Alle radici del rinnovamento. Una lettura del Concilio Vaticano II (Quarta e ultima parte)

Monsignor Massimo Camisasca intervistato da Edoardo Tincani

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Nella chiesa di San Pietro, a Correggio, il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, monsignor Massimo Camisasca, è intervenuto giovedì 7 marzo sul Concilio Vaticano II, rispondendo alle domande poste da Edoardo Tincani, direttore de “La Libertà”. Oggi pubblichiamo la quarta e ultima parte.

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Temo non ci sia il tempo di analizzare il pontificato del Beato Giovanni Paolo II. Fermiamoci agli ultimi otto anni. Quali sono le linee fondamentali del rinnovamento che Benedetto XVI ha indicato alla Chiesa?

L’intero pontificato di Benedetto XVI si trova totalmente inscritto all’interno del grande alveo di rinnovamento creato dal Concilio: è iniziato nel 2005, proprio nell’anno in cui la Chiesa celebrava i 40 anni dalla fine del Concilio, e si è concluso nel cinquantesimo della sua apertura.

Penso che le linee fondamentali del rinnovamento che Benedetto XVI ha indicato si collochino sulla stessa linea di orizzonte dell’intendimento con cui Giovanni XXIII ha convocato il Concilio Vaticano II. Papa Giovanni parlava di una ripulitura del volto della Chiesa, di una cancellazione delle sue macchie provocate dal sedimentarsi della polvere del tempo sul suo volto (cfr. Giovanni XXIII, Discorso inaugurale per l’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962). Benedetto XVI si colloca sulla stessa lunghezza d’onda. Per lui si tratta di un’opera di cancellazione di tutto ciò che è inautentico, di purificazione, di semplificazione appunto. Di un dialogo continuo con l’origine: non per ripresentare le forme storiche di un’età dell’oro che non è mai esistita, ma per ritrovare nell’esperienza di Cristo con gli apostoli la forma originaria che ogni secolo cristiano è chiamato a rivivere. Per trovare una risposta al problema del rinnovamento della Chiesa, il cardinale Ratzinger affermava, negli anni Sessanta: «sarebbe necessario porre la domanda: che cosa risulta falso nella Chiesa, se messo a confronto con le origini? Questo appunto, e questo solo è il problema che vale come criterio dello sforzo di rinnovamento della Chiesa» (J. Ratzinger, Il nuovo popolo di Dio, Queriniana, Brescia 1971, 295).

La storia della Chiesa è una serie continua di inizi nuovi. «Il vero attore della riforma è lo Spirito Santo che favorisce inizi sempre nuovi e genera uomini portatori di tali inizi, profeti di una nuova fruttificazione del Vangelo» afferma ancora nel 2001 (J. Ratzinger, Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio, in colloquio con Peter Seewald, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 2001, 361).

Siamo ancora al Joseph Ratzinger fine teologo, però. Come Pontefice, ha saputo essere “riformatore”, nel senso espresso dal Concilio?

Diventato papa, Joseph Ratzinger modula continuamente queste note in nuove sinfonie. Qualche mese dopo la sua elezione alla cattedra di Pietro, nella Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia, presenta i santi e i beati come i veri riformatori della Chiesa e come protagonisti di una rivoluzione positiva in tutto il mondo. «Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo». Sempre nello stesso anno, il 22 dicembre, in occasione degli auguri natalizi alla Curia romana, in un discorso che rimarrà famoso, sostiene che ogni autentico rinnovamento nella Chiesa è un «insieme di continuità e discontinuità». Continuità con l’inizio, con le istituzioni fondamentali volute da Cristo, la regula fidei, il sacerdozio, il primato di Pietro. E discontinuità perché la comunità della Chiesa, per poter essere fedele al suo fondatore, deve rinascere continuamente nel confronto giorno dopo giorno con le persone e le culture che incontra, misurandosi con i problemi che sorgono e attraverso i quali il Signore la sfida. Con i vescovi tedeschi, in visita ad limina nel novembre del 2006, non può che toccare il tema della riforma. Critica l’attivismo esteriore delle riforme non autentiche e non spirituali e ribadisce che deve essere «la fede stessa a scandire in tutta la sua grandezza, chiarezza e bellezza il ritmo della riforma… di cui abbiamo bisogno». Le udienze del mercoledì dei primi anni del pontificato rileggono tutta la storia della Chiesa attraverso le vite dei santi: «essi sanno promuovere un rinnovamento ecclesiale stabile e profondo, perché essi stessi sono profondamente rinnovati, sono in contatto con la vera novità: la presenza di Dio nel mondo» (Udienza generale, 13 gennaio 2010).

Siamo in un periodo storico eccezionale, con la Santa Sede vacante e il Papa emerito. Grandi sfide attendono il nuovo Pontefice. Ancora sul tema della riforma della Chiesa, qual è la consegna fondamentale che Benedetto XVI ci lascia?

Alla luce di tutto ciò che ho detto fin ora si può comprendere che per Benedetto XVI il luogo fondamentale della riforma sia la liturgia. È attraverso di essa che l’uomo entra nella «gioia della fede, [nella] radicalità dell’obbedienza, [nella] dinamica della speranza e [nella] forza dell’amore» (Omelia per il giovedì santo, 5 aprile 2012). La liturgia consente quella conformazione a Cristo che è il presupposto e la base di ogni riforma autentica. Per Ratzinger “conformarsi a Cristo” vuol dire innanzitutto entrare nella sua obbedienza, quella che Lui ha vissuto e vive nei confronti del Padre e continua nella Chiesa come comunione con Pietro e i successori degli apostoli uniti a lui. Negli ultimi tre secoli l’Europa ha visto una generale contestazione al principio di obbedienza e di autorità. Reazione comprensibile di fronte all’autoritarismo e al clericalismo di tanti ambienti civili ed ecclesiali. Ma entrare nell’obbedienza non vuol dire cancellare la ragione, distruggere i sentimenti, annientare la propria umanità. È possibile obbedire a Dio obbedendo a degli uomini. Per questo il papa propone i santi come «traduzione dello stile di vita di Cristo». Essi ci mostrano come sia possibile vivere interamente la propria umanità in una sequela a Cristo e all’autorità della Chiesa in cui si coniugano obbedienza e libertà.

Il cuore della riforma è la santità, come aveva detto il Concilio parlando di «vocazione universale alla santità» (cfr. Lumen gentium, nn. 39ss).

Questa è, in definitiva, la sfida che sempre di nuovo la Chiesa si trova di fronte.

(La terza parte è stata pubblicata ieri, venerdì 15 marzo)

(Testo tratto dal sito della diocesi di Reggio Emilia-Guastalla)

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ZENIT Staff

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