Percorrere la lunga navata centrale della Basilica di S. Giovanni significa, passo dopo passo, sfogliare un antico manoscritto che ripercorre indietro nel tempo alcune delle tappe che ne hanno caratterizzato la storia artistica ed architettonica. L’ammirazione che si riserva alle sculture, agli altari, ai dipinti parietali, induce il visitatore a distrarsi, giungendo dinanzi al ciborio improvvisamente, quasi senza accorgersene, restando ammaliati dal meraviglioso baldacchino gotico, opera dell’architetto Giovanni di Stefano. Presso l’area dell’altare, incastonati all’interno di una grata in oro, si trovano i reliquiari delle teste dei S.S. Pietro e Paolo, mentre lo spazio che divide la cella delle reliquie e l’area dell’altare è occupata da affreschi raffiguranti Santi, ‘la Crocifissione’, ‘il Buon Pastore’, ‘la Madonna in Trono col Bambino’ e ‘l’Incoronazione di Maria’.
L’abside della Basilica venne restaurato da Papa Leone XIII, rispettandone l’antica impostazione, anteponendone un ambiente destinato al coro e decorato da affreschi, stucchi e marmi policromi, contenente sei cantorie (tre per ogni lato). Il catino absidale è decorato dal grande mosaico raffigurante la Vergine con il committente Niccolò IV inginocchiato, i Santi Paolo, Pietro, Francesco d’Assisi, Giovanni Battista, Antonio di Padova, Giovanni Evangelista e Andrea. Posta al centro è la Croce di Cristo e la colomba dello Spirito Santo. Al di sotto dell’area fenestrata è visibile una scritta, anch’essa realizzata in mosaico, attestante i lavori di Leone XIII, mentre nel corpo dell’abside è stata posizionata la cattedra papale in stile ‘cosmatesco’ decorata con marmi policromi e bassorilievi.
La decorazione dell‘abside è uno degli elementi più suggestivi dell’intera decorazione basilicale di chiaro gusto costantiniano, che si percepisce nella realizzazione della Croce, nonché la dicitura ‘in hoc signo vinces’che Costantino volle riportare sopra la Croce durante la battaglia. Non è un caso infatti che il Wilpert (lo stesso che ha ipotizzato che l’ambiente ipogeo situato lungo via Livenza a Roma possa essere un antico Battistero paleocristiano del IV secolo) ritenga d’epoca costantiniana l’intera decorazione musiva dell’abside. Egli riteneva infatti che similitudini e parallelismi tra l’iconografia statuaria di epoca costantiniana conservata nel Battistero Lateranense con il mosaico del catino absidale, sia la conferma di quanto affermato. Inoltre la presenza al centro di Cristo e la Croce (i due elementi la cui tradizione ritiene siano apparsi nottetempo all’imperatore) siano di chiara ispirazione costantiniana, elemento imprescindibile di rappresentazione da lui stesso voluto per la decorazione della Basilica.
La croce quindi ricopre nel mosaico absidale il ruolo principale, concetto molto antico di lode al simbolo cristiano che si riscontra in molti altri monumenti romani, come nella basilica di Santa Pudenziana (datata alla fine del secolo IV), nell’arco trionfale di S. Maria Maggiore (forse parzialmente copiato dall’abside lateranense) e nell’abside della cappella dei Santi Primo e Feliciano in Santo Stefano Rotondo.
L’immagine del Cristo è stata realizzata attraverso l’imago clypeata, vivificata con nuvole che lo incorniciano e lo mettono in evidenza, fornendogli una grande carica mistica ed emotiva, riuscendo perfettamente nell’intento di attribuirgli il significato dell’apparizione. La Croce gemmata è stata idealmente piantata sul monte ed alimenta i quattro fiumi del mondo (il Gion, il Fison, il Tigri e l’Eufrate) simboli dei quattro evangelisti. I cervi e gli agnelli che si abbeverano simboleggiano l’atto del battesimo cosi come fece Cristo nel Giordano, con elementi che si ritrovano anch’essi in monumenti di epoca costantiniana. Ogni apostolo possiede un rotolo con scrittura specifica del personaggio e sono rivolti verso la Croce e identificati con il loro nome in latino, mentre la Vergine solo dall’abbreviazione “MP ΘY” (di Μήτηρ Θεοῦ, cioè “Madre di Dio“).
Un altro capolavoro dell’architettura lateranense è il chiostro ricostruito da Pietro Vassalletto tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo sotto il pontificato di Innocenzo III e completato sotto quello di Gregorio IX, cosi come attestato dall’iscrizione situata sul fregio del porticato.
Il chiostro assurgeva al ruolo di tutti i chiostri monastici e cioè luogo di raccolta per i frati ma soprattutto quello della raccolta delle acque piovane. Interessante è la presenza della vera di un pozzo detto ‘della Samaritana’ preesistente al rifacimento che permette di elaborare la datazione all’epoca carolingia (VIII-IX secolo), stessa datazione dei frammenti recuperati da papa Martino V con cui è stato effettuato il rifacimento della pavimentazione e recuperati da edifici ormai diroccati.
Il chiostro è formato da un quadriportico decorato da mosaici policromi che richiamano la tecnica musiva arabo-bizantina. Possiede cinque grandi archi per lato, con 125 archetti a tutto sesto sorretti da colonnine binate tortili, a vite, lisce e altre tipologie. L’uso delle colonne è stato applicato anche per sorreggere le volte del quadriportico, decorate con capitelli ionici, che sorreggono il loggiato superiore ad arcate. Un importante elemento decorativo è la presenza di leoni stilofori posizionati a guardia dei passaggi (quasi con funzione apotropaica tipica delle antiche culture mesopotamiche), mentre nei lati interni la trabeazione è decorata da un fregio a mosaico da teste ferine intagliate sulla grondaia.
Con la descrizione del chiostro si completa l’analisi storico-architettonica di uno dei complessi più importanti dell’intera cultura cristiana mondiale.
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.