Come un fulmine a ciel sereno, al quale su Roma ha seguito anche la pioggia metereologica, Benedetto XVI ha annunciato ieri la sua rinuncia al mandato petrino con decorrenza dal prossimo 28 febbraio.
Una notizia inedita che come il tuono successivo al fulmine ha fatto sentire il suo boato dalla sala del Palazzo Apostolico fino ai più remoti confini del villaggio globale.
La decisione, benché mantenuta in un riserbo che nessuno ha potuto infrangere veniva però già contemplata nel 2010 nel libro-intervista “Luce del Mondo” di Peter Seewald. Al giornalista tedesco Benedetto XVI così rispondeva: «quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, psicologicamente e mentalmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto ed in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi».
Acquisito il principio, la tempistica di questa chiara consapevolezza di cui accenna, sembra abbia preso corpo dopo il viaggio in Messico e a Cuba. Con il senno di poi, eventi recenti come il mini concistoro per la nomina di cardinali elettori extraeuropei e l’elevazione alla dignità episcopale del suo segretario personale Georg Geiswein, spiegano come progressivamente il Papa abbia previsto e in qualche modo preparato il futuro conclave prima di uscire dalla scena.
Il suo è un gesto d’immensa nobiltà ed attualità in una società dove la gente non rinuncia al benché minimo potere e privilegio. E’ l’ennesima lezione del Papa maestro della fede e maestro di umanità.
Benedetto XVI ha dato un segnale forte di grande libertà interiore, coraggio e umiltà.
Sono proprio queste le caratteristiche ora richieste al suo successore per governare “la barca di Pietro” con quel vigore effettivo che l’avanzare dell’età diminuisce in ognuno fino all’effettiva inadeguatezza, per un Papa,di esercitare un ministero impegnativo e unico con la dovuta efficacia.
“Giovanni Paolo II non scese dalla croce” ha dichiarato il card. Stanislao Dziwisz, arcivescovo di Cracovia che fu soprattutto segretario personale del compianto papa polacco.
La scelta di Benedetto XVI benché di natura opposta a quella del suo predecessore, non per questo va interpretata comeminore amore alla Croce a al Corpo Mistico di Colui che vi è inchiodato. La Chiesa infatti ha bisogno oggi più che mai di un pastore universale capace di raccogliere la sfida del mondo contemporaneo con efficacia ma anche efficienza.
In questa dinamica diventa importante non solo chi sarà il prossimo successore di Pietro, ma cosa sarà e cosa farà per condurre la Chiesa dove Dio vuole che vada: in orizzontale e in verticale, nell’immanente e nel trascendente.
Sarà un fatto nuovo l’esistenza di un Papa con la presenza di un “Vescovo emerito di Roma” che lascia presagire l’inevitabile e saggia scelta di una continuità ministeriale e soprattutto magisteriale.
Lo sanno bene i centodiciassette cardinali elettori che dalla Cappella Sistina lasceranno il mondo con il naso sospeso per scorgere la fumata bianca dell’habemus papam in tempi forse non brevi.
Se l’annuntio vobis gaudium magnum del 19 aprile 2005 veniva pronunciato due giorni dopo l’inizio del conclave, è improbabile che i cardinali elettori scelgano stavolta la linea della sicurezza e della transizione con un eletto anziano e consolidato.
La fede rimane sempre un rischio ed una provocazione al calcolo umano, di cui la Chiesa molte volte nel corso della sua storia ne ha fatto felice esperienza.
Finisce l’epoca dei Papi che presero parte attiva al Concilio come Montini, Luciani, Wojtyla, Ratzinger ed inizia l’epoca dei cardinali di una nuova generazione, quelli consacrati da Giovanni Paolo II e dallo stesso Benedetto XVI.
Il primo mostrò al mondo il volto bello e illibato della Chiesa attraverso la tensione missionaria; il secondo, nei momenti in cui si è voluto buttare fango su questo stesso volto, ha fatto riscoprire al mondo le radici cristiane della cultura occidentale, convinto che non c’è progresso senza un ritorno alle origini.
Ambedue hanno in questo senso evangelizzato e compiuto la propria missione.