Il conflitto in Siria prosegue e in altri paesi, che hanno vissuto un cambio di regime, come l’Egitto, il destino dei cristiani rimane argomento di grande preoccupazione.
La scorsa settimana due arcivescovi, il siro-ortodosso Yohanna Ibrahim e il greco-ortodosso Paul Yazigi, sono stati rapiti nel villaggio di Kfar Dael, da quello che la Reuters, lo scorso 22 aprile, ha definito “un gruppo terrorista”.
Lo scorso settembre l’Arcivescovo Ibrahim aveva dichiarato alla Reuters che “i cristiani sono stati aggrediti e rapiti in modi mostruosi e i loro familiari hanno pagato ingenti somme per la loro liberazione”.
Inizialmente i lanci d’agenzia hanno affermato che i due arcivescovi erano stati liberati. Più tardi, tuttavia, Jean-Clement Jeanbart, l’arcivescovo greco-melchita di Aleppo, ha smentito questa notizia (cfr. Asia News, 24 aprile).
Il giorno del rapimento, il 22 aprile, la Commissione USA sulla Libertà Religiosa Internazionale (USCIRF) ha pubblicato uno speciale dossier dal titolo Proteggere e promuovere la libertà religiosa in Siria.
Tradizionalmente, sul piano religioso, la Siria è un paese eterogeneo, con circa 22 milioni di persone. I musulmani sunniti ammontano a circa il 75% della popolazione ma sussistono sostanziali minoranze di Alawiti, Cristiani e Drusi.
Il conflitto in corso “minaccia la varietà religiosa della Siria, poiché i membri delle più piccole comunità di minoranza sono in fuga dal paese oppure di fronte a un incerto futuro nella Siria del post-Assad”, si legge nel dossier.
Il dossier della commissione esorta sia gli Stati Uniti che altri paesi affinché implementino delle politiche di sostegno ai diritti delle minoranze e alla libertà religiosa.
L’agenzia americana ha ammesso che le condizioni non erano certo idilliache nemmeno prima della rivolta in corso, sottolineando che “la Siria offriva un minimo di libertà religiosa, compresa la libertà di culto, in particolare per le più piccole minoranze religiose del paese, tra cui i cristiani”.
“Tuttavia, il governo controllava la selezione degli imam sunniti e limitava la loro libertà religiosa”, osserva il dossier.
Inoltre il documento attribuisce al regime la responsabilità per una politica di repressione della maggioranza sunnita, durata decenni, e l’inasprimento delle ostilità tra le minoranze religiose.
Al tempo stesso, le comunità religiose che sono rimaste neutrali durante le violente rivolte, sono stati visti dalle forze di opposizione, come dei complici del governo.
“Nella misura in cui queste fratture settarie si approfondiscono, diventa sempre più probabile che le comunità religiose finiscano nel mirino, non per le loro alleanze politiche ma solamente per la loro affiliazione religiosa”, ammonisce l’USCIRF.
È chiaro, afferma il dossier dell’USCIRF, che “questo settarismo è in ascesa e le aggressioni a sfondo religioso sono state perpetrate dal regime di Assad e dai suoi delegati, così come, a volte, da parte delle forze di opposizione che puntano al suo rovesciamento, provocando serie violazioni della libertà religiosa”.
“Queste violazioni minacciano anche la varietà religiosa della Siria con la crescente probabilità di violenze a sfondo religioso e continue ritorsioni in una Siria post-Assad, dove le minoranze religiose saranno particolarmente vulnerabili”, si legge nel dossier.
L’Egitto è un altro paese dove i cristiani sono minacciati. C’è il timore che la costituzione appena approvata non sia in grado di proteggere i diritti dei cristiani, come sottolinea un servizio della BBC dello scorso 3 gennaio.
Una madre egiziana e i suoi sette figli sono stati condannati a pesanti pene detentive per aver cambiato illegalmente i propri documenti ufficiali (cfr. Russia Today, 16 gennaio 2013). La famiglia voleva ripristinare i propri nomi cristiani, a seguito della morte del padre, di religione musulmana.
Nadia Ali Mohamed era nata cristiana ma sia era convertita all’Islam, dopo aver sposato Mustafa Abdel-Wahab. Alla morte del marito, avvenuta nel 1991, la donna volle tornare al cristianesimo.
Nel 2004, dopo essere ridiventata cristiana, la famiglia sostituì i nomi musulmani sulla propria carta d’identità con nomi cristiani. L’intera famiglia è stata condannata a 15 anni di reclusione per aver violato le leggi sul cambiamento del nome.
Nel frattempo i gruppi islamici continuano ad attaccare edifici cristiani, senza che la polizia o le forze dell’ordine si impegnino troppo a prevenire questi attentati. Lo scorso 16 gennaio la Assyrian International News Agency ha riferito che centinaia di musulmani hanno distrutto la sede dei servizi sociali, appartenenti alla Chiesa Copta, intonando slogan islamici. L’edificio era collocato nel villaggio di Fanous, nel distretto di Tamia, nella provincia di Fayoum, a 130 km a sud-ovest del Cairo.
All’inizio di questo mese un gruppo ha assalito la cattedrale copta di San Marco, lanciando pietre e bombe infuocate (cfr. New York Times, 8 aprile 2013).
“La polizia non sta facendo nulla per proteggerci o per fermare la violenza”, afferma Wael Eskandar, attivista cristiano-copto. “Al contrario, stanno attivamente aiutando i civili”, ad aggredire i cristiani, ha detto Eskandar, secondo quanto riferito dall’articolo del New York Times citato.
L’assalto segue svariati giorni di conflitto, culminati in uno scontro a fuoco in cui sono morti quattro musulmani e un cristiano.
Il Papa dei Copti Tawadros II ha accusato il presidente Mohammed Morsi, membro della Fratellanza Musulmana, di non aver fatto proteggere la cattedrale: il Washington Post, in un articolo del 18 aprile, l’ha definita “una critica diretta senza precedenti”
Le tensioni continuano, con dieci persone morte nelle ultime settimane durante gli scontri tra Musulmani e Cristiani Copti in Egitto (cfr. Al-Jazeera, 22 aprile).
Nei paesi del Medio Oriente le prospettive per i cristiani continuano ad essere assai problematiche, tuttavia, né i governi occidentali né le istituzioni internazionali sembrano prendere molto in considerazione la questione.