Il "conclave" della fede al quale siamo tutti chiamati

Il Papa ha rinunciato per ricondurci al nostro cuore, per aiutarci a credere

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Oggi, mercoledì delle ceneri, sulla soglia della quaresima, un Papa stanco, provato, e carico della Croce si è incamminato attraverso la porta della fede che egli stesso ha aperto alcuni mesi orsono, e ci chiama a seguirlo. Ci attende un lungo “conclave”, il segreto della stanza dove si gioca la nostra vita, come quella della Chiesa: il “conclave della fede” nel quale entrare con il capo cosparso di cenere, accogliendo e custodendo le parole che ci verranno dette oggi: “Polvere sei e polvere tornerai, convertiti e credi al Vangelo”. Scriveva San Paolo ai Romani:  “Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza”; nessuna professione di fede sarà credibile, nessuna nuova evangelizzazione sarà autentica, se prima, dai Cardinali al più semplice fedele, non saremo entrati nel conclave del nostro cuore, e lì, nel segreto dialogo che decide l’esistenza, non accoglieremo il dono della fede preparato da Dio per noi. Il Papa ha rinunciato per ricondurci al nostro cuore, per aiutarci a credere. Non vi è dossier, scandalo, peccato, non vi è nulla di più importante e decisivo che la fede. Ma essa viene dalla “stoltezza della predicazione”, dell’annuncio del Kerygma, la Buona Notizia che Cristo è risorto. E mai come oggi  la predicazione è stata così “stolta” per il mondo: poche parole, e un gesto che realizza quello che il Papa aveva detto proprio in un mercoledì delle ceneri: “Convertirsi a Cristo significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza, esigenza del suo perdono”. 

La Buona Notizia ha oggi il volto, lo sguardo e la voce di Benedetto XVI, seduto sulla cattedra dell’umiltà, crocifisso con Cristo nella stessa rinuncia a se stesso per far posto al potere di Dio. Gesù, nei brevi anni della sua vita pubblica, ha predicato e sanato, ma solo sulla Croce e nel sepolcro ha salvato l’umanità. Anche il Papa, negli anni del suo pontificato, ha insegnato, predicato, sanato tante situazioni. Ma oggi, con la sua rinuncia, è Cristo che di nuovo viene innalzato sulla Croce dinanzi ai nostri occhi per attirare a sé l’umanità; con il Santo Padre Cristo è pronto ad entrare nel sepolcro di un convento per intercedere ancora per ogni uomo. E’ la rinuncia che prelude alla risurrezione, il Golgota e la tomba che preparano lo splendore dell’alba di Pasqua. La stessa Croce e lo stesso sepolcro sono pronti per noi: “Quando pregate, non siate simili agli ipocriti… ma entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. Non a caso, proprio in Quaresima, “ci è stato tolto lo Sposo”: Sede vacante si dice, profezia e memoria del tempo in cui lo Sposo non è con i discepoli. Un tempo di digiuno, l’unico autentico, al quale, vedove come la Chiesa dei prossimi giorni, siamo tutti chiamati. Digiuno di pensieri e parole stolte di mormorazione e giudizio; digiuno che ricorda la fame di Verità e amore che afferra ogni uomo; digiuno che si fa preghiera ed elemosina nel segreto dell’intimità del conclave a cui Dio ci convoca, per rinunciare all’uomo vecchio e rivestirci dell’uomo nuovo mosso e ispirato dalla fede, la speranza e la carità. 

“Egli è colui che prese su di sé le sofferenze di tutti. Egli è colui che fu ucciso in Abele, e in Isacco fu legato ai piedi. Andò pellegrinando in Giacobbe, e in Giuseppe fu venduto. Fu esposto sulle acque in Mosè, e nell’agnello fu sgozzato. Fu perseguitato in Davide e nei profeti fu disonorato” (Melitone di Sardi, Omelia Pasquale). Poi, Egli è stato di nuovo crocifisso nella vita dei santi, ucciso e perseguitato nei martiri che in ogni latitudine e secolo hanno versato il loro sangue. E oggi, Egli, ha rinunciato in Benedetto XVI, un segno indelebile sulla pelle della Chiesa e dell’umanità. Scelti e chiamati da Dio, i profeti e i santi, accanto alle parole, hanno sempre incarnato il messaggio che gli è stato affidato. Osea ha dovuto prendere come moglie una prostituta; Geremia ha conosciuto le pene del carcere; Ezechiele ha visto morire sua moglie; sulla carne di San Francesco sono apparse le stimmate; Benedetto XVI ha deposto nel sepolcro il suo pontificato. Vivrà tra le mura di un convento, come in un lungo sabato santo. In silenzio, anticipando profeticamente il dissolversi della carne, attraverso la quale, di norma, si esercita il potere e si governano le cose della terra. Ma un Papa ha a che fare con qualcosa che è sì nel mondo, ma non vi appartiene. Egli governa le cose della terra con la legge del Cielo, l’amore incorruttibile che non conosce l’usura del tempo. E rinunciare è, essenzialmente, il gesto più grande d’amore, che solo la sapienza celeste è capace di decodificare. Nel mondo la rinuncia è viltà, fuga dalle proprie responsabilità. Nel Cielo, la rinuncia è il segno più credibile della vita che in esso è donata. Cristo ha rinunciato a parlare, a difendersi, a lottare; Cristo ha rinunciato alla propria vita, perché ad un’altra era chiamato; Cristo ha rinunciato alla terra perché non dubitava del Cielo; Cristo ha rinunciato a tutto per dare tutto se stesso a ogni uomo. Il gesto di Benedetto XVI incarna e ci pone davanti la stessa rinuncia di Colui del quale è vicario qui sulla terra. E’ Cristo che in lui ha rinunciato. 

La conversione, dunque, sorge dalla rinuncia, che è anche un sinonimo di sequela e amore: “Chi non rinuncia a tutti i suoi beni, e perfino alla propria vita, non può essere mio discepolo”. A che cosa siamo disposti a rinunciare oggi? Forse a nulla, ed è la ragione per la quale non possiamo essere discepoli autentici di Cristo. Il Papa ha rinunciato per insegnare alla Chiesa intera cosa significhi, “nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede”, essere discepolo credibile del Signore: fermi nella fede, rinunciare a tutto per amore a Cristo, che è anche, l’unico amore autentico per ogni uomo. Incamminiamoci allora in questa Quaresima seguendo le orme che Cristo ci ha lasciato in quelle deposte dal Santo Padre sul sentiero della storia. Entriamo con la Chiesa e accompagniamo i Cardinali nel conclave improvvisamente fattosi imminente. Inoltriamoci nei giorni di penitenza custodendo nel cuore le parole di San Paolo, scritte duemila anni fa ai Filippesi, ma recapitate dallo Spirito Santo, oggi, a ciascuno di noi: “Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva sulla fede. E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù”.

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Antonello Iapicca

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