Questa mattina si è svolta nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2013 sul tema: Credere nella carità suscita carità – «Abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16).
Riprendiamo di seguito l’intervento tenuto dal cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”.
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Gentili Signori,
ci ritroviamo al consueto appuntamento di presentazione del Messaggio per la Quaresima del Santo Padre Benedetto XVI. Quest’anno il tema del messaggio si focalizza sullo stringente rapporto tra fede e carità, come ce lo ribadisce l’apostolo Giovanni: «Abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16): Credere nella carità suscita carità. Nel contesto dell’Anno della fede, in questa Quaresima, ci viene offerta la possibilità di riflettere sul rapporto che sussiste tra queste due virtù teologali: la fede e la carità. Tra il credere in Dio, nel Dio rivelato da Gesù Cristo, e la carità, che è frutto dello Spirito Santo e ci proietta in un orizzonte di apertura profonda verso Dio e verso il prossimo.
Prima di tante parole vorrei esprimervi questa verità con un esempio, che ho appreso durante la nostra ultima assemblea plenaria, che si è svolta, come saprete, due settimane fa. E’ una testimonianza da Manila. Un ingegnere filippino formato al Massachusetts Institute of Technology, Héctor Quesada, si accorge ad un certo punto della sua vita di avere fame di Dio. Riscopre la fede attraverso l’esperienza delle Couples of Christ. Dal 2002 ha iniziato un’attività di promozione umana in uno slum di Manila: dove prima 3.500 persone erano ammassate in baracche di legno, di plastica, di carta, in un’area di 10.000 metri quadrati, dove crimine e droghe imperavano, ora c’è una scuola, delle case dignitose, una missione medica. E lui stesso ha riconosciuto che la fede non sta solo all’inizio della sua ispirazione, ma cambia anche l’approccio alla vita e alla cultura degli stessi beneficiari. Se i loro comportamenti, i loro valori, le loro relazioni non cambiano dall’interno, lo slum in poco tempo torna ad essere quello di prima. La carità che hanno vissuto aiuta i beneficiari a riscoprire Dio, e, in Dio, la loro dignità di persone.
Dunque se parliamo di nesso tra fede e carità parliamo almeno di due dimensioni. Primo: la fede vera non si dà senza le opere; chi crede impara a darsi all’altro. Secondo: la carità suscita la fede, e dunque è testimonianza. L’esempio che vi ho portato è uno – dopo di me il signor Michael Thio ne dirà altri -: sono tanti fatti per dire che la Chiesa è viva e vive di questa reciprocità tra fede e carità.
Inserito nell’Anno della fede, il Messaggio di Quaresima è una preziosa occasione per mantenere fresco questo legame in tutti i fedeli. In questo senso è un momento propizio, in quanto ci prepariamo alla Pasqua, cioè a celebrare quel fatto in cui il cristiano riconosce la sorgente della carità: Cristo che muore e risorge per amore. È da questo atto di donazione totale di Dio, che possiamo vivere in pienezza tutta la nostra vita di fede. L’atto supremo della croce, della Sua passione, morte e risurrezione, dona un carattere unico all’esperienza che si concretizza nel cristianesimo. In Cristo ogni cristiano riconosce se stesso e la sua chiamata ad offrire la propria vita per il bene dell’altro. Per tale motivo da sempre la Quaresima è un tempo propizio per spalancare lo sguardo del nostro cuore verso i fratelli più bisognosi, condividendo con essi del nostro. In questo particolare momento storico, occorre sottolineare l’importanza di una carità informata, documentata, attenta ai numerosi contesti di povertà, miseria, sofferenza: dal crescere del numero e dell’entità delle calamità naturali, non senza responsabilità umane, con tutto il loro carico di dolore, all’inasprirsi di conflitti violenti, spesso dimenticati dai mass-media; dal peggioramento delle condizioni di vita di molte famiglie, anche a seguito della crisi economica e finanziaria che colpisce molti Paesi dell’Europa e non solo, con l’aumentare della disoccupazione, soprattutto giovanile, fino ai contesti dove il lavoro c’è ma è sfruttato, sotto pagato, e senza le tutele minime, tali da garantire la dignità del lavoro stesso e, di conseguenza, della persona umana.
Come dicevo, il centro del presente messaggio di Quaresima lo si può vedere certamente nell’indissolubile intreccio tra fede e carità. E qui, lasciatemelo dire con franchezza, tocchiamo un nervo scoperto. Il Papa lo dice e cito: “Non possiamo mai separare o, addirittura, opporre fede e carità”. Questa separazione o opposizione prende diverse forme, alcune delle quali vorrei enumerare, anche per la mia esperienza di vescovo africano.
Un malinteso è quello di accentuare così fortemente la fede, e la liturgia come suo canale privilegiato, da dimenticare che esse si rivolgono ad un uomo concreto, con i suoi bisogni, anche umani, la sua storia, le sue relazioni. Fa comodo a tanti, dentro e fuori, una Chiesa inebriata dal profumo delle candele, occupata ad ordinare la sacrestia, concentrata su astrusi dibattiti teologici e liti clericali piuttosto che sulla persona nella sua integrità alla quale Cristo si è rivolto.
Un secondo malinteso è quello di pensare che la Chiesa è una sorta di grande opera filantropica e di solidarietà puramente umana, dove l’impegno sociale è prioritario e ciò che conta è la promozione dell’uomo perché abbia pane e cultura e dunque il compito primario della Chiesa è l’edificazione di una società giusta ed equa, dimenticando che al centro dell’uomo sta il suo bisogno di Dio.
Un altro malinteso ancora è di dividere una Chiesa buona, quella della carità, da una Chiesa “cattiva”, quella della verità, che difende e protegge la vita umana e i valori morali universali. La Chiesa va bene quando cura i malati, va meno bene quando esercita il compito di risvegliare le coscienze.
Fede e carità vanno insieme, e dunque vangelo e opere vanno insieme. Quanto vale nell’esperienza personale, vale anche per la Chiesa in quanto comunità. Non si può nella quotidianità pretendere di impostare la propria vita cristiana unilateralmente. In verità quando si separa nel vivere di tutti i giorni la fede dalla carità, e dalla preghiera umilmente inginocchiata, inevitabilmente il rapporto con Dio va in frantumi. Da una parte una vita fondata solamente sulla fede, corre il rischio di naufragare in un banale sentimentalismo che riduce il rapporto con Dio ad una mera consolazione del cuore. Dall’altra parte una carità, che non si inginocchia nell’adorazione di Dio e che non tiene presente la sorgente da cui scaturisce e a cui deve essere indirizzata ogni azione di bene, rischia di essere ridotta a mera filantropia e puro “attivismo moralista”. Pertanto si è chiamati a tenere uniti nel proprio vivere la “conoscenza” della verità con il “camminare” nella verità. Con la fede, infatti, si ha la possibilità di conoscere e aderire alla verità, diventando amici di Dio. Nella carità questa esperienza di amicizia con Dio si attua, diventa visibile e comunicabile. Ma senza pensare che ci sia un prima e un dopo, o un aspetto conoscitivo e uno pratico. No: a livello personale l’autenticità del credere è vissuta come atto di carità e “ci fa perseverare concretamente nella figliolanza divina portando tutti i frutti dello Spirito Santo”.
In ambito più propriamente ecclesiale vorrei ritornare su un punto caro al Santo Padre, che nel Suo magistero – dunque non solo nel Messaggio che presentiamo oggi, ma a più riprese – ci ricorda il rapporto naturale tra vangelo e carità. In questo Messaggio di Quaresima ribadisce che “la massima opera di carità è proprio l’evangelizzazione, ossia il «servizio
della Parola». Non v’è azione più benefica, e quindi caritatevole, verso il prossimo che spezzare il pane della Parola di Dio, renderlo partecipe della Buona Notizia del Vangelo, introdurlo nel rapporto con Dio: l’evangelizzazione è la più alta e integrale promozione della persona”.
D’altro canto, all’inizio del Sinodo dello scorso ottobre sulla nuova evangelizzazione, ha sottolineato questa grande unità tra fede e carità, affermando che i pilastri della nuova evangelizzazione sono la «confessio»e la«caritas»: sono i due modi con cui Dio ci coinvolge, ci fa agire con Lui, in Lui e per l’umanità. La«confessio»quindi non è da considerarsi una cosa astratta, bensì è «caritas», è amore. Solo così è realmente il riflesso della verità divina, che come verità è inseparabilmente anche amore. Questo amore è fiamma, accende gli altri, una passione che deve crescere dalla fede, che deve trasformarsi in fuoco della carità (cfr. Meditazione della prima Congregazione Generale). Solo una carità che nasce dalla fede forgia dei cristiani autentici, capaci di sfuggire quella tiepidezza rifiutata anche da Dio (cfr. Ap 3, 1-6. 14-22).
Non posso non ricordarvi che proprio la prima enciclica di Benedetto XVI ha dato questo grande orientamento alla Chiesa nel mondo d’oggi, una Chiesa che forse ha faticato a farsi capire perché il suo messaggio è stato colto troppo spesso in maniera moralistica. Scrive il Papa che tutto l’ethos cristiano – e dunque la vita nella carità -riceve il suo senso dalla fede come “incontro” personale ed intimo con l’amore di Cristo, che offre un nuovo orizzonte e imprime alla vita la direzione decisiva (cfr. Deus Caritas est 1). E’ in questo incontro il nostro punto di forza e questo fa sì che, come nell’esempio che vi ho citato prima, ci siano delle persone che possono spendere tutta la propria vita dandosi all’altro. Mi sembra importante anche ricordare che questo approccio personale è la grande ricchezza, al di là del contributo economico, che la Chiesa offre con la sua vastissima ed apprezzata rete di organismi caritativi. In fondo, è proprio questo principio di inderogabile unità tra fede e carità che dà origine ad ogni esperienza di Chiesa, ad ispirare anche il ‘Motu proprio’ Intima Ecclesiae natura sul servizio della carità recentemente pubblicato ed entrato in vigore lo scorso 10 dicembre. Per Cor Unum tutti questi orientamenti del Santo Padre sono incoraggiamento ad operare nel grande mondo dell’assistenza e dello sviluppo attraverso i tanti organismi di carità con un profilo molto chiaro, ma proprio per questo a servizio di una visione integrale della persona.
Credo che questo Messaggio sia perciò di grande attualità. Non solo perché si situa nell’Anno della fede e dunque in questo contesto è bene ricordare che fede e carità sono due facce della stessa medaglia, cioè la nostra appartenenza a Cristo. Ma è attuale anche perché in questa fase storica, in cui l’uomo fatica a riconoscere se stesso e a trovare una via per il futuro, la parola del Papa presenta una proposta unitaria, un percorso di vita nel quale l’accoglienza di Dio ingenera accoglienza dell’altro in tutte le sue dimensioni, espressioni ed esigenze e così la Chiesa può essere faro di una umanità rinnovata e quindi contribuire all’avvento della “Civiltà dell’Amore”. Vi ringrazio per la vostra attenzione e sono grato per quanto potrete fare per diffondere questa parola del Santo Padre, augurando a tutti una santa Quaresima.