Abbiamo concluso l’articolo precedente (Arte e Carità, parte II) con le vive parole di Benedetto XVI, pronunciate il 19 gennaio ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, e proprio da quelle parole vogliamo ripartire: «La giusta collaborazione con istanze internazionali nel campo dello sviluppo e della promozione umana non deve farci chiudere gli occhi di fronte alle gravi ideologie” dettate da “una visione materialistica dell’uomo” e da “un’antropologia al suo fondo atea”; su questo “dobbiamo esercitare una vigilanza critica e, a volte, ricusare finanziamenti e collaborazioni” che “favoriscano azioni o progetti in contrasto con l’antropologia cristiana» [1]. Con le sue parole, Benedetto XVI spinge sempre il discorso su un piano superiore.
Abbiamo già argomentato in precedenza [2], che l’arte ha una relazione profonda sia con la morale che con il diritto, e dalle parole del Papa siamo sollecitati a riflettere ancora come tutto il mondo delle teorie estetiche e in modo particolare delle istanze filosofiche fondative del “sistema d’arte” [3] cristiano, debba poggiare su una corretta visione antropologica, alla quale non è possibile rinunciare. Senza una corretta antropologia, verrebbe meno il valore veritativo che l’arte per sua natura veicola, e di conseguenza imploderebbe l’aspetto formativo ed educativo che l’arte stessa svolge per la piena formazione e il pieno sviluppo della facoltà umane, attraverso una completa – oggi forse si direbbe olistica – cultivatio homini.
L’arte non è un campo neutro, non è un luogo a se stante, e tanto meno può essere concepita come luogo della “pura espressione dello spirito (dell’io)” o – ancor peggio – come il luogo disinibito dell’azione a-morale. Anche l’arte deve poggiare su una corretta visione dell’uomo, e del resto non a caso la Chiesa si definisce arbitra [4]delle arti in quanto è esperta in umanità.
Il punto 6 dell’Inter Mirifica, a cui più volte abbiamo fatto ricorso, consente esplicitamente di comprendere come la non negoziabilità dei valori morali debba intendersi estesa anche alle “teorie estetiche”. Dove venga meno una corretta visione dell’uomo, lì si annida una “erronea” dottrina che non può essere accettata né come fine né come mezzo dell’azione artistica. Da qui ne discende che un “sistema d’arte” fondato su principî antropologicamente non corretti sia di fatto non utilizzabile per edificare l’uomo e, ancor meno, per proclamare Cristo.
Dunque, come esistono “valori non negoziabili” in ambito morale, etico, bioetico, politico, eccetera, così, in virtù della profonda relazione che esiste tra bene, vero e bello, si dovrebbe affermare che esistono anche “valori non negoziabili in ambito artistico”.
Considerando la situazione psicologica della collettività post-moderna e considerando anche che questo campo è rimasto incolto per lungo tempo, senz’altro risulta difficile affermare, su base filosofica e di diritto, che esistono una arte e una teoria dell’arte “vera” rispetto ad altre “erronee”, ma, sebbene difficile, tale compito è giusto, ed anzi, forse proprio perché è difficile, appare ineludibile.
Il valore giuridico di giusto, rimanda al buono, buono per l’uomo, cioè fatto per il suo bene, in suo favore, e proprio in questa prospettiva, che considera insieme il bene ed il suo destinatario, il Codice di Diritto Canonico afferma che «si devono osservare “principi e norme” propri sia della “liturgia” che dell’“arte sacra”» (CDC 1216).
La corretta teoria artistica ed estetica, in quanto ontologicamente fondata, svolge il ruolo di araldo della verità, di annunciatore di ciò che è buono, come più volte è indicato nei documenti magisteriali, ed inoltre adempie anche il “giusto” compito di carità nei confronti degli uomini.
Come appare concordemente nella vasta letteratura che nel corso dei secoli si è raccolta attorno al tema dell’arte e dell’arte sacra in particolare nel seno della Chiesa, l’arte, quando è corretta e cioè disposta al bene dell’uomo, svolge innanzitutto un compito “educativo”, educa i pauperes, educa il popolo di Dio, e lo educa alle cose buone, ovvero morali, e lo istruisce ai misteri di Dio. Laddove poi si renda possibile, le arti possono educare attraverso esempi, exempla, di martiri, vergini, confessori ed apostoli, attraverso le vite dei santi o ancor meglio attraverso le “sacre storie” [5], attraverso cioè la modalità parenetica, che è in grado di mostrare i corretti insegnamenti tanto da dissipare dubbi, ammonire nei confronti del peccato, svolgere anche azione di consolazione mostrando la ricompensa finale o le grazie particolari distribuite, ed in fine incoraggiare a superare le difficoltà delle offese subite ed educare alla pratica delle virtù.
Le arti poi, se fondate su un “sistema d’arte” ordinato con teorie estetiche buone, sono per loro natura capaci di suscitare buoni sentimenti, e predisporre l’anima alla preghiera, fino a giungere alla sommità della vetta di lodare e di far lodare il Signore.
Benedetto XVI nella Deus Caritas est afferma: «l’intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro. La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza» (n. 25). Le belle arti che si pongano autenticamente al servizio della Chiesa, dovrebbero servirla nella realizzazione del suo triplice compito kerigmatico, liturgico e caritativo.
Nella prospettiva della riflessione sul fondamento giuridico dell’arte sacra, emerge in particolare che le arti, se ordinate al bene e se fondate su una corretta teoria estetica capace di cogliere il senso profondo della verità della bellezza, sono in grado di svolgere pienamente anche il compito dell’amore verso gli uomini, ovvero della carità, adempiendo così ai precetti delle opere di misericordia spirituale: Consigliare i dubbiosi, Insegnare agli ignoranti, Ammonire i peccatori, Consolare gli afflitti, Perdonare le offese, Sopportare pazientemente le persone moleste, Pregare Dio per i vivi e per i morti.
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Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Accademico Ordinario Pontificio.
Website: www.rodolfopapa.it
Blog: http://rodolfopapa.blogspot.com
E-mail: rodolfo_papa@infinito.it
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[1] Benedetto XVI, Discorso alla Plenaria del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, 19 gennaio 2013.
[2] Rimando anche al mio libro R. Papa, Discorsi sull’arte sacra, Cantagalli, Siena 2012.
[3] Cfr. R. Papa, Discorsi sull’arte sacra, pp. 69-120.
[4] Concilio Vaticano II, Costituzione su La Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, 4 dicembre 1963, 122
[5] Con “Sacre Storie” s’intende la narrazione degli eventi della vita pubblica di Cristo e i suoi ammaestramenti attraverso, gesti,
predicazioni, guarigioni e parabole secondo una antica espressione patristica Cfr. Giovanni Damasceno, Difesa delle immagini sacre, a cura di v. Fazzo, Città Nuova, Roma 1997, I, 50-51.