Ieri si è svolto a Genova l’ottavo dei 16 Convegni pubblici regionali organizzati dalla Presidenza nazionale dell’Azione Cattolica e dalle Delegazioni regionali dell’associazione in preparazione della prossima Settima sociale dei cattolici Italiani. Il tema del Convegno ligure, al quale ha partecipato il card. Angelo Bagnasco, Arcivescovo del capoluogo ligure e Presidente della Conferenza episcopale italiana, era: “Famiglia: risorsa per la Chiesa e per la Società”.
Nell’occasione, pubblichiamo di seguito il testo della relazione pronunciata da Franco Miano, presidente nazionale dell’Ac.
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È proprio della maturità dell’amore coinvolgere tutte le potenzialità dell’uomo e includere, per così dire, l’uomo nella sua interezza (Benedetto XVI, Deus Caritas est, n. 17)
L’amore è responsabilità di un io per un tu (Martin Buber)
La famiglia come risorsa
Occorre anzitutto comprendere quale grande valore rappresenti la famiglia in questa nostra epoca e a ogni latitudine. La famiglia, l’amore tra un uomo e una donna, la loro apertura al dono dei figli, la disponibilità a spalancare le porte di casa alla comunità, alla città e al mondo intero sono quanto di più bello e prezioso possiamo avere per accogliere la vita, per custodirla, per indirizzarla secondo le strade del Vangelo, per costruire una convivenza civile responsabile e solidale.“La famiglia non è un aggregato di individui, o un soggetto da ridefinire a seconda delle pressioni di costume; non può essere dichiarata cosa di altri tempi. Essa affonda le proprie radici nella natura stessa dell’umano, e quindi della storia universale: vi troviamo, infatti, il vincolo dell’amore fedele, tra un uomo e una donna che si scelgono, con il sigillo della comunità, grazie al quale la famiglia stabilisce un rapporto di reciprocità virtuosa, grembo della generazione dei figli, dono e ricchezza dei genitori, come della società stessa” (Prolusione Card. Bagnasco 26 3 12). Per questo la famiglia è “l’elemento fondamentale per la coesione sociale delle diverse generazioni, la cellula primordiale e il patrimonio incomparabile su cui poggia la società” (Prolusione 28 1 13). Essa riveste “un ruolo chiave del tutto evidente, e riversa centuplicato sull’intera società il suo benessere complessivo”: “baluardo di resistenza rispetto alle tendenze disgregatrici, vincolo di coesione tra generazioni” (Prolusione 20 9 12).
Crediamo dunque fermamente nel valore della famiglia. Oggi ancor più di ieri. Ma non per questo non siamo consapevoli dei travagli, delle difficoltà, delle fragilità che attraversano la vita delle famiglie e tutto il mondo delle relazioni umane. Questa consapevolezza, lungi da essere un ostacolo, è anzi uno stimolo per un impegno ulteriore.
La famiglia risorsa per la Chiesa
La famiglia è autentica risorsa per la Chiesa anzitutto in quanto scuola di comunione. Essa, infatti, è la prima comunità che si “incontra” nella vita. È il nucleo fondativo in cui si nasce, si sperimenta un amore profondo e gratuito, si assimilano un’educazione e una cultura, si mettono in comune gioie e dolori. È il luogoin cui si vivono legami di vita buoni, in cui ci si confronta nell’affetto reciproco, in cui si scopre e riscopre la bellezza della relazione fra le persone, in cui si comprende la significatività della stabilità dell’amore, in cui si impara ad amarsi e ci si ama anche nei momenti di inevitabile conflittualità. Non si tratta di questioni “alte”, di discorsi elevati. Questo in una famiglia spesso concretamente si traduce nel mangiare insieme alla stessa tavola, nel vivere la vita ordinaria in comune, con senso di solidarietà, nei momenti difesta, di serenità, di dolcezza, di confidenza, di informalità, di gioco, di relax…
È nella famiglia, poi, che si inizia a credere, attraverso la comunicazione semplice della fede e soprattutto attraverso la testimonianza; è qui che si trova uno spazio disteso per pregare, e per pregare insieme; è qui che si vivela pienezza dell’amore umano, si imparano i valori fondamentali. È qui che si inizia a scoprire la propria vocazione, il disegno di Dio su ciascuno di noi. È qui che si impara a domandare e a suscitare domande; a parlare e ad ascoltare. È qui che si realizza la prima evangelizzazione, il cammino verso la fede e l’interiorità. È qui che stimoliamo i nostri figli a credere e a sentirsi parte di una comunità più ampia e siamo stimolati da loro a continuare a interrogarci sulla nostra fede e a darne testimonianza piena. È qui che si intuisce per la prima volta la bellezza di una vita aperta al mistero di Dio. Sono i genitori i primi “accompagnatori” dei figli nella fede e nella comunità in cui la fede si vive e allo stesso tempo, sono “accompagnati” da essi a rinnovare la propria fede. Ciò avviene, ad esempio, nel cammino di iniziazione cristiana, che vede la comunità (tramite gli educatori ma non solo), i genitori e i ragazzi tutti attori di una storia bella e grande, che è l’incontro con Gesù.
“Il ruolo dei genitori e della famiglia – afferma il n. 27 degli Orientamenti pastorali – incide anche sulla rappresentazione e sull’esperienza di Dio. Il loro compito di educare alla fede si inserisce nella capacità generativa della comunità cristiana, volto concreto della Chiesa madre”. è da una madre e un padre, quindi, che si impara a riconoscere l’immagine materna della Chiesa.
La famiglia è dunque il luogo che primariamente educa alla vita della comunità ecclesiale e alla sua costruzione, da non considerarsi mai esaurita. È questo il primo grande contributo che essa offre alla Chiesa. Il suo stesso essere comunione, comunione d’amore e famiglia, cioè, costituisce un apporto determinante a quella più ampia comunione d’amore e a quella famiglia di famiglie che è la Chiesa.
Un ulteriore contributo, altrettanto importante, deriva proprio dall’essere la famiglia, per sua stessa natura, impegnata con forza, anche se oggi talvolta con difficoltà, in quel campo che tanto sta a cuore al Papa e ai Vescovi da farne oggetto degli Orientamenti pastorali: l’educazione. È infatti la prima comunità educante,ha direttamente un mandato educativo inalienabile datole dal creatore perché è in essa che sgorga la vita. “La relazione educativa s’innesta nell’atto generativo e nell’esperienza di essere figli (…) il bambino impara a vivere guardando ai genitori e agli adulti. Si inizia da una relazione accogliente, in cui si è generati alla vita affettiva, relazionale e intellettuale” (OP 27).Per un credente, e per chiunque voglia guardare l’uomo nella sua complessità e nella pienezza della sua umanità, l’educazione è il bagaglio fondamentale per preparare il lungo viaggio per le strade del mondo. Essa, quindi, non è una dimensione asettica, ma è strettamente connessa con la vita delle persone, da cui viene interpellata.
La comunità può dunque vedere “l’ossatura”della sua espressione educativa nella famiglia cheoffre “ragioni di vita e aiuta a trovare queste ragioni nel vivo di relazioni nuove e significative con la comunità cristiana, nel tessuto vivo di una comunità che segue e annuncia Cristo” (Mons. Sigalini, Educare insieme: comunità ecclesiale e alleanza educativa, in Educare impegno di tutti, Ave 2011).
In questo decennio le nostre comunità ecclesiali sono chiamate a ripensare alla questione educativa e a trovare risposte personali e comunitarie, non solo a livello di pastorale, in cui l’educazione sia ri-vissuta e ri-assaporata. Ciò potrà avvenire anche grazie alla famiglia, luogo primario e fonte di cura educativa, di crescita umana e cristiana, di accoglienza e accompagnamento.
La famiglia risorsa per il Paese
La famiglia, però, non è una risorsa soltanto per la Chiesa. La sua funzione so
ciale è stata sempre ampiamente riconosciuta, anche se forse oggi ciò avviene in forma minore, richiedendo, anche da parte dei credenti, un adeguato investimento culturale in tal senso, che sostenga il primato della persona sull’economia,per cui chi non produce, ma anche chi non consuma, non viene automaticamente emarginato. La persona (e la famiglia) non è in funzione di meccanismi di guadagno e del consumo. La vita delle persone e delle famiglie vale sempre.
Ci interpella, dunque, una società attraversata da dinamiche di fragilità, che mettono a rischio l’unità e l’integrità della famiglia. Fragilità sociali, economiche e psicologiche dovute alla crisi che viviamo e ai risvolti problematici del nostro tempo, di sicuro frammentato e disorientante, ma che, anche grazie a un’attenta capacità educativa, potremo riuscire a cambiare in senso positivo, in un nuovo kairos dove il tempo della famiglia è il “nostro” tempo. Quello scelto, guadagnato e vissuto pienamente. Occorre quindi educare a non rinchiudersi in casa sperando che la notte passi. Semmai, al contrario, dovremmo sforzarci di illuminare un’idea diversa di famiglia, nella consapevolezza che luce e buio camminano insieme.
Di fronte alla crisi, infatti, ciò che fa la differenza è la capacità delle famiglie di darsi una nuova organizzazione, un nuovo approccio alla realtà. Anzitutto, nell’uso e nel consumo dei beni, incluso il denaro. Per sostenere questo processo è necessario agire sia sul piano politico-legislativo, sia su quello culturale. Sul primo versante appare indispensabile pensare a una politica più organica per la famiglia, senza dimenticare l’importanza di un aggiornamento delle disposizioni in materia di fallimenti e usura. A livello culturale, temi come la centralità del lavoro, la sobrietà, la solidarietà, la legalità e l’uso responsabile del denaro sono premesse indispensabili per riorientare le scelte di fondo delle famiglie colpite dalla crisi e in particolare dei giovani. “Sotto il peso della congiuntura, il popolo italiano si è mostrato ancora una volta solido: nella capacità di dedizione e di sacrificio ha rivelato forza di tenuta e di speranza. Ma nessuno s’illuda o cerchi spiegazioni ideologiche e parziali: se ciò è accaduto, prima che ai risparmi, alle autoriduzioni, alla revisione di stili di vita, ciò è dovuto al naturale e insostituibile moltiplicatore di ogni più piccola risorsa: la famiglia. È il suo patrimonio di amore, di sostegno e di legami virtuosi, che permette ad ognuno di mantenere quell’invisibile e incomparabile capitale di autostima e fiducia che nessuna ricchezza materiale può comprare, e senza del quale le difficoltà diventano massi schiaccianti (…) Vediamo famiglie che solidarizzano, condividendo economie e risorse, scambiando tempo e servizi” (Prolusione Card. Bagnasco 28 1 13).
Di grande importanza, inoltre, è il rapporto della famiglia con il lavoro.La famiglia dovrebbe costituire uno dei più importanti termini di riferimento di ogni ragionamento sullo sviluppo. Infatti essa è, al tempo stesso, una comunità resa possibile dal lavoro e la prima scuola di lavoro per ogni persona. Oltre all’apporto positivo anche in termini economici che sa e può offrire al complesso mondo del lavoro e al di là delle grandi risorse di solidarietà che possiede e che spesso esercitano una funzione di sostegno verso chi, al suo interno, si trova senza lavoro o è alla ricerca di una occupazione, fondamentale è il ruolo educativo che la famiglia è chiamata ad esercitare in ordine a ciò che riguarda il senso del lavoro e l’orientamento professionale.
Queste due sfere (famiglia/persona e lavoro) devono trovare spazi di comunicazione, di interazione; così, per esempio, il valore del lavoro può e deve essere sperimentato in famiglia, come un valore educativo forte, testimoniando l’importanza della responsabilità, della conoscenza, dell’impegno, della fedeltà, del rispetto delle regole e delle norme imposte dal contesto lavorativo e dall’oggetto su cui si lavora … La persona, sia come lavoratore, sia come consumatore, si relaziona al sistema economico, al lavoro, al consumo attraverso un “filtro familiare”, in cui entrano in gioco i valori delle persone e della famiglia, le risorse individuali e familiari, i progetti sul futuro e i vincoli del presente, elementi che segnano la vita di ogni nucleo familiare.
Esiste inoltre una relazione diretta tra qualità delle relazioni e dei meccanismi decisionali della famiglia, scelte occupazionali dei singoli e benessere individuale e familiare. Mettere in competizione famiglia e lavoro rispetto alla “disponibilità di tempo” delle persone è una trappola in cui è facile cadere se si considera la persona come “divisa” tra sfere separate di esistenza.
La famiglia, quindi, tanto più offrirà il suo contributo alla società quanto più sarà capace di rinnovare il proprio stile ed essere aperta al mondo. Possiamo – direi anzi dobbiamo – domandarci come vivono le altre persone e le altre famiglie attorno a noi. Come e da chi sono composti i nuclei familiari che vivono nel nostro stesso palazzo, nella nostra parrocchia o nella nostra città? Quali i rapporti tra i coniugi e quelli tra genitori e figli, e con gli anziani di casa? Se la famiglia che abita sul nostro stesso pianerottolo è straniera, ci domandiamo se si è integrata o se è parcheggiata ai margini della società? Per i giovani ci sono opportunità professionali, magari inerenti agli studi che hanno compiuto? Il lavoro si concilia con la famiglia e le sue esigenze? Come mai la percentuale delle donne inserite nel mondo del lavoro è ancora di molto inferiore a quello degli uomini? Il lavoro domestico è valorizzato e adeguatamente tutelato?
La famiglia, dunque, è oggi chiamata ad “aprirsi” ai problemi del mondo, alle sollecitazioni e ai segni dei tempi. Per far ciò deve assumere nuovi stili di vita per scoprire quei valori innovativi in grado di fermentare la società attuale. Ed è su questa famiglia aperta ai “nuovi stili di vita” che si gioca il futuro dell’umanità e della Chiesa.
Vivere la povertà evangelica e la sobrietà, non come mancanza di decoro, o rinuncia al necessario, ma come relativa libertà dal denaro e dalle cose, eliminazione del superfluo e compartecipazione dei doni ricevuti, ritorno alla sorgente scegliendo l’essenziale. Sono atteggiamenti che, se vissuti saggiamente in famiglia, permettono di affrontare con maggiore coraggio i momenti di crisi che periodicamente minacciano e colpiscono il mondo del lavoro e la società in generale. Una famiglia che decide di vivere questo spirito, si scoprirà “accogliente”, imparerà a vedere le necessità più impellenti del territorio e del mondo, scoprendosi perciò stessa missionaria e “inviata”.
Riscoprire la bellezza delle relazioni fra le persone. Tutto questo serve per superare il distacco e l’estraneità fra la casa e l’ambiente di lavoro dei nostri familiari, per condividere, raccontare, visitare il mondo dell’altro e, soprattutto, per decidere insieme ciò che vale per la famiglia. Altrettanto importante è testimoniare con maggior coraggio nell’ambiente di lavoro la nostra “appartenenza a una famiglia” (magari sforzandosi di rendere l’ambiente di lavoro stesso più familiare), piuttosto che presentarci come singoli individui chiusi nel nostro privato.
Tornare al significato del dono. La gratuità rappresenta la natura stessa della famiglia. Anche in casa dobbiamo incoraggiarci a coltivare questo valore per impedire che penetri in essa una mentalità mercantile secondo cui tutto si paga.
Addirittura la famiglia potrebbe insegnare al mondo del lavoro quale valore sociale possono avere i principi di dono e reciprocità. Può sembrare un’utopia, ma i cristiani hanno il grande compito di seminare, nell’esercizio della loro professione, atteggiamenti di gratuità che si esplicitano nell’operare con spirito di servizio, regalando il proprio impegno an
che a chi non è in grado di restituire altrettanto. Sono gesti che, andando oltre la giustizia e il rispetto delle regole, possono dare grande significato al proprio lavoro e produrre virtuose reazioni a catena, fino a trasformare la società dal suo interno.
Vivere nel tempo presente con responsabilità. La festa cristiana ci invita a evitare fughe nell’evasione, nell’edonismo, alla ricerca del solo godimento, per affrontare le sofferenze della settimana e dare ad esse un senso, per trasformare il dolore in amore, sull’esempio del Crocifisso che ha offerto la vita per noi. In questo modo anche le fatiche del lavoro possono trovare un senso e una luce nuovi, che danno respiro quotidiano.
I rapporti e le interazioni, però, per loro natura, non sono mai univoci. Se la famiglia è risorsa per la società, non c’è dubbio che oggi siano necessarie politiche a sostegno della famiglia. Non si tratta di una esigenza di carattere familista: se infatti si riesce a porre la famiglia al centro dell’interesse generale, ciò andrà a vantaggio dell’intera società, tanto più che la crisi attuale è di natura economica ma anche culturale. Occorre quindi che la società e la politica mettano al centro le problematiche della famiglia. Tra queste, il lavoro, che è essenziale perché nuove famiglie possano costituirsi e vivere una vita dignitosa; la casa, che è il luogo fondamentale delle relazioni; i servizi per il sostegno alle famiglie, con particolare riguardo a quelle più deboli e con i redditi più bassi; la scuola, che andrebbe valorizzata e salvaguardata, oltre che modernizzata; e in questo una legislazione capace di salvaguardare la centralità della famiglia.
In questo modo la famiglia potrà offrire a sua volta un forte contributo alla vita sociale e civile, anche formando autentici cittadini. La famiglia, cioè, funziona se le ridiamo “valore”, ma anche se lo Stato le affianca servizi e istituzioni che la aiutino a guardare avanti e a dare il suo apporto significativo alla costruzione di una civiltà più umana e “familiare”.
La famiglia e la proposta dell’Azione Cattolica
Riteniamo anzitutto che la proposta stessa dell’Azione Cattolica sia oggi importante per la vita delle famiglie e per difendere e far crescere il valore incomparabile della persona umana. Essere associazione, infatti, privilegia concretamente la scelta di unirsi, piuttosto che di separarsi, e costruisce un percorso comune, piuttosto che un cammino realizzato da soli. Si tratta di una affermazione non assertoria, ma sperimentata nella vita di tante realtà di AC. Basti pensare che l’Azione Cattolica vede ciascuno dei suoi aderenti – dai ragazzi agli anziani – come protagonista non in forma isolata, ma grazie alla capacità di mettersi insieme ad altri per realizzare un progetto comune con uno stile familiare. Basti pensare, ancora, a dimensioni rilevanti che si sperimentano in AC: il dialogo tra le generazioni, la corresponsabilità, l’accompagnamento… L’Azione Cattolica è quindi chiamata a ridare significato e spessore, nella vita delle persone e delle famiglie, a una partecipazione autentica e a una forte comunione.
L’attenzione per la famiglia, espressa fin dallo Statuto, si manifesta anche nella partecipazione viva alle iniziative ecclesiali che riguardano la famiglia. Basti pensare a quella al VII Incontro mondiale delle famiglie e alla prossima Settimana sociale, a cui tutta l’associazione è chiamata a dare un contributo ideale e propositivo, esplicitato proprio, ad esempio, dai sedici convegni regionali. L’impegno a svolgerli è veramente notevole, ma è nello stile dell’AC che un’iniziativa abbia carattere diffuso sul territorio e sappia essere coinvolgente per le persone. Vogliamo dunque vivere la preparazione alla Settimana sociale dei cattolici italiani con questo spirito, per dare vita a un momento corale di ampia e forte partecipazione, capace di rimettere al centro il ruolo della famiglia oggi e di far avvertire pienamente la nostra capacità di accoglienza verso la vita di tutte le famiglie, con il carico di gioia e di difficoltà che accompagna le esperienze familiari.
Ma oltre alla riflessione, non dimentichiamo quanto gli associati e i simpatizzanti di AC realizzano “concretamente” nelle loro realtà locali. Tante iniziative di solidarietà, di attenzione alle dinamiche sempre più fragili della famiglia, e anche alcune istanze politiche stimolate direttamente “dalla base” vedono l’impegno generoso, nascosto e silenzioso il più delle volte, dell’umanità che attraversa le corde associative. A Torino porteremo non solo idee, ma anche e soprattutto storie e volti, mani e gambe che si incamminano giorno dopo giorno lungo le vie della bellezza di una vita interiore ricca e significativa e della costruzione di una positiva idea di polis. Più diritti, più partecipazione, più solidarietà creativa, ma anche più doveri e più responsabilità e meno individualismo, un impegno a tutto campo in favore della vita.
Quello dell’AC è un progetto importante non solo per la vita parrocchiale ed ecclesiale, ma per la società intera. Associando ragazzi, giovani e adulti, studenti e lavoratori, persone di tutte le generazioni e di tutte le condizioni sociali, e facendo sperimentare concretamente il senso vivo della comunità e dell’amore per il proprio Paese, essa costituisce infatti un progetto autenticamente e pienamente a servizio alle famiglie.
Se oggi si vuole sostenere la vita delle famiglie, occorre quindi promuovere anche un nuovo ruolo dell’associazionismo cattolico. Non si tratta di una scelta autoreferenziale: ad essa, infatti, sono sottesi una visione della persona, della famiglia, delle relazioni, e dunque un modello di società. A questo proposito, vorrei sottolineare che l’Azione Cattolica si sente impegnata in prima linea a chiedere alla politica di mettere al centro della sua agenda le problematiche e le esigenze delle persone e delle famiglie. Lo stesso Presidente della Repubblica, del resto, nel suo Messaggio di fine anno, ha affermato: “E prima ancora di indicare risposte, come tocca fare a quanti ne hanno la responsabilità, è una questione sociale, e sono situazioni gravi di persone e di famiglie, che bisogna sentire nel profondo della nostra coscienza e di cui ci si deve fare e mostrare umanamente partecipi. La politica, soprattutto, non può affermare il suo ruolo se le manca questo sentimento, questa capacità di condivisione umana e morale”.
L’impegno dell’AC per la famiglia ha una molteplicità di direzioni. Anzitutto quella educativa, che è tipica dell’Associazione, guarda alle scelte di fondo dell’Azione Cattolica, è nel Dna dei nostri associati. Se si pensa agli itinerari dei gruppi di famiglie, delle coppie, dell’ACR con i suoi percorsi insieme ai genitori, se si pensa ai cammini per i fidanzati e gli sposi, alle numerose iniziative che si svolgono, ai percorsi di spiritualità, alla riflessione culturale, ai tanti momenti di incontro tra generazioni diverse, all’attenzione per i temi della cittadinanza e dell’affettività, al Progetto Nazaret, al rapporto con l’Ufficio famiglia della Cei e con il Forum delle associazioni familiari, ai tanti testi prodotti per sostenere i diversi cammini, si comprende che la struttura unitaria dell’AC aiuta a guardarsi “dentro” e a mettersi davvero in ascolto delle famiglie e della famiglia. Si tratta inoltre di itinerari non estemporanei, ma sostenuti da una ricerca di carattere ampio e da un’elaborazione approfondita, che si traducono in una proposta formativa impegnativa, efficace, attenta ai segni dei tempi e ai mutamenti del linguaggio. In questa linea va una riflessione attuata dall’Area Famiglia e vita, che dovrebbe portare a una prassi che accolga in maniera affettuosa e cordiale le famiglie ferite all’interno dei nostri gruppi e perciò all’interno delle nostre comunità parrocchiali. Oltre all’aspetto legato all’Eucaristia e alla Riconciliazione abbiamo il dovere di proporre un cam
mino di fede e di prossimità a Cristo ad ogni uomo e donna che accetta di percorrere un pezzo di strada con noi, facendo sì che questi nostri fratelli e sorelle riescano a scorgere l’affetto che nutriamo per loro. L’idea che vorremmo perseguire è quella di aiutare l’AC ad eliminare tutte quelle dinamiche o parole “escludenti” in maniera tale che le nostre comunità parrocchiali possano essere realmente accoglienti.
C’è poi il versante delle esperienze. Luogo geografico (la realtà locale), ma anche luogo dell’anima. È certo impossibile quantificarle, ma certamente sono tante, diffuse in tutto il Paese, in ogni diocesi e parrocchia in cui l’AC è presente. Dalle coppie impegnate per i temi dell’affido e dell’adozione, a coloro che gestiscono case-famiglia fino alle cooperative sociali di aiuto all’inserimento al lavoro. È da questa cura – silenziosa e unica allo stesso tempo – di “famiglie che pensano alla famiglia” che si può ricominciare a sperare.
Infine, ma potremmo forse dire prioritariamente, se l’opera formativa ed esperienziale è importante, va sottolineato con forza che l’AC crede nella famiglia non semplicemente come dato sociale, anche se questa dimensione resta decisiva. Essa, infatti, nasce dal sacramento del matrimonio, e quindi da una risposta vocazionale. Diviene così Chiesa domestica, che custodisce, sperimenta, dona il “miracolo” dell’amore.
Il miracolo dell’amore che cambia la realtà
Crediamo pienamente e fino in fondo che nella vita delle famiglie, pur con le evidenti difficoltà che si sperimentano quotidianamente, sia custodita la forza propulsiva dell’amore, che è in grado di cambiare la realtà.
È questa un’affermazione da non vedere in senso retorico. Essa, piuttosto, sta a indicare l’importanza di legami capaci di sostenere la vita della Chiesa e del Paese e di cui, oggi ancora più di ieri, si avverte particolare il bisogno. La logica cristiana dell’amore va a beneficio non di un ambito ristretto, familiare o ecclesiale, ma dell’intera società. Tutto questo si è sempre potuto constatare nella storia della Chiesa e del Paese, la cui vita è stata ed è sostenuta da tante famiglie che, pur tra problemi e ostacoli, continuano a sperimentare la bellezza dei legami e a combattere quella logica iperindividualistica che costituisce uno dei mali più forti dell’Italia.
Ciò va ribadito, non per essere semplicistici, ma piuttosto per riaffermare la semplicità delle parole del Vangelo. È in tale ottica che l’Azione Cattolica si impegna per la famiglia e per le famiglie nella Chiesa e nel Paese. Continuiamo a credere, cioè, nel miracolo dell’amore che crea legami buoni, che trasforma positivamente, fino a cambiarle, la vita delle persone, la comunità, la società, la storia intera. Allo stesso tempo, quel miracolo dell’amore che rappresenta la trama fondamentale della vita delle famiglie, ha bisogno di essere sostenuto dai credenti, insieme con le persone di buona volontà, perché è proprio l’amore a reggere la struttura della società.