Riprendiamo la seguente riflessione firmata da monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, pubblicata sull’edizione di domenica 10 di febbraio 2013 del quotidiano Il Sole 24 Ore.
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Tre urgenze della nostra convivenza civile meriterebbero di essere al centro del dibattito in corso sul futuro del Paese in questi giorni di accesa campagna elettorale, nella quale tutto sembra concentrarsi sull’economia, fra chi avanza proposte misurate e chi fa fantasmagoriche promesse.
La prima urgenza è quella della denatalità: la diminuzione del numero delle nascite pone l’Italia fra gli ultimi posti in Europa nella classifica del tasso di natalità. Si parla di “inverno demografico”, e c’è già chi ipotizza scenari pesanti, come ad esempio quello del divario crescente fra numero di lavoratori attivi e pensionati, per cui quanti sono impegnati in attività lavorative dovranno “sostenere” un numero di pensionati sempre più grande in rapporto al loro. Incoraggiare le nascite è certo anche questione di sostegno economico alle famiglie per ogni nuovo nato, ma più in generale esige una mentalità “pro vita”, che nella cultura dominante sembra diventata obsoleta. L’atteggiamento diffuso, anche fra i prossimi sposi, è quello di puntare sul figlio unico, ritenendo improponibile ogni maggiore investimento sul numero di figli da volere.
Questa mentalità si riflette sul processo educativo delle nuove generazioni: la questione giovanile e la sfida educativa costituiscono la seconda urgenza sulla quale andrebbero puntati i riflettori, come evidenziano la triste diffusione del “cyber bullismo” e alcuni recenti, gravissimi episodi di cronaca nera (quale il caso dei “baby assassini” da ”arancia meccanica” di Manfredonia). Lo scarso numero di figli e la propensione delle coppie al figlio unico producono una diffusa esperienza di solitudine generazionale. Crescere senza vincoli di fraternità è cosa ben diversa dall’averli. Nonostante ogni argomento che possa sembrare contrario, la relazione fraterna è vitale per lo sviluppo della persona, ben più di quanto spesso si pensi. Il mondo relazionale costituito dalla famiglia è grembo educativo fondamentale, articolato non solo nel rapporto genitori – figli, ma anche nella più ampia rete che abbraccia fratelli e sorelle, nonni e parenti più o meno stretti. In una società che tende a essere “folla di solitudini”, il valore dell’istituto familiare in tutta la ricchezza delle sue relazioni è perciò sempre più rilevante, non per chiudere la persona nei legami asfissianti del familismo, ma per inserirla in un tessuto relazionale affidabile, che le consenta di maturare ed esprimersi progressivamente in contesti di sostegno psicologico e morale.
La terza urgenza, cui desidero accennare, è proprio l’educazione alla socialità: la sfida dell’integrazione tocca ambiti sempre più vasti della vita comune, dall’accoglienza degli immigrati, assolutamente necessaria al Paese e doverosa per il rispetto dovuto alla dignità della persona, ai processi di socializzazione e di partecipazione, senza i quali lo sviluppo della personalità risulta monco o comunque ferito. Anche qui la famiglia si rivela laboratorio prezioso. L’incremento della natalità, la sfida educativa e la costruzione di reti efficaci di superamento delle individualità chiuse, a favore della comunicazione e della corresponsabilità nell’edificazione della casa comune, mi paiono urgenze d’interesse primario per il bene comune.
A fronte di esse ci si aspetterebbe una nuova attenzione rivolta proprio alla famiglia, nucleo primario e indispensabile per la generazione della vita, per la sua crescita e la realizzazione dei processi educativi, oltre che per favorire lo sviluppo della socializzazione e della partecipazione dei singoli alla costruzione del bene di tutti. Quest’interesse è in gran parte assente o ampiamente marginale nel dibattito politico e sembra sostituito da attenzioni che, sebbene non improprie, sono tuttavia sovradimensionate rispetto alla reale gerarchia delle necessità: così, ad esempio, il rilievo dato alle unioni omosessuali e allo statuto da dare ad esse, che alcuni vorrebbero del tutto analogo a quello della famiglia fondata sul matrimonio fra l’uomo e la donna e sulla procreazione dei figli. Più che rispondere a un’esatta scansione delle urgenze, queste posizioni mi paiono costituireil prodotto di un generale processo di privatizzazione e di secolarizzazione della cultura, del costume e delle forme della convivenza. Certamente, esse interpellano il futuro legislatore, posto nella situazione di dover fare i conti da una parte con l’evoluzione e la diffusione di nuovi costumi e dall’altra con la necessità – tutt’altro che irrilevante – di fornire alle sue scelte un ancoraggio etico-sociale, osservando priorità che fondate nella realtà dei fatti.
Anche solo sul piano del dibattito civile, andrebbe ricordato che il primo e più fondamentale riferimento per tutti, in specie per chi ha responsabilità pubblica, è rappresentato dalla Costituzione e, segnatamente, dai suoi artt. 29, 30 e 31. Essi contengono un’affermazione chiave, che non ha perso d’importanza nei quasi settant’anni trascorsi dalla sua formulazione: “La famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio” (art. 29).
Questo carattere originario, precedente alla stessa costituzione dello Stato, richiede un atteggiamento di rispetto e impegna alla tutela e alla promozione dell’istituto familiare e della sua autonomia. Il cosiddetto “favor familiae” è un aspetto di questa fondamentale verità, che proprio alla luce delle urgenze segnalate appare più che mai necessario tener presente per ispirarvi politiche di sostegno alla costituzione e allo sviluppo delle famiglie e della genitorialità. Il recente messaggio dei Vescovi italiani per la Giornata della vita aveva come titolo un’espressione coraggiosa: “Generare la vita vince la crisi”.
Dare la vita ai figli, con un atteggiamento di fiducia e di speranza verso il futuro, creare così i presupposti prioritari per la crescita di tutti, mettersi in gioco per l’educazione dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, scommettere sulla vita familiare come scuola originaria e decisiva di autentica socialità, è la via più profonda per superare la crisi in cui ci troviamo, che nella sua genesi prima è di ordine etico (legata com’è all’avidità della ricerca del profitto ad ogni costo) ed esige per il suo superamento una svolta morale.
Non si chiede la luna, dunque, se si domanda a chi vorrà governare l’Italia prossima futura di scommettere sulla famiglia e sulla vita, certamente senza ignorare l’attenzione ad altri diritti, non omologabili a quelli del nucleo familiare, e sapendo dare segnali di priorità a ciò su cui si gioca il futuro di tutti. Alla famiglia, “società naturale fondata sul matrimonio”, come la definisce il dettato costituzionale, questa priorità semplicemente spetta.