Pakistan: musulmani condannano le violenze contro i cristiani

Dietro l’inaudita violenza c’è l’ennesimo presunto caso di blasfemia

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Come riferito dall’agenzia Fides (9 marzo), una folla di circa 3.000 musulmani inferociti ha dato fuoco ieri mattina ad un centinaio di case di cristiani nel quartiere Badami Bagh della capitale della provincia pachistana di Punjab, Lahore. Come spesso in questi casi, dietro l’attacco c’è un caso di presunta blasfemia.

Secondo le informazioni raccolte da Fides, nell’attacco sono rimasti ustionati fra 120 e 140 cristiani, uomini, donne e bambini inclusi. Uno dei feriti è il vescovo della comunità cristiana evangelica pakistana, Akram Gill, che si era recato al posto per fermare la violenza.

Tutto è iniziato venerdì sera, dopo la preghiera islamica, quando una folla è andata alla “caccia del blasfemo”, in questo caso il giovane cristiano Savan (o Sawan) Masih, detto anche “Bubby”, arrestato poi dalla polizia in seguito a una denuncia in base all’articolo 295c del Codice penale del Pakistan. L’articolo in questione, che punisce l’oltraggio nei confronti del Profeta Maometta, fa parte della famigerata “legge di blasfemia”.

Secondo fonti locali, l’accusa è del tutto falsa. Il padre del presunto autore ha negato che suo figlio abbia commesso blasfemia.

Sulla violenza si è espresso l’amministratore apostolico di Lahore, monsignor Sebastian Shaw OFM. “Condanniamo gesti di violenza di tal genere e chiediamo al governo di garantire la sicurezza dei cittadini, specialmente, delle minoranze religiose”, ha detto il presule a Fides.

“Vi sono persone che vogliono farsi giustizia da soli e che credono di essere al di sopra della legge. E’ un episodio molto triste che sconvolge la nostra città. La gente innocente non è al sicuro in casa sua”, ha continuato Shaw.

“Esprimiamo alle famiglie colpite tutto il nostro sostegno e solidarietà. Con la Caritas ci stiamo attivando per offrire un riparo e una sistemazione. In questo paese c’è da lavorare molto per la pace e l’armonia”, ha concluso.

Parole simili ha usato monsignor Rufin Anthony vescovo di Islamabad-Rawalpindi. “E’ molto triste vedere che le minoranze in Pakistan non sono al sicuro e sono prese di mira per la loro religione. Dobbiamo assolutamente lavorare per l’armonia nazionale”, ha detto ad AsiaNews (9 marzo).

Come rivela il quotidiano pachistano The News (9 marzo), che cita l’emittente Geo News, anche vari movimenti e studiosi musulmani hanno denunciato l’attacco.

“Condividiamo il dolore e l’angoscia con i cristiani e chiediamo al governo di adottare misure per garantire che venga fatta giustizia”, dice una dichiarazione congiunta firmata tra gli altri dal presidente del forum islamico Tahafaz-e-Namoos-e-Risalat Mahaz (TNRM), Raza-e-Mustafa Naqshbandi, e il leader del Sunni Ittehad Council, Allama Muhammad Atthar ul Qadri.

Il leader del Jamat-ud-Dawah (JuD), Hafiz Saeed, ha chiamato l’attacco contro la Joseph Colony una violazione “flagrante” degli insegnamenti dell’islam.

Anche le autorità pachistane hanno condannato l’assurda violenza.

Il presidente Asif Ali Zardari ha chiesto un’indagine ed ha dichiarato, “tali atti di vandalismo contro le minorità infangano l’immagine del Paese”. Lo ha detto in una dichiarazione il suo portavoce, Farhatullah Babar (Agence France-Presse, 9 marzo).

Da parte sua, il ministro della Giustizia della provincia del Punjab, Rana Sanaullah, ha visitato ieri il luogo e ha promesso che “gli atti di vandalismo saranno perseguiti” e che “saranno risarciti entro cinque giorni tutti coloro che hanno subito danni alle proprietà”.

L’attacco lanciato contro la Joseph Colony dimostra come la legge antiblasfemia, e gli emendamenti al Codice penale introdotti nel 1986 sotto l’allora dittatura del generale Mohammad Zia-ul-Haq, fungono da alibi per discriminazioni effettuate contro le minoranze religiose.

La lista dei cristiani vittime della normativa è ormai molto lunga. Il caso simbolo è senz’altro quello di Asia Bibi, la lavoratrice agricola condannata a mortemediante impiccagione in primo grado nel 2010… il tutto per un semplice sorso d’acqua.

Mentre la donna aspetta finora in carcere il processo di appello, un altro caso che ha sollevato grande clamore è quello di Rimsha Masih, la giovane ragazza arrestata nell’agosto 2012 con l’accusa di aver bruciato alcune pagine del Noorani Qaida, il manuale per leggere il Corano. La giovane è stata assolta definitivamente dalla Corte Suprema del Pakistan nel gennaio scorso.

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ZENIT Staff

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