-lampo”), unione gay, convivenza di fatto, contratto di convivenza oppure convivenza semplice senza alcuna protezione normativa. Il tutto con buona pace dell’art. 29 della costituzione che si ostina a ricordare a tutti che la Repubblica riconosce la famiglia “società naturale fondata sul matrimonio”.
Il Governo ha dichiarato di voler preparare una propria proposta di legge da presentare alla Camera dei deputati nel mese di settembre. Si conoscono i contenuti della proposta del Governo?
Pillion: Matteo Renzi è persona avveduta e prenderà certamente questo tempo per studiare le reazioni nel Paese e valutare i contenuti da dare al suo DDL. Quel che pare certo è la sua volontà di ammettere alle unioni di rilevanza pubblica le sole coppie gay perché, in caso contr ario, le casse dell’INPS sarebbero esposte ad un rischio esiziale. Le casse della previdenza sociale britannica hanno rischiato il collasso quando il governo di Sua Maestà ha esteso a tutte le convivenze gli stessi diritti pubblici assicurati al matrimonio. Figuratevi! Le badanti si sono gettate a capofitto a chiedere le pensioni di reversibilità! Renzi non intende commettere lo stesso errore e non saranno certo le poche centinaia di unioni gay a mettere a rischio il bilancio previdenziale.
Quali secondo gli argomenti che la proposta governativa dovrebbe contenere?
Una proposta seria ed equilibrata sarebbe quella di limitare il DDL Cirinnà agli articoli da 8 a 12, offrendo alle unioni di fatto quel che ancora non hanno, in termini di visita presso strutture ospedaliere, contratti di locazione, assegnazione alloggi di edilizia popolare e obbligo alimentare in caso di separazione. Mi pare ci sia tutto. Chi vuole di più ed è nelle condizioni previste dalla legge può sposarsi, no?
Quali sono gli argomenti che lei suggerirebbe al Presidente del Consiglio Matteo Renzi per evitare una deriva morale ed uno scontro con la Chiesa e con i il popolo dei cattolici e di molta parte della società civile?
Pillion: Direi a Renzi che introducendo le unioni gay otterrà qualche voto dai “genderisti” e salverà forse le casse dell’INPS, ma svuoterà il nostro Paese da ogni residua coesione sociale. I bambini hanno bisogno di crescere con mamma e papà. Ridicolizzare la famiglia, mettendola allo stesso livello di una carnevalata da gay pride, e soprattutto lasciare che intere generazioni vengano cresciute nella precarietà affettiva e deprivati di una delle figure genitoriali, per incontrare poi nella prima adolescenza il paradigma educativo omosessualista, porterà nel giro di pochi anni anche l’Italia a perdere il patrimonio sociale, valoriale ed economico che proprio le nostre famiglie hanno saputo custodire nei secoli, attraverso guerre e crisi economiche. Metter su famiglia è oggi più difficile che mai, e i giovani aspettano dai legislatori sostegno ed incoraggiamento e non proposte confuse e riduttive. Speriamo che il Presidente del Consiglio non voglia assumersi davanti al Paese e davanti alla Storia la responsabilità di abbattere “l’eccezione italiana” di cui parlava San Giovanni Paolo II.
Che cosa bisognerebbe fare per favorire soluzioni che rafforzino e diano speranza e fiducia all’istituto della famiglia naturale?
Pillion: È ormai necessario esplicitare sul piano legislativo e fiscale quel “favor familiae” che per troppo tempo è rimasto solo nella Costituzione. Dal sostegno alle giovani coppie che decidono di sposarsi ad una attenta e coraggiosa politica italiana per la natalità, dal supporto alle coppie in crisi coniugale ad una autentica equità fiscale per la famiglia, i temi non mancano. Dobbiamo uscire dal tunnel che ci obbliga da sette anni a parlare solo di coppie di fatto gay e rilanciare nel Paese una nuova grande alleanza per la famiglia, che coinvolga le istituzioni, la politica, le amministrazioni locali, la cultura, l’imprenditoria, il mondo dell’educazione e l’associazionismo familiare. Nessuno deve sentirsi escluso da questo rinnovato impegno, una sorta di primavera sociale, che dia respiro e speranza e futuro alla nostra Italia, alla nostra Europa, al nostro mondo.