Ancora emozione, confusione e perplessità caratterizzano i giorni che ci separano dal grande addio a Benedetto XVI il prossimo 28 febbraio.

Leggendo i giornali e sentendo i commenti della gente comune è difficile trovare una risposta unitaria e le espressioni di gratitudine, stima e apprezzamento per l’innovazione apportata - ritenuta giusta e necessaria - si intrecciano con i commenti sul perché di tale scelta, sulla “sporcizia” della Chiesa, sulla non completa condivisione (anche da una parte del Clero) delle indicazioni di Benedetto XVI, saggio e teologo, fedele all’ortodossia della Chiesa.

Scorrendo con il mouse i numerosi siti telematici si ritrovano spesso appuntamenti di veglie di preghiera e adorazioni eucaristiche per la Chiesa ed il Papa. Nella chiesetta di San Giuseppe al Transito, vicino al Castello Ursino a Catania, dove una volta al mese viene celebrata la S. Messa secondo il rito latino, un folto gruppo di fedeli e giovani si è riunito in preghiera sabato sera.

Nel corso della Veglia eucaristica, l’assistente Don Antonio Ucciardo ha dettato una meditazione sul mistero della croce. Ha esordito con la citazione di Joseph Ratzinger nella sua Introduzione al Cristianesimo: "La cristologia procede oltre la croce, che è il momento percettibile dell’amor divino, per tuffarsi nella morte, nel silenzio e nell’obnubilamento di Dio. Possiamo allora meravigliarci, se la chiesa, la vita stessa del singolo, vengono continuamente trascinate in quest’ora del silenzio, nel dimenticato e accantonato articolo ‘Discese all’inferno’?".

La lettura del testo ha anticipato quanto il Papa ha detto domenica all’Angelus, in una piazza gremita e osannante con striscioni messaggi di ringraziamenti e appelli “Resta con noi”.

Come ci insegnano i Padri della Chiesa, le tentazioni fanno parte della “discesa” di Gesù nella nostra condizione umana, nell’abisso del peccato e delle sue conseguenze. Una “discesa” che Gesù ha percorso sino alla fine, sino alla morte di croce e agli inferi dell’estrema lontananza da Dio.

In questo modo, Egli è la mano che Dio ha teso all’uomo, alla pecorella smarrita, per riportarla in salvo. Come insegna sant’Agostino, Gesù ha preso da noi le tentazioni, per donare a noi la sua vittoria. Non dobbiamo aver paura, quindi, di affrontare anche noi il combattimento contro lo spirito del male: l’importante è che lo facciamo con Lui, con Cristo, il Vincitore.

Questa affermazione del Credo, appare quanto mai opportuna per tentare di comprendere le ragioni delle dimissioni di Benedetto XVI. Non si vuole forzare il suo pensiero, e nemmeno trovare a tutti i costi una spiegazione. Tuttavia dobbiamo tentare di capire quel gesto, assolutamente libero, che egli ha voluto compiere per il bene della Chiesa.

Ce lo impone la coscienza di cattolici. Ce lo impongono quelle ricostruzioni, spesso farneticanti, che in questi giorni si propongono in un terreno fatto di incertezze, se non proprio di autentica ignoranza in materia di fede. Ce lo impongono le letture fuorvianti che vengono da un mondo laico sempre attento a trarre indicazioni utili per la vita di una Chiesa che considera un ostacolo al progresso della società. 

Prendendo spunto dal Cristo che prima di salire al Padre “discese agli inferi” si potrà forse meglio comprendere il silenzioso buio della Chiesa di oggi che medita come il chicco di grano che, se non viene nascosto nella terra, non potrà portare frutto.

Ora la scelta di Benedetto XVI, umile operaio nella vigna del Signore, che ha potato rami secchi ed ha fatto rinverdire foglie avvizzite, ha realizzato vivai per la raccolta di nuove energie culturali e di prospettive di innovazione, adoperando anche nuovi strumenti tecnologici della comunicazione e della relazione.

Il Santo Padre ha deciso di nascondersi nel silenzio della preghiera come il chicco di grano che si nasconde nel buio della zolla scura e resta in attesa orante del germoglio di una nuova primavera per la Chiesa che sarà guidata da un nuovo Pastore, scelto dai Padri del Conclave secondo le indicazioni dello Spirito Santo.

Il chicco di grano, caduto in terra e nascosto, porterà certamente frutti nuovi, e come ha detto il Papa all’Angelus: "Il vero bene non è quello che potrà sembrare un bene se si vuole seguire Dio e non l’io". Il ministero petrino potrà essere accostato in questa profondità tanto impenetrabile del mistero pasquale. In questa prospettiva Papa Ratzinger parla della condivisione da parte di Cristo della situazione di abbandono che l’uomo sperimenta nella morte. Ciò equivale a dire che l’uomo, ogni qual volta sperimenta la solitudine e l’abbandono, viene condotto in quella sofferenza e in quel sacrificio supremo da cui la Vita si afferma con la potenza della Risurrezione.

Benedetto XVI ha scelto per il bene della Chiesa, la dimensione del Sabato Santo e questa quaresima dai colori ancor più violacei accompagna il cammino penitenziale verso per una nuova Pasqua.  Il Papa ha scelto di essere nascosto in Cristo in questa dimensione di apparente non senso, di nascondimento che prepara l’annunzio. Parlerà ancora, ma in modo diverso, insolito, forse necessario di fronte ai cristiani storditi dal sonno. Parlerà a partire dall’eloquenza del gesto, perché a lui è stato chiesto di seguire il Signore fin dentro questo mistero di conformazione radicale, che ci interpella tutti.

Nessuna contrapposizione con il predecessore. Entrambi calati, come tutti i successori di Pietro, nel mistero della morte e della risurrezione. Uno sulla croce, l’altro nell’epilogo della croce prima che il seme, morto nel cuore della terra, porti il frutto della salvezza. Anche la Chiesa dev’essere trascinata in questo silenzio. Soprattutto nel momento in cui molteplici lusinghe tentano di trasformare la sua missione di salvezza in servizio mondano, mentre la carità cristiana si rimpicciolisce nella formale solidarietà umana, priva di forza e carica interiore.

L’anziano successore di Pietro canta il suo “Nunc dimittis” per posare il cuore stanco accanto al Cuore trafitto  di Gesù da cui la Chiesa trae la sua vita. Con questa icona di contatto e di conformazione al mistero della Croce, il silenzio ed il nascondimento produrranno frutti di grazia per il prossimo Vicario di Cristo e per la Chiesa intera. Questa non è soltanto l’ultima lezione del Papa teologo, è anche la più grande!