La Misericordia che mai si consuma

Vangelo della III Domenica di Quaresima

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Es 3,1-8a.13-15

Mosè guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. (…) Dio disse a Mosè: ‘Io sono colui che sono!’. E aggiunse: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione’.

Lc 13,1-9

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: ‘Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo’. Diceva anche questa parabola: ‘Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: ‘Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo! Perché deve sfruttare il terreno?’. Ma quello rispose: ‘Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai’”.

Non a caso il Vangelo di questa settimana sembra tratto dalla prima pagina di un quotidiano: Gesù commenta due fatti di sangue del tutto paragonabili a quelli di cui abbonda la nostra cronaca.

Al riguardo, il Signore anzitutto rifiuta l’interpretazione popolare della morte improvvisa come castigo divino per i peccati commessi:“Credete che quei Galilei fossero più peccatori.., per aver subito tale sorte?…credete che fossero più colpevoli di tutti..? No, io vi dico..” (Lc 13,3.5). Tuttavia, Gesù sembra poi contraddirsi dicendo: “ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.

In realtà, questa apparente minaccia costituisce un invito ad entrare nella profondità del mistero del roveto: la sua Misericordia che mai si consuma (Es 3,2).

Con la sua riflessione, Gesù vuole trasformare la cronaca nera in un salutare esame di coscienza; ma che significato dare a questo “perirete tutti allo stesso modo”? In altre parole: quale è la conseguenza profonda della nostra mancata conversione?

Storicamente le parole del Signore si compirono nel 70 d. C., quando le armate romane rasero al suolo Gerusalemme; tuttavia la similitudine paventata da Gesù non si riferisce alla morte fisica violenta, ma alla subitaneità irreversibile della perdita della vita eterna.

Morire è meno di perire. “Perire” dice fallimento del vivere, come un arco allentato. Si perisce già da vivi, quando si vive come se Dio non ci fosse, o come se il Dio di Gesù Cristo non fosse il “Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe” (Es 3,6), “Colui che c’è” per ogni uomo; che è sempre presente per condividere, per consolare, per dare speranza nelle prove della vita, per soccorrere con la sua eterna misericordia.

Perciò, si può perire “allo stesso modo” anche nel sonno, o in una clinica svizzera della ‘dolce morte’, se ci si presenta al Giudizio divino in peccato mortale. Questa è la verità della vita che abbiamo in dono ed il messaggio del Vangelo.

E allora, come possiamo collegare la parabola sul fico sterile con quanto precede?

Anzitutto sappiamo che il fico sterile rappresenta biblicamente il popolo di Israele, ostinatamente incapace di mantenersi fedele all’alleanza con Dio, del Quale vide i meravigliosi prodigi nel deserto.

Tale mortale durezza di cuore, ci interpella e ci riguarda, sia dal versante del nostro peccato, sia, e ancor prima, da quello della Misericordia divina. La pazienza del Signore è e sarà infatti sempre l’ultima Sua Parola, per chi, anche in extremis, decide di non rifiutare più il suo soccorso: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutto per l’avvenire” (Lc 13,8-9).

Ma la parabola ci spinge in maggiore profondità.

E’ vero che il fico non da’ frutti da tre anni, ma non è detto che stia colpevolmente sfruttando il terreno. Forse, pur essendo piantato nella vigna, il fico si trova in un punto che non è stato mai zappato, né concimato come il resto; oppure è stato devastato dalle talpe, dagli insetti, dall’uragano.

Fuori di metafora: pensiamo ad esempio all’educazione (non solo cristiana) dei bambini e dei ragazzi: in quale terreno umano nascono, vivono e crescono moltissimi di questi figli? Come può dar frutto l’insegnamento del catechismo se i genitori che li mandano in parrocchia sono loro stessi un fico sterile? Pensiamo alle convivenze, alle separazioni, alle adozioni in casa omosessuale.

Ecco: Dio è abbastanza potente e misericordioso da far fruttificare la vita interiore che ha creato e seminato anche dentro quelle situazioni che sembrano incompatibili o impossibili per la fede.

La precisazione “sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo” (Lc 13,7), fa pensare alla vita pubblica di Gesù. Anch’egli alla fine di tre anni è come un albero sterile. Muore sulla croce come un fallito, assolutamente solo, senza alcun frutto visibile, abbandonato anche dai suoi discepoli. E’ la legge eterna del chicco di grano.

Ciò permette di concludere così: il fico sterile è piantato nella vigna, e la vigna è Cristo, la vigna è la Chiesa, con la sua fede, con l’Eucaristia, con la Parola, la preghiera e la comunione dei santi.

Dice alla fine: “Vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai” (Lc 13,9).

Aveva chiesto un anno, ma risponde “per l’avvenire”. Perché la sua Misericordia non si consuma mai.    

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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Angelo del Favero

Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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