Riprendiamo di seguito il testo dell’intervento tenuto oggi pomeriggio da mons. Mariano Crociata, Segretario Generale della CEI, in occasione dell’apertura del Convegno Nazionale degli economi e dei direttori degli uffici amministrativi delle diocesi italiane, in programma ad Assisi dal 25 al 27 febbraio.
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I. I beni temporali servono la comunione e la missione della Chiesa
Nel febbraio del 2004 si tenne a Bellaria il primoconvegno nazionale degli economi diocesani. Da allora altri otto incontri hanno accompagnato lo svolgimento del vostro servizio, affermandosi come occasioni preziose di aggior-namento, di riflessione e anche di conoscenza reciproca e amicizia. Man mano, questo appuntamento annuale ha coinvolto anche altre figure diocesane, come i direttori degli uffici amministrativi. Il nostro nuovo incontro riprende il percorso compiuto confermando il valore dell’iniziativa e vuole innanzitutto richiamare la nostra attenzione su alcuni orientamenti di fondo che presiedono alla vostra specifica responsabilità ecclesiale.
Uno degli scopi del vostro convenire è crescere nella consapevolezza della dignità dell’ufficio che vi è assegnato, per collaborare in maniera sempre più competente e aggiornata nell’amministrazione dei beni temporali della Chiesa, esercitando le varie funzioni via via affidatevi di gestione, di vigilanza o anche di consulenza.
In uno scritto del 1965 Yves Congar osservava che pochi sono i teologi che hanno considerato i beni temporali della Chiesa, «eppure si tratta d’una realtà appartenente anch’essa all’ecclesiologia» 1.
Il magistero del Concilio Vaticano II, di cui stiamo celebrando il cinquantesimo anniversario dell’apertura, è molto chiaro in proposito. La Costituzione conciliare Gaudium et spes, in particolare, afferma che «la Chiesa stessa si serve di beni temporali nella misura che la propria missione richiede» 2. Non c’è alcun dubbio che la Chiesa possa detenere dei beni temporali e che debba amministrarli in modo appropriato ed efficace, per la sua missione e nella misura in cui servono alla sua testimonianza di fede, speranza e carità. L’ecclesiologia conciliare fonda tale affermazione già con l’adozione – nel primo capitolo della Lumen gentium – della categoria di mistero, per spiegare come «la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l’assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino» 3. In quanto realtà anche umana e sociale, la comunità ecclesiale vive nelle dinamiche proprie dell’esistenza umana, comprese le sue condizioni materiali.
Beni temporali e comunione della Chiesa
Tale peculiare identità e condizione si manifesta nello stile e nelle forme che coerentemente traducono la sua natura divino-umana e la sua missione pastorale salvifica. Perciò la gestione dei beni temporali deve esprimere e servire quella comunione nella quale è costituito l’unico popolo di Dio. Dice il Concilio che nell’unica Chiesa le diverse parti sono tra loro unite da «vincoli di intima comunione circa i tesori spirituali, gli operai apostolici e gli aiuti materiali». Anche questi ultimi sono oggetto della comunione, «poiché i membri del Popolo di Dio sono chiamati a condividere i beni» 4. Da amministratori di beni donati dalla grazia di Dio attraverso la generosità dei fedeli, siamo chiamati a condividerli con tutti, a servizio dei fratelli nell’unica comunione della Chiesa.
Già nella Chiesa nascente l’attività di raccolta e di distribuzione dei beni a favore dei bisognosi era interamente motivata dalla comunione che si andava costituendo attorno agli apostoli e alla loro testimonianza: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno» (At 4,32-35). La condivisione diventava, in questa maniera, lo stile di vita della comunità cristiana come manifestazione visibile di quella unità profonda di spirito conseguita grazie all’unica fede e alla medesima carità.
Nelle testimonianze dei Padri della Chiesa risulta chiaramente che l’attività di raccolta e di distribuzione avveniva prevalentemente nell’ambito dell’evento sacramentale da cui ha origine e si rigenera la comunione della Chiesa: l’eucaristia. Scrive, ad esempio, S. Giustino che nel “giorno del sole” «coloro che hanno in abbondanza e che vogliono, ciascuno secondo la sua decisione, danno quello che vogliono e quanto viene raccolto è consegnato al presidente; egli stesso va ad aiutare gli orfani, le vedove e coloro che sono bisognosi a causa della malattia o per qualche altro motivo, coloro che sono in carcere e gli stranieri che sono pellegrini: è insomma protettore di tutti coloro che sono nel bisogno» 5. Il dispensatore dei beni è lo stesso celebrante: colui che presiede l’eucarestia presiede anche la carità della Chiesa. Nella comunione eucaristica si compenetrano a vicenda la fede, il culto e l’ethos: l’amore celebrato diventa offerta e la comunione dei santi si esprime anche come comunicazione dei beni a favore dei più poveri. Dice Tertulliano: «Quale significato abbia il nostro convito ve lo dice il nome, che in greco significa amore. Qualunque prezzo richieda, è sempre un guadagno la spesa che si affronta in nome della pietà, se in tal modo possiamo offrire assistenza e conforto ai poveri» 6. Qualunque prezzo richieda, è sempre un guadagno ciò che spendiamo in nome della carità.
A questa idea di comunione si sono ispirati i vescovi italiani nel delineare il sistema di sostegno economico della Chiesa, radicandola nel messaggio evangelico e fedele al magistero del concilio Vaticano II, secondo «un’esperienza di comunione, che riconosce a tutti i battezzati che la compongono una vera uguaglianza nella dignità e chiede loro l’impegno alla corresponsabilità e alla condivisione delle risorse» 7.
Beni temporali e fini della Chiesa
Il decreto conciliare Presbyterorum ordinis sintetizza, al riguardo, una riflessione antichissima quando ricorda ai sacerdoti che devono amministrare i beni ecclesiastici «per quegli scopi per il cui raggiungimento la Chiesa può possedere beni temporali, vale a dire: l’organizzazione del culto divino, il dignitoso mantenimento del clero, il sostenimento delle opere di apostolato e di carità, specialmente a favore dei poveri» 8. Il Codice di Diritto Canonico, a sua volta, ha puntualmente ripreso questo insegnamento 9. Il diritto della Chiesa all’acquisto e all’amministrazione dei beni ha come ragione e come limite la destinazione ai fini ecclesiali: non per altra ragione e non in misura ulteriore a quanto necessario per conseguire l’ordinamento del culto, l’onesto sostentamento del clero, l’esercizio dell’apostolato, il servizio dei poveri. In che misura e con quale priorità tali fini debbano essere perseguiti, dipende dal giudizio prudente dei pastori che devono poter reggere la missione della Chiesa in mezzo alla gente e nel territorio in cui essa vive. Se la Chiesa è chiamata a essere nel mondo la «casa aperta a tutti e al ser
vizio di tutti» e «la fontana del villaggio alla quale tutti ricorrono per la loro sete» 10, l’amministrazione dei beni poggia anzitutto sul giudizio sapienziale circa il miglior modo di offrire ospitalità agli uomini che siamo chiamati ad accogliere: quale casa, quale fontana per gli uomini a cui offrire l’acqua buona del Vangelo? Il giudizio verte sulla condizione della fede e sull’incontro con Cristo nella comunità ecclesiale, nella consapevolezza che tutti gli aspetti dell’esistenza umana e della sua conduzione sono coinvolti ed entrano in gioco nel cammino verso Dio.
Questo rapporto tra i beni materiali e i fini della Chiesa ha trovato eco nelle parole del venerabile Papa Paolo VI: «La necessità dei “mezzi” economici e materiali, con le conseguenze ch’essa comporta: di cercarli, di richiederli, di amministrarli, non soverchi mai il concetto dei “fini”, a cui essi devono servire e di cui deve sentire il freno del limite, la generosità dell’impiego, la spiritualità del significato» 11. La necessità dei mezzi deve sempre essere strettamente connessa alla stringente logica dei fini. Gli uomini che guardano la Chiesa, da dentro o dal di fuori di essa, attendono che questa si manifesti anche nell’azione quale essa è nella sua intima natura, e che i discepoli di Cristo usino del mondo come se non ne usassero (cf. 1Cor 7,31), secondo un amore senza misura e una povertà senza finzioni, sempre fiduciosi nella provvidenza del Padre.
Quando ci raduniamo a considerare i problemi dell’amministrazione dei beni temporali, in primo piano non è mai la necessità economica della Chiesa, né le accuse che eventualmente le vengono rivolte o le esigenze di organizzazione dei suoi uffici e ministeri o, ancora, l’impatto delle leggi civili e tributarie sulla gestione dei beni. In gioco è sempre, e innanzi tutto, la coscienza che la Chiesa ha di se stessa nel rapporto con le cose e con le realtà temporali. Occorre che ci sappiamo sempre interrogare sul rapporto tra queste e la natura indefettibile e la missione perenne della Chiesa: evangelizzare la Parola, testimoniare la carità, santificare gli uomini nel qui e ora dello spazio e del tempo.La questione dell’amministrazione dei beni temporali si innesta, così, sulle stesse profonde realtà che fondano l’identità della Chiesa e la sua missione, il suo essere costituita nel mondo quale sacramento, ossia «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» 12.
II. Il ministero degli economi e di quanti collaborano nell’amministrazione
Senza dubbio l’organizzazione dell’amministrazione dei beni ecclesiastici appartiene a titolo particolare al vescovo, «in ragione della presidenza che gli compete nella Chiesa particolare» 13. Nei primi secoli, anzi, il vescovo era il responsabile unico dell’amministrazione dei beni temporali: era considerato il «custode» dei beni della Chiesa 14, poiché doveva averne cura «come fosse economo di Dio» 15, e «come se Dio lo vedesse» 16. Una bella formulazione del principio è data dai Canoni apostolici risalenti alla fine del IV secolo: «Ordiniamo che il vescovo abbia potestà sui beni della Chiesa. Infatti se le preziose anime degli uomini sono affidate a lui, a maggior ragione occorre riporre nelle sue mani i beni temporali, affinché sotto la sua potestà tutti possano essere distribuiti ai bisognosi, con l’aiuto dei presbiteri e dei diaconi in base al timore di Dio e con tutta pietà» 17. Il vescovo deve, quindi, amministrare i beni temporali per la stessa ragione per la quale deve prendersi cura delle anime dei fedeli che gli sono affidate: “sorvegliare” il gregge di Dio perché proceda sulle strade della vicendevole fraternità e della carità verso i poveri. È quindi il vescovo a dover attendere alla distribuzione dei beni tra i bisognosi, ma con l’aiuto dei presbiteri e dei diaconi.
Verso la metà del IV secolo, a causa della gravità del compito, i vescovi cominciano ad avere dei collaboratori il cui ruolo diviene sempre più importante, fino a quando il Concilio di Calcedonia del 451 dispose che ogni vescovo dovesse obbligatoriamente servirsi di un «economo, scelto dal proprio clero, il quale amministri i beni della chiesa sotto l’autorità del proprio vescovo». Il Concilio si preoccupa anche di esprimere la ragione della norma: «Così, l’amministrazione della chiesa non sarà senza controllo, non verrano dilapidati i beni ecclesiali e l’ordine sacerdotale sarà al riparo da ogni rimprovero» 18. La figura dell’economo nasce per realizzare questi obiettivi: di buon andamento, di chiarezza, di partecipazione, di trasparenza e di credibilità nella gestione economica della Chiesa. Quello dell’economo e dei suoi collaboratori, quindi, è un impegno ecclesiale decisivo perché sia assicurata una trasparente testimonianza di carità, senza esporre la Chiesa, e in particolare il vescovo, a giustificati e umilianti “rimproveri”.
Il ruolo degli economi e dei direttori degli uffici amministrativi non può, quindi, configurarsi come un mero ausilio tecnico, utile per il raggiungimento di risultati economicamente soddisfacenti. Grazie al vostro aiuto, l’amministrazione dei beni ecclesiastici può corrispondere al criterio di competenza pastorale e tecnica,secondo l’auspicio formulato dal beato Giovanni Paolo II: «L’amministrazione economica della diocesi sia affidata a persone competenti oltre che oneste, in modo che la si possa proporre come esempio di trasparenza per tutte le altre analoghe istituzioni ecclesiastiche» 19.
Anche per questo è importante la sana partecipazione, a livelli diversi e con differenti responsabilità, di collaboratori fedeli ed esperti. La complessità dei problemi richiede sempre più il dialogo e la convergenza di competenze e professionalità diverse. Non a caso, il Concilio raccomanda ai sacerdoti di amministrare i beni ecclesiastici «a norma delle leggi, e possibilmente con l’aiuto di competenti laici» 20.
III. La Conferenza Episcopale Italiana figura di unità
Nella prospettiva dettata dalla nostra riflessione vorrei spendere qualche parola sul ruolo della Segreteria Generale della CEI, che si è assunta l’onere di organizzare questo incontro, in materia di beni temporali. Nell’Istruzione in materia amministrativa del 2005 quella della Conferenza Episcopale Italiana è descritta come una funzione sia normativa sia «di confronto, di coordinamento e di servizio» 21.
Mi pare opportuno, a questo riguardo, richiamare un brano del documento Comunione, comunità e disciplina ecclesiale: «In una società come quella italiana che, senza negare la diversità delle culture e delle situazioni, ricerca un’unità più dinamica e indirizzi convergenti di soluzione per i grandi problemi, la conferenza episcopale si propone come figura concreta dell’unità della Chiesa, che concorre, a suo modo, a far crescere quella del popolo italiano, nel rispetto delle legittime diversità ed autonomie»22.
Le sfide della nostra società e la maturazione delle nostre Chiese esigono laricerca di un’unità più dinamica e di indirizzi convergenti a fronte dei grandi problemi che ci stanno dinanzi. È proprio nell’accompagnare questa dinamica che la Conferenza Episcopale Italiana si propone come «figura concreta dell’unità della Chiesa» che vive nella nostra nazione.
Conviene, in proposito, fare un passo indietro e ricordare l’impulso che il Concilio Vaticano II ha dato alla costituzione e all’azione delle conferenze episcopali nazionali, sul presupposto che «in specie ai nostri te
mpi, i vescovi spesso sono difficilmente in grado di svolgere in modo adeguato e con frutto il loro ministero, se non realizzano una cooperazione sempre più stretta e concorde con gli altri vescovi» 23. Questa cooperazione esprime e concretizza l’«affetto collegiale» dei vescovi 24, che è sempre l’anima di ogni loro forma di collaborazione. D’altra parte, le molteplici sfide sociali, politiche e culturali dei nostri tempi esigono una «concordia di forze come frutto dello scambio di prudenza e di esperienza in seno alla Conferenza Episcopale» 25.
Il Sinodo del 1967 volle che tale cooperazione in seno alle conferenze episcopali fosse valorizzata anche e soprattutto in materia di beni temporali ecclesiastici. Il quinto dei criteri, che quel primo Sinodo consegnò alla Pontificia Commissione per la Revisione del Codice di Diritto Canonico, richiedeva che nella nuova normativa della Chiesa trovasse larga applicazione, soprattutto in materia di amministrazione di beni temporali, il principio di sussidiarietà, affinché potessero essere tenute nel debito conto le leggi delle nazioni e le situazioni sociali ed economiche proprie delle diverse parti del mondo 26.
Coerentemente il Codice di Diritto Canonico, entrato in vigore proprio trent’anni fa, lasciò alle decisioni normative delle Conferenze episcopali alcune determinazioni relative ai beni temporali; a seguito di ciò le delibere applicative della Conferenza Episcopale Italiana diedero vita a una significativa legislazione complementare in materia.
Subito dopo la promulgazione del Codice di Diritto Canonico, inoltre, l’Accordo tra l’Italia e la Santa Sede del 1984, favorendo la formazione di un’ampia normativa in materia di beni ed enti, ha impegnato tutta la Chiesa Italiana in un passaggio nuovo e coraggioso. La Chiesa rinunciava a forme di finanziamento automatico da parte dello Stato, quali la congrua e i fondi per l’edilizia di culto, e si rivolgeva senza complessi a tutti gli italiani, credenti e non credenti, chiedendo a tutti una ragionevole e generosa fiducia.
In questi tre decenni la Conferenza Episcopale Italiana ha realizzato un corpo di norme vive, che chiedono di essere osservate, perché la vita della comunità ecclesiale sia al tempo stesso dinamica e ordinata, docile nell’ascolto dello Spirito e attenta all’edificazione del bene comune. Il Beato Giovanni Paolo II, nel discorso che rivolgeva ai vescovi italiani nel settembre 1983, sottolineava che le leggi delle Conferenze episcopali «sono espressione del “munus regendi” e del “munus sanctificandi”» dei vescovi, poiché «costituiscono un aspetto del [loro] servizio pastorale» 27. Nella vita del popolo di Dio la legge ha la funzione non «di mortificare il dinamismo dello Spirito, ma di incanalare le energie del cristiano, ordinandone la creatività battesimale, che non si esaurisce nell’ambito individuale, ma chiede di espandersi anche a livello ecclesiale, cioè comunitario» 28. Se la promulgazione della disciplina costituisce un significativo esercizio della sollecitudine pastorale dei vescovi, il loro rispetto e la loro puntuale recezione nella pratica della vita ecclesiale rende più trasparente la testimonianza di comunione.
La nostra storia documenta l’importanza dell’azione della Conferenza Episcopale Italiana anche nei rapporti con le autorità civili. Il Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi, non a caso, segnala come peculiare ambito di azione delle conferenze episcopali «il dialogo unitario con l’autorità politicacomune a tutto il territorio» 29.
La Conferenza Episcopale Italiana ha servito la testimonianza delle Chiese in Italia non solo con l’emanazione di norme, ma anche attraverso la promozione e la gestione di progetti di comune interesse. Si pensi alle tante iniziative di solidarietà della Caritas Italiana, al Progetto Policoro, a favore dei giovani disoccupati soprattutto del nostro Meridione, al Prestito della speranza, che intende fronteggiare l’emergenza sociale nell’attuale contesto di crisi economica, al lavoro di valorizzazione del patrimonio ecclesiastico di beni culturali. Si tratta di iniziative che esigono, per loro stessa natura, il coordinamento delle forze di tutti e che trovano naturalmente il loro punto di raccordo nello strumento di comunione delle Chiese italiane.
Mi pare che oggi occorra particolarmente favorire il mutuo sostegno tra le diocesi, il dialogo e l’informazione reciproca di esperienze e di tentativi, il confronto fra le idee e la ricerca di punti di convergenza.
Così – attraverso l’emanazione di norme e direttive, la messa in opera di progetti di comune interesse, l’offerta di servizi, il dialogo con l’autorità civile, il costante confronto tra le diocesi – si compie la vocazione della Conferenza Episcopale Italiana, che è quella di essere, anche in materia di beni temporali, il punto di riferimento per le Chiese che sono in Italia.
Amministrando i beni temporali della Chiesa tutti noi operiamo a servizio della sua comunione e della sua missione nel mondo e lungo la storia. In questo spirito, facciamo nostra la suggestiva esortazione di S. Cipriano che dice: «Dividi i tuoi redditi col tuo Dio, spartisci i tuoi proventi con Cristo, rendi Cristo partecipe dei tuoi beni terreni, perché egli ti renda coerede con sé dei regni celesti» 30.
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NOTE
1 J. Congar, «I beni temporali della Chiesa secondo la tradizione teologica e canonica», in Chiesa e povertà, Roma 1968, 257.
2 Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 76.
3 Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, n. 8.
4 Lumen gentium, n. 13.
5 S. Giustino Martire, Prima Apologia, 67, 6, in Gli apologisti greci, Roma 1986, 148.
6 Tertulliano, Apologetico, 39, 16, Bologna 1992, 147.
7 Conferenza Episcopale Italiana, Sostenere la Chiesa per servire tutti. A vent’anni da Sovvenire alle necessità della Chiesa, 4 ottobre 2008, n. 4.
8 Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Presbyterorum ordinis, n. 17.
9 Cf. Codice di diritto canonico, can. 1254.
10 Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Christifideles laici, 30 dicembre 1988, n. 27.
11 Paolo VI, Udienza generale del 24 giugno 1970, in Osservatore Romano 25 giugno 1970.
12 Lumen gentium, n. 1.
13 Congregazione per i Vescovi, Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi Apostolorum successores, 22 febbraio 2004, n. 189.
14 Statuta ecclesiae antiqua, can. 15.
15 Canoni apostolici, can. 38.
16 II Concilio di Nicea (787), can. 12.
17 Canoni apostolici, can. 41.
18 Concilio di Calcedonia, can. 26.
19 Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Pastores gregis, 16 ottobre 2003, n. 45.
20 Presbyterorum ordinis, n. 17.
21 Conferenza Episcopale Italiana, Istruzione
in materia amministrativa, 1 settembre 2005, n. 1.
22 Conferenza Episcopale Italiana, Comunione, comunità e disciplina ecclesiale, 1 gennaio 1989, n. 58.
23 Concilio Ecumenico Vaticano II, Christus Dominus, n. 37.
24 Lumen gentium, n. 23.
25 Giovanni Paolo II, Motu proprio Apostolos suos, 21 maggio 1998, n. 13.
26 Cf. Communicationes 1 (1969) 81.
27 Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi italiani riuniti nella XXII Assemblea Generale Straordinaria, 22 settembre 1983, n. 4.
28 Ib.
29 Congregazione per i Vescovi, Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi Apostolorum successores, 22 febbraio 2004, n. 28.
30 S. Cipriano di Cartagine, La beneficenza e le elemosine (De opere et eleemosynis),13,19-23.