Nei precedenti ‘appunti di viaggio’ riguardante la Basilica di Santa Maria Maggiore abbiamo disquisito sull’importanza e la bellezza dei suoi sotterranei, uno dei molti tesori di questo complesso mariano. Ciò che invece è visibile a tutti è la poderosa struttura che si presenta dinanzi ai visitatori, ancor più suggestiva per tutti coloro i quali, percorrendo via Cavour, giungono in piazza dell’Esquilino. Attraverso la sua spazialità è possibile ammirare l’enorme monumentalità dell’edificio impreziosita dall’obelisco egizio che si staglia al centro dello spazio. Coloro i quali giungono presso la piazza superiore provenendo da piazza Vittorio Emanuele, potranno ammirare l’elegante facciata realizzata da Ferdinando Fuga nel 1741 (la cui realizzazione però comportò la ricopertura dei mosaici della facciata del XIII secolo) ed è formata da un portico a cinque aperture in basso e tre nella loggia superiore.
Abbiamo già in passato sottolineato come la nascita della Basilica sia frutto di un sogno fatto da Papa Liberio in cui comparvela Vergine Maria suggerendole un segno che di li a breve il pontefice avrebbe avuto per realizzare la fabbrica a Lei dedicata. L’evento eccezionale accadde il 5 agosto del 358, quando una insolita e miracolosa nevicata ricoprì il Colle Esquilino, permettendo al pontefice di tracciare il perimetro della Chiesa.
Abbiamo più volte ricordato come la Basilica di Santa Maria Maggiore sia una delle quattro Basiliche patriarcali di Roma, l’unica che abbia conservato le strutture paleocristiane. Il visitatore posto dinanzi alla monumentalità dell’edificio stenterebbe non poco a credere che in realtà l’edificio conservi numerose tracce della sua origine e ad alterarne la percezione è chiaramente una manipolazione moderna delle strutture la cui facciata tradisce un radicale rifacimento. Nonostante la costruzione, almeno nella fase esterna, abbia perso quel gusto antico, entrando nel portico si respira chiaramente quell’atmosfera barocca di Roma, fatta di scrittori e poeti, artisti salottieri e amanti dell’arte, dove si tende ad esasperare il concetto del bello enfatizzando anche i più piccoli dettagli. Con questa visone d’insieme è stata collocata nel 1949 la grande porta di bronzo realizzata da Ludovico Pogliaghi, che riproduce alcuni episodi della vita della Vergine, i profeti, gli Evangelisti e le quattro donne dell’Antico Testamento. Sulla sinistra è visibilela Porta Santa, benedetta da Giovanni Paolo II l’8 dicembre del 2001, realizzata dallo scultore Luigi Mattei e offerta alla basilica dall’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Il tematismo è chiaramente riferibile al culto mariano con le rappresentazioni del Cristo risorto che appare a Maria, l’Annunciazione al pozzo,la Pentecostee il Concilio di Efeso. In alto, ad incorniciare quanto rappresentato, lo stemma di Giovanni Paolo II e il suo motto.
L’aspettativa del visitatore di trovarsi dinanzi ad un monumento di gusto arcaico viene frustrata all’ingresso. Non siamo dinanzi a delusione, ma a puro stupore. L’austerità delle strutture paleocristiane qui è inesistente. Gli alti muri spogli hanno lasciato spazio ad un trionfo di elementi decorativi. Il clima mistico e silenzioso è sostituito da un turbinio di colori e riflessi, in cui lo sguardo fatica ad appoggiarsi su un particolare dettaglio. L’elemento di divisione della Basilica in tre navate scandite da due file di colonne, diventa un puro elemento accessorio, ma si tende subito a notare la trabeazione che si appoggia su di esse e che si interrompe soltanto verso l’abside. Le pareti visibili al di sopra di essa erano un tempo traforate da ampie finestre (di cui se ne conservano solo metà visto che le altre sono state murate), ma ora decorate da splendidi affreschi che rappresentano le “Storie della vita di Maria”. Li dove è situato il punto di congiunzione tra le pareti e il soffitto è visibile un elegante fregio ligneo decorato da sapienti intagli rappresentanti dei tori cavalcati da amorini che sembrano unirsi naturalmente al cassetto nato del soffitto. Qui è un trionfo del simbolismo (oltre a quello dei tori) degli eminenti esponenti pontifici della famiglia Borgia con la rappresentazione degli stemmi di Callisto III e Alessandro VI, situati al centro del soffitto. Questo venne probabilmente iniziato dalle maestranze di Callisto III, ma la realizzazione vera e propria fu ad opera di Alessandro VI, che incaricò Giuliano da Sangallo a realizzarne il disegno (poi completato da suo fratello Antonio). Uno degli elementi più appariscenti è la doratura che ne riveste le parti più significative. La tradizione vuole sia stato usato il primo oro proveniente della prima spedizione nelle Americhe fortemente voluta da Isabella e Ferdinando di Spagna ed offerto ad Alessandro VI.
(La seconda parte è stata pubblicata sabato 16 febbraio)
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.