Pubblichiamo oggi la seconda e ultima parte dell’intervista con la professoressa Stella Morra. La prima parte è uscita ieri, mercoledì 27 di febbraio.
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In questo nuovo scenario, quale può essere il contributo della “teologia al femminile”?
Prof.ssa Stella Morra:Non amo per niente questa definizione, in termini di aggettivo, edulcolorato ; meglio dire “femminista”. Dove questo si riferisce alla parzialità: ecco: le donne potrebbero insegnare molto circa la capacità di pensare sé stessi come un parziale. Perché non è che esiste la teologia e poi la teologia femminile. Esiste la teologia fatta dai maschi e quella fatta dalle donne e l’alterità è esperienza di parzialità, ognuno è altro da un altro. E l’altro è sempre una sfida, una complessità, una ricchezza e insieme una potenzialità di conflitto. Intendo la parzialità quindi non come governo di un centro, ma come un punto d’incontro per una convivenza dialogica e inclusiva e per aggregazioni umane più giuste Certo, non solo le donne sono «altre», tutti sono altri, ma il caso storico delle donne è il caso dove alcune questioni particolari si sono viste e sperimentate.
Storicamente, nella chiesa, come si è esplicata la “questione della parzialità”?
Prof.ssa Stella Morra:Tutto il cristianesimo, almeno dal IX secolo in poi, si è strutturato sul concetto dell’uno, che rispecchiava, e giustamente, l’unità di Dio, ma quasi con l’ossessione dell’Uno platonico e dunque si è concentrato sugli universali, esseri senza specificazione. La donna è la memoria vivente che l’essere umano è un parziale. D’altra parte teologicamente è molto chiaro: l’uomo non è Dio e quindi non è universale. Tuttavia questo concetto è poi difficile calarlo nella concretezza. Nella lingua italiana noi diciamo “uomo” per indicare “persona” e non è un caso. Il termine uomo è diventato nei fatti, nella pratica quotidiana sinonimo di universalità. Il fatto di esistere come donne e come uomini, ossia ricordandosi costantemente della propria connotazione sessuata è già un indizio di parzialità: io da sola/o non sono un universale e questo è un principio profondamente deflagrante rispetto alla struttura ecclesiale. Dall’altra corrisponde profondamente all’altro principio cristiano che è la Trinità. E’ un po’ come se per secoli avessimo insistito troppo sull’unità, dimenticando la Trinità come esperienza di una differenza interna alla perfezione, una struttura relazionale interna. Anche questa è un’immagine di Dio: noi siamo strutturalmente relazionali e parziali. Vi sembra un segno da poco per cercare di costruire società e comunità più a misura di tutti e capaci di essere inclusive e pacifiche?
Lei dice di essere “bilingue con due patrie”…
Prof.ssa Stella Morra:Certo, perché esistono due lingue nella mia esperienza: una è la “lingua madre”, cioè la lingua della vita, della nascita, dei figli, dell’amore e l’altra è la “lingua della teologia”; io mi sento perfettamente bilingue, con due patrie, e nessuna delle due ha cancellato l’altra. Ma non è forse connaturale al cristianesimo essere cittadini di due città?
Stella Morra conclude in modo davvero esplicativo tutto il suo dire , con una citazione letteraria di un breve testo (la conclusione del romanzo di Christa Wolf, Il cielo diviso) che ci appare come la scelta di una chiesa possibile e “bilingue”, con uno stile secolare e laicale, che costruisce e riconosce la simbolica della vita così come è:
«La giornata, la prima giornata della sua nuova libertà, è quasi finita. Il crepuscolo sta sospeso, basso, sulle vie. La gente torna a casa dal lavoro. Tra le buie pareti delle case scattano i quadrilateri di luce. Ora, hanno inizio le cerimonie private e ufficiali della sera – mille gesti vengono compiuti, anche se alla fine non producono altro se non un piatto di minestra, una stufa calda, una canzoncina per i bimbi. A volte, un uomo segue con lo sguardo la sua donna, che esce dalla stanza con il vasellame, e lei non si accorge com’è sorpreso e grato lo sguardo di lui .A volte, una donna accarezza la spalla di un uomo. È molto tempo che non lo ha fatto, ma al momento giusto sente che lui ne ha bisogno…
Rita fa un lungo giro vizioso per le vie e guarda dentro molte finestre. Vede come, ogni sera, un cumulo infinito di benevolenza, consumata durante il giorno, si sia rigenerata e riprodotta a nuovo. Non teme di restare a mani vuote nella ripartizione di quella benevolenza. Sa che talvolta sarà stanca, talvolta irritata e rabbiosa. Ma non ha paura.
Pareggia tutto il fatto che ci abituiamo a dormire tranquilli. Che viviamo senza risparmiarci, come se ce ne fosse anche troppo di questa strana sostanza che è la vita. Come se non dovesse avere mai fine».
Sono immagini di vita legate alla famiglia, ad una vita di benevolenza che si offre come spazio possibile, come la ri-generazione e la grazia da vivere ogni giorno, come occasione di redenzione e di speranza.
*Intervista rilasciata il 24.02.2013 in occasione del “Forum sull’educazione alla fede dei giovani” organizzato dal Servizio Diocesano per la Pastorale Giovanile (responsabile don Ivan Rauti) dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace.