Il mitreo più antico in Italia

Svolta nelle ricerche presso il complesso romano di Anguillara

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Che il complesso romano di Anguillara Sabazia (noto con il toponimo di ‘Acqua Claudia’) potesse riservare molte sorprese era ipotizzabile (vista l’importanza e l’estensione), ma nulla faceva presagire alla conclusione a cui si è giunti.

Il complesso dell’Acqua Claudia ha un’estensione di circa due ettari e mezzo ed è incentrato su una poderosa esedra avente un arco di cerchio di 87 metri, chiusa alle estremità da due ninfei, uno dei quali ancora interrato. L’esedra è decorata da nicchie, scandite da semicolonne in laterizio, mentre la muratura in cementizio è interamente rivestita con la tecnica dell”opus quasi reticolatum‘. Questo accorgimento edilizio pone cronologicamente il complesso in un periodo ben preciso dell’età tardo-repubblicana, a cavallo della metà del I secolo a.C.

Alla fine del XIX secolo venne casualmente rinvenuto un frammento lapideo con un’iscrizione altrettanto frammentaria in cui era riportata la parola ‘CORNELIA’, termine probabilmente da porre in relazione con la gens di appartenenza del costruttore del complesso. Si ipotizza infatti che il proprietario possa essere stato Lucio Cornelio Balbo detto Major, amico di Giulio Cesare e Pompeo, (quest’ultimo il costruttore dell’omonimo teatro in Campo Marzio). L’impostazione architettonica in particolare richiama in maniera sorprendente proprio il teatro di Pompeo, la cui costruzione si pone cronologicamente tra il 61 e il 55 a.C.

Tornando all’analisi del monumento, si nota al centro dell’esedra un’entrata con un breve criptoportico frontale, la cui impostazione richiama, tra gli altri, il cosiddetto ‘Ninfeo di Egeria’ situato all’interno del Parco della Caffarella. Il criptoportico, incrociandosi con un ambulacro situato nella parte retrostante l’esedra, era preceduto da un vestibolo monumentale, sul cui lato destro si apriva un piccolo ambiente con volta a botte che a sua volta, con un angolo di 90°, permetteva l’accesso ad un ambiente ipogeo interamente scavato sul fianco della collina. La particolarità di quella che è in pratica una vera e propria grotta, è il fatto di essere divisa in tre rami, due dei quali frontali all’entrata e tra loro quasi paralleli, il terzo si sviluppa lateralmente per una lunghezza di circa quattro metri. Una recente  ripulitura da terra di dilavamento e immondizia di ogni sorta, ha permesso di individuare alcune caratteristiche davvero interessanti. Nel vano che si distende lateralmente rispetto all’entrata, sono tornate alla luce alcune ‘banchine’, interamente scavate nel paleosuolo pozzolanico che corrono su tre lati. Al centro della parete di fondo, anch’essa scavata nel paleosuolo, una nicchia rettangolare, di fronte alla quale, compreso tra le due banchine laterali, un piccolo vialetto acciottolato in pietra basaltica della lunghezza di circa cinque metri che si immette all’interno di una delle due gallerie laterali.

Lo studio e l’analisi dell’ambiente ipogeo ha permesso di identificarlo come il luogo per il culto del dio Mitra, divinità orientale importata a Roma durante il I secolo a.C. e diffusasi maggiormente durante l’età imperiale. Ci sono alcune caratteristiche che non lasciamo spazio a dubbi sull’identificazione. La presenza delle banchine laterali, la nicchia per il simulacro del dio, spazi accessori per gli animali da sacrificare, la nicchia per la conservazione dell’anfora contenente l’acqua per le abluzioni e la totale assenza di finestre ed entrate secondarie. Quest’ultimo particolare è decisamente interessante, in quanto nel soffitto della volta è stato rilevato un foro che collega l’ambiente ipogeo a quello che attualmente è uno spazio aperto mentre in passato era l’interno di un ambiente del piano superiore. Questo fa ipotizzare che l’ambiente ipogeo avesse bisogno non dell’illuminazione (il culto ‘mitraico’ è rigorosamente sotterraneo e con luce artificiale) ma di un ricircolo d’aria, nonostante le dimensioni dell’ambiente lascino supporre che fosse frequentato da una cerchia ristretta di persone. Il ricircolo dell’aria è vitale in quanto il rito mitraico prevedeva l’abluzione in una fossa detta ‘sanguinis‘ cioè contenente sangue di toro. Pitture e rilievi riproducono infatti l’iconografia di Mitra intento a sgozzare un toro, il cui sangue sarebbe ricaduto, attraverso una grata, all’interno della fossa sanguinis che conteneva l’adepto oggetto del rito. Ad Anguillara la fossa non è stata ancora individuata ma sappiamo che non tutti i mitrei la possedevano (specie questo a carattere privato e quindi esclusivo), cosi come non tutte le cerimonie potevano svolgersi con l’uccisione di un toro, soprattutto in spazi particolarmente angusti. In sostituzione venivano sgozzati animali da cortile, altrettanto adatti al compimento del rito.

Il culto di Mitra venne molto probabilmente importato in Italia dalle truppe dei legionari al seguito di Pompeo di ritorno dalle vittoriose battaglie in Asia Minore (in particolare compiute in Armenia, centro rilevante del Mitraismo) nell’autunno del 62 a.C. Nonostante questo, è accertato che quasi tutti i mitrei fino ad oggi rinvenuti nella penisola italiana risalgono al periodo compreso tra il I e il IV secolo d.C., epoca in cui vennero definitivamente chiusi dall’editto del 391 dell’imperatore Teodosio, che proibì tutti i culti pagani a vantaggio del Cristianesimo, ormai religione dell’Impero. Il mitreo del complesso dell’Acqua Claudia invece, grazie alle strutture murarie facenti parte dell’ingresso e del vestibolo d’accesso, è datato intorno alla metà del I secolo a.C. o poco dopo. Se quanto da me ipotizzato trovasse ulteriore conferma con il proseguo delle indagini, questo risulterebbe essere il più antico mitreo fino ad oggi rinvenuto in Italia.

Con il proseguo delle ricerche potremo avere conferma di quanto ipotizzato, ma il ritrovamento della fossa sanguinis o di alcuni reperti facenti parte del culto, corroborerebbero un’ipotesi che ha già trovato molti dei riscontri di cui necessitava. 

* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.

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Paolo Lorizzo

Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l'Università degli Studi di Roma de 'La Sapienza'. Esercita la professione di archeologo.

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