Avanti, nel solco tracciato da Benedetto XVI con umiltà e tenacia

“Ci mancherà il suo instancabile richiamo ad aprire le porte della ragione”

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Noi del GRIS, che abbiamo votato il nostro apostolato alla ricerca e alla informazione sui Movimenti Religiosi Alternativi (MRA) alla fede cattolica, siamo immensamente grati a Benedetto XVI che, se da un lato ci lascia, dall’altro resta con noi, come fondamento e sostegno, con ciò che ha già fatto e speriamo potrà sviluppare ancora in futuro. Poco conta se, trattandosi di rivalutare la ragione, parliamo di uno sviluppo che non collegherà al carisma petrino. La ragione ovviamente è un dono di natura, per sua natura laica, che precede la fede così che può e dovrebbe rivalutarsi indipendentemente da essa.

Ma lasciamolo dire a Giuliano Vigini che, commentando e riportando il pensiero di Benedetto XVI scrive: «… il Papa si è anche preoccupato di illustrare come, collocate nella loro giusta dimensione, ragione e libertà non siano affatto in contrasto con la fede. (…) Anzi, uno dei punti-cardine del pensiero di Benedetto XVI è proprio il rapporto assolutamente conciliabile e collaborativo tra fede e ragione: realtà certo autonome, indipendenti e che procedono con metodi conoscitivi diversi, dove però l’una – che accetta una verità in base all’autorità della parola di Dio che si è rivelata – integra e consolida l’altra, che accoglie una verità in forza della sua evidenza intrinseca, mediata o immediata.» (1)

Non altrimenti si è espresso Massimo Introvigne che, enumerando vari “pilastri dell’eredità di Benedetto XVI”, che il Conclave a suo avviso dovrebbe tenere presenti, vi include la denuncia e la lotta contro la “dittatura del relativismo”. Scrive infatti: «Nella grande enciclica “Spe salvi” del 2007 – un testo davvero fondamentale del pontificato – il Papa, sviluppando il discorso di Ratisbona, ci presenta una lettura teologica della storia dell’Occidente come progressivo abbandono della sintesi fra fede e ragione faticosamente costruita attraverso le tappe del protestantesimo, dell’Illuminismo e delle ideologie del XX secolo fino alla rivoluzione culturale iniziata nel 1968 che attacca la vita e la famiglia.» (2)

Molto più sinteticamente è anche ciò che ha sottolineato Valentina, una giovane di CL, sospirando: «ci mancherà il suo instancabile richiamo ad aprire le porte della ragione». (3) 

Il GRIS cioè non fa altro, non ha altre “armi” per prevenire il fascino dei MRA e per far luce a coloro che sono divenuti vittime di essi, che quello di aiutarli a mettere in moto meglio le meningi; di far appello alla ragione, analitica, critica, per verificare se vi sono le credenziali e la consistenza fondativa della nuova fede proposta loro. Per esempio se essa, proponendosi come la Chiesa di Cristo, è collegata storicamente all’epoca apostolica senza soluzione di continuità. E poi ad analizzare la coerenza interna della nuova dottrina. E, se ve ne sono (come quasi sempre vi sono), a prendere coscienza delle astute tecniche di reclutamento e di indottrinamento che i promotori dei MRA mettono in atto per aggirare, demolire, bypassare le scarse difese dei probabili “pesci” attratti dalla loro esca. Sono cose di cui parla anche il DOC n. 1 del Magistero da noi elencato nella prima puntata. (4) Accertamenti e verifiche in vista di offrire da parte nostra a chi ne ha bisogno la vera libertà di una scelta su base rettamente informata. Si potrebbe dire che… scoperchiamo la pentola perché nessuno comperi a scatola chiusa, attirato dalla bella confezione. Il fatto di invitare poi i soggetti ad aderire alla nostra fede lo affidiamo alla preghiera e alla presentazione e giustificazione di essa ma solo se richiesti. 

Settori di applicazione della Ratio in relazione alla Fides

Ce li ricorda lo stesso Benedetto XVI, ricavandoli dal proemio che San Tommaso fa al suo «… commento al De trinitate di Boezio: “Dimostrare i fondamenti della fede; spiegare mediante similitudini le verità della fede; respingere le obiezioni che si sollevano contro la fede” (q.2, a. 2). Tutta la storia della teologia è, in fondo, l’esercizio di questo impegno dell’intelligenza, che mostra l’intelligibilità della fede, la sua articolazione e armonia interna, la sua ragionevolezza e la sua capacità di promuovere il bene dell’uomo.» (5) Sono punti su cui torneremo analizzandoli con scrupolo. 

Ecco per finire un piccolo saggio, che forse sorprenderà, dell’uso della Ratio nella Fides

C’è una esortazione di Paolo VI sui maestri e i testimoni che tutti citano e che dice: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni».  Spesso (ohibò!) la troviamo forzata a significare che la gente d’oggi (e soprattutto i giovani) non ascolta più i maestri ma solo i testimoni. Ma è una frase che riceve la sua giusta luce solo dal contesto, ovvero dal target a cui il Papa l’aveva destinata: gli educatori. In sostanza il Papa raccomanda loro la coerenza tra la fede insegnata e la loro vita vissuta. Altrimenti – come ahimé accade quasi sempre! – l’educando che riceve l’insegnamento e che vuole (ne ha dirittto!) di vedere se e come in concreto esso può venire vissuto guardando come lo pratica l’educatore, ricevendo una testimonianza deludente o addirittura una controtestimonianza dalla stessa persona che vorrebbe inculcargli certi valori, li disprezzerà o alla meno peggio resterà dubbioso sulla loro realizzazione.

Fanno degna eco a tale “logicità” le massime che dicono “le parole convincono gli esempi trascinano”, “se volete sapere cosa gli uomini pensano non badate a ciò che dicono ma a ciò che fanno”, “medico cura te stesso”, ecc… e sullo sfondo si staglia la conferma evangelica che invita alla coerenza ricorrendo alla metafora della pagliuzza e della trave.

Tuttavia Gesù, nello stesso Vangelo, pur conoscendo l’ipocrisia tra il dire e il fare dei Farisei, sapendo che erano scrupolosi insegnanti della Legge, disse di non badare a quello che facevano ma di fare ciò che dicevano. Il target era diverso! Gesù non si rivolgeva agli insegnanti ma ai loro discepoli, al popolo. E a quanto pare insegnava a non creare un collegamento di squalifica dell’insegnamento se esso era eccellente, sulla base della non osservanza di esso da parte dell’insegnante.

Qui potremmo portare moltissimi esempi in cui il discepolo riceverebbe un grosso danno se disprezzasse la dottrina sulla base dell’incoerenza di vita di chi gliela trasmette: a partire dai genitori che di solito, anche se difettosi, insegnano cose giuste ai figli e i figli non hanno diritto di delegittimare la loro funzione educativa sulla base della loro incoerenza;(6) così sarà bene che facciano tutti i fumatori ai quali il medico (pur se fumatore!)  insegna loro correttamente i danni che il fumo arreca alla salute; così i fedeli che non hanno alcun diritto di rifiutare la dottrina evangelica se il loro parroco, da santo sul piedistallo immaginato, si rivela essere uno che caracolla come può insieme a loro, realizzando vari infortuni circa il comportamento ecc…

Quindi lo stesso Paolo VI, mentre con quella raccomandazione esortava gli educatori a fare ogni sforzo per divenire anche modelli di testimonianza, parlando agli educandi avrebbe raccomandato di non lasciarsi deprimere se per caso i loro educatori non erano all’altezza di ciò che correttamente insegnavano (6), che avrebbero dovuto badare a ciò che dicevano e non a ciò che facevano se quel fare era deludente ma il loro insegnamento eccellente.

Ricordo perfettamente che quando avevo il gruppo giovani raccomandavo ai miei ragazzi di non poggiare la loro fede sul mio esempio. Io, dicevo, ero un povero diavolo che come loro cercava di seguire alla bene e meglio le orme insanguinate del nostro comune Santo Maestro lungo la “via stretta”, e che se per caso un giorno fossi finito fuori dei binari mi aspettavo che loro stessi invece di buttare a mare l’insegnamento catechistico da me impartito loro, mi avrebbero aiutato a ristabilirmi.

Ma piace terminare questa illustrazione logica con due esempi molto convincenti:

1) Il primo lo ricaviamo dall’osservazione di Nietzsche che, pur esigendo la coerente testimonianza dei cristiani (chi non ricorda il suo desiderio di vedere più “facce da salvati” in coloro che escono dalla Messa?) osservò che – lo dico parafrasandolo in forma diretta – : “Il fatto che tu dia un’eccellente testimonianza mi dimostra che credi a ciò che dici, non che è vero ciò a cui credi!”.

Così oltre a spingerci a esibire “ragioni”, e non solo testimonianze personali, della nostra fede, ci ha anche messo al riparo anche da chi desse per caso una testimonianza truccata per veicolare una fede non vera.

2) Il secondo ci viene da San Tommaso al quale, come si racconta, un Padre Provinciale chiese se era favorevole a nominare un certo frate come Superiore-reggitore di un convento, nomina che al Provinciale sembrava opportuna trattandosi di un soggetto “molto buono e pio”. Sembra dunque che San Tommaso. con la sua proverbiale lucidità e stringatezza, rispose: “Si doctus, doceat; si prudens, regat; si sanctus est, oret pro nobis!”

Quindi se è saggio esigere da chi dirige la virtù della prudenza, è parimenti vero che chi dà solo una santa testimonianza di vita non è adatto a insegnare ove si richiede che conosca bene la dottrina. Nè, per contro, si può bocciare un dotto solo perché non è anche santo. L’ottimo e il massimo sarebbe ovviamente trovare educatori (e parroci!) con tutte e tre queste qualità, ma non trovandone è giusto riconoscere ad ogni qualità le sue specifiche competenze e contentarsi della dottrina se abbiamo un educatore che la conosce e predica bene, anche se razzola male.

Del resto come potrebbero mai gli studenti di scuole e università verificare la coerenza di vita dei loro professori dei quali ignorano perfino l’indirizzo di casa? Ma risulta forse che essi indaghino in tal senso per avere la sicurezza che ciò che è stato loro insegnato sia vero?

*

NOTE

(1) Così nella introduzione a BENEDETTO XVI, Imparare a credere, San Paolo, p. 14-15) (2) Cf  La vera agenda del Conclave, articolo di Massimo Introvigne, in la Nuova Bussola Quotidiana del 22-02-2013 

(3) in ZENIT 17 febbraio “Santo Padre rimanga con noi” 

(4) «Certe tecniche di reclutamento e di formazione (training) e certe procedure d’indottrinamento, praticate da numerose sètte e “culti”, spesso molto sofisticate, sono per buona parte all’origine del loro successo. Nella maggior parte dei casi, le sètte attirano, con tali mezzi, individui, i quali, in primo luogo, ignorano che questo approccio è spesso una messinscena e, in secondo luogo, sono inconsapevoli circa la natura della macchinazione che li porterà a farsi convertire e circa i metodi di formazione (manipolazione sociale e psicologica) cui verranno sottoposti. Le sètte impongono i loro modi particolari di pensare, di sentire e di comportarfsi, contrariamente all’approccio della Chiesa che implica un consenso convinto e responsabile.» (Il fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: sfida pastorale… n. 2.2)

(5) Cf  Fede e Ragione, Udienza generale, 16 giugno 2010 (in Insegnamenti di Benedetto XVI 2010/1, Ed. Vaticana, pp. 930-932) 

(6) Un pediatra ci direbbe che i figli legano molto con i genitori che si mostrano nella loro povertà invece di nascondersi dietro la “maschera del genitore perfetto”. Alla lunga il rapporto diventerebbe finto e “i motivi di incompresione e di allontanamento emozionale si accresceranno”, alimentate – suppongo io – anche dalle immancabili delusioni che i figli, nella loro intransigenza adolescenziale, ricevono dal comportamento prudente e cauto dei genitori oltre che dal toccare con mano le loro debolezze. (cf RAFFAELE ARIGLIANI, Genitori con la patente: domande al pediatra, Città Nuova pp. 17-19)

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Sandro Leoni

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