Domenica 10 febbraio ritorno a casa trafelata dopo tre bellissimi giorni trascorsi fuori Roma densi di impegni e mi rendo conto frastornata che non occorreva disfare la valigia, tutt’altro: dovevo prepararne un’altra in vista della mattina seguente per andare verso un luogo del tutto particolare, dove desideravo recarmi, dopo aver rinviato più volte la data.
“Domani pensi di andare a Loreto?!”, chiede mia madre osservandomi con la curiosità di chi si trova di fronte ad una persona fantasiosa dalle improvvisazioni più strampalate. “Dove vuoi andare? Domani è emergenza maltempo, è stato rimandato addirittura il concorso nazionale per le scuole”. Accende la televisione a dimostrazione che, in effetti, il telegiornale – o tele-calamità, a seconda dei punti di vista – annunciava che la protezione civile era mobilitata per i due giorni seguenti… Continuo ad ultimare i miei preparativi senza dare troppa importanza a quelli che spesso chiamo ‘uccelli del malaugurio’; “il rischio lo corriamo, noi partiamo e il Signore farà il resto, comunque ci avremo provato”, decido risoluta.
L’indomani mattina, alla stazione Tiburtina l’armata Brancaleone era pronta a salire sul pullman: un’amica, l’amica dell’amica che aveva deciso di aggregarsi la sera prima, mia sorella che aveva finito per essere persuasa e svegliata la mattina stessa, ed io, che all’improvviso mi accorgo di essermi dimenticata il cellulare portando in cambio il caricabatteria: sarei sopravvissuta, tentavo di convincermi… sarebbe stato un pellegrinaggio senza troppe distrazioni.
Recitiamo un’avemaria per cominciare bene il viaggio e poi una chiacchiera tira l’altra, i nostri volti illuminati e felici: non era un caso, sapevamo, quello di trovarci lì insieme; era l’11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, giornata del Malato, e noi stavamo andando a Loreto, ognuna con le proprie intenzioni nel cuore, nella basilica dove è conservata per intero la casa di Nazareth. Quel giorno saremmo state ospiti a casa di Maria, e lì non si sa mai cosa aspettarsi, certamente cose belle, pensavo prima di piombare addormentata. Al risveglio mi circondava un paesaggio bianco, neve a perdita d’occhio, e noi ci trovavamo in mezzo ad una bufera: “Da quanto ha cominciato a nevicare?”. “Poco fuori Roma”, risponde mia sorella divertita, mentre, per nulla allarmata, io ero presa da quello spettacolo strabiliante. Avevo notato qualcosa di positivo ridendo: non c’era traffico, eravamo solo noi e gli spazzaneve.
D’improvviso la radio spezza il silenzio con i soliti toni sensazionali: “una rivoluzione per la Chiesa… le dimissioni del Papa… non accadeva da Celestino V…’ Tutte e quattro ci guardiamo perplesse, pensando a “quante baggianate deve inventarsi una radio o una televisione pur di ricevere ascolti”. Squilla un telefono, mia sorella risponde con aria preoccupata: “allora è vero…”. Non riuscivamo proprio a crederci. Al “come è possibile” segue la domanda “perché”, ipotesi, sbigottimento. “Doveva succedere proprio oggi?”, chiede una di noi… Sì, proprio oggi, né prima né dopo, oggi questo ci era stato preparato. La nostra meta assume nuovi colori, significati, i nostri cuori si riempiono di novità, ma sono pronti all’ascolto: bene, il papa e la Chiesa saranno il centro e l’intenzione comune del nostro pellegrinaggio. Non ci trovavamo davanti alla televisione, non avevamo mezzi per seguire gli eventi, ma stavamo andando alla casa di Nazareth: potevamo fidarci, potevamo pregare.
Durante il tragitto c’è un cambio di pullman, diretto, senza fermate intermedie, causa maltempo. Come risultato alquanto inaspettato a causa della bufera arriviamo a destinazione un’ora prima del previsto. Ringraziando anche di questo regalo capitiamo in quella che non sapevamo essere la migliore piadineria di Loreto: il proprietario del locale ci parla gioviale della moglie, dei figli, ci racconta la sua storia, i suoi venticinque anni di matrimonio, in modo ironico e benevolo. Trascinate da tanta simpatia ridiamo a crepapelle e ammiriamo la forza d’animo e l’ilarità di quell’uomo. Prima di uscire ci domanda perché eravamo dirette al santuario. “Che bello, io la fede non ce l’ho. Dite una preghiera anche per me”, chiede di sfuggita, salutando.
Corriamo con le ali ai piedi fino alla basilica. In cima alla cupola che domina imponente la piazzetta c’è la statua della Madonna incoronata di dodici stelle, il vento sferzante soffia mulinelli nell’aria. Appena entrate veniamo attirate al centro della chiesa, dove si erge preziosa e piccola la Santa Casa protetta da un rivestimento marmoreo. L’aria era piena di un tripudio di voci e strumenti di gruppi di pellegrini che cantavano lodi alla Vergine. Entrando nella Santa Casa ci inginocchiamo davanti alla statua lignea di Maria col Bambino. Sfioro i mattoni, lavorati secondo l’uso dei Nabatei ai tempi di Gesù, osservo le pareti alte appena tre metri, con la voglia di saziarmi di ogni segno; mi ritrovo cullata da una storia che tutt’ora continua, ripenso a come questa stanzetta in cui mi trovo possa essere stata trasportata a Loreto su una nave per iniziativa della famiglia Angeli, immagino una sconosciuta Ithamar data in sposa al quarto figlio di re Carlo II d’Angiò, nella cui dote compaiono ‘le sante pietre portate via dalla Casa della Nostra Signora la Vergine Madre di Dio’; rifletto sulle meraviglie dell’intreccio tra opera umana e Provvidenza, e ringrazio quell’umile Vergine che 2013 anni fa generò un frutto che non era delle sue mani, dando vita a tutte le opere che ancora oggi continuano a generarsi non da carne ma da Dio, prima tra tutte la Chiesa con il suo Papa, umana e celeste al tempo stesso: ‘Hic Verbum caro factum est’, era scritto in grande sull’altare, e questa parola rispondeva ad ogni bisogno, realizzava tutto e tutto trasformava in lode.