In occasione della pubblicazione del Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2013, ZENIT ha incontrato e intervistato il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum.
***
Eminenza, come può il credente vivere questa Quaresima attraverso le pratiche della carità?
Card. Sarah: La Quaresima è il tempo propizio che la Chiesa ci offre, per poter intensificare i nostri rapporti con il Signore. Dobbiamo tener presente però che i nostri rapporti con Dio si intensificano nella preghiera, nella vita sacramentale, in particolare attraverso l’Eucaristia: sorgente di amore e di donazione di noi stessi agli altri. A partire dal sublime gesto di donazione di Cristo sulla croce, ogni fedele è invitato a vivere la propria vita attraverso l’offerta di tutto il proprio essere ai fratelli e alle sorelle. E le pratiche di carità sono un modo concreto con cui il credente può accogliere Cristo nella propria quotidianità, abbracciando il bisogno del fratello. Non bisogna dimenticare che ogni gesto di carità cristiana, non è semplicemente un sostegno materiale, ma un riconoscimento concreto del volto di Gesù povero e sofferente, nel fratello bisognoso. Chi ama concretamente il povero, quindi ama Gesù.
Nel suo messaggio, il Papa afferma che l’amore non è mai una realtà conclusa, finita, completa. Allora quando avremo concluso di fare il bene?
Card. Sarah: L’Amore e il Bene sono come Dio. Non hanno fine. Non si finisce mai di amare e di fare il bene, perché amare e fare il bene è somigliare a Dio. Eterno è il suo amore per noi (cfr. Sal 118). L’affermazione dell’apostolo Giovanni: “Abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi” (1Gv 4,16) che fa da tema per il Messaggio della Quaresima di quest’anno, sottolinea che l’amore di Dio non è una realtà astratta, ma una realtà di cui si può fare esperienza nella propria esistenza. Dio è Amore, come ci ricorda il Santo Padre nella Sua prima enciclica: per questo motivo chiunque voglia aderire a Lui fino in fondo non può farlo che attraverso l’amore. In tutta la nostra vita di cristiani siamo chiamati ad aderire costantemente al comandamento nuovo di Gesù di amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amati, per poter, in tal modo, portare a compimento il nostro vivere. La Pasqua mette in evidenza l’amore totale e costante che Dio ha per l’uomo. Ci ha amati fino a dare la vita e ci ha amati fino alla fine. Dall’alto della croce ha infatti persino perdonato i suoi persecutori. Cristo stesso, quindi, ci ha detto con la sua vita che siamo chiamati ad amare per sempre. Mai possiamo ritenere di aver amato abbastanza. Chi vuole incontrare l’Amore deve amare sempre.
Il testo avverte di una esagerata supremazia della carità, definendola come un attivismo moralista. In quali luoghi ecclesiali c’è il rischio di un attivismo moralista?
Card. Sarah: Nel messaggio del Santo Padre perla Quaresimadi quest’anno si sottolinea l’importanza di mantenere unite, nel vivere di tutti i giorni, le due virtù teologali della fede e della carità. Qualora si dia importanza solo alla carità risulta evidente che quest’ultima viene ridotta ad un attivismo moralista, ad un fare il bene che possa, in un certo qual modo, fungere da conforto perla coscienza. Leazioni di carità devono, quindi, partire sempre dalla fede se si vuole rimanere in piena comunione con il Signore. Il rischio di attivismo moralista, quindi, si pone per tutti quegli ambienti che impostano l’impegno caritativo staccandolo dalla possibilità di presentare l’Amore di Dio, in ultima analisi di rendere presente Dio stesso. Quando nel proprio agire non si parte dalla fede, le azioni di carità vengono ridotte a pura forma di assistenzialismo.
Perché il Papa afferma che il termine carità va oltre la solidarietà o il semplice aiuto umanitario? In tal senso, allora, il credente potrà fare meglio il suo lavoro caritativo solo se cura la sua fede?
Card. Sarah: Ogni attività caritativa nella Chiesa deve iniziare dall’ascolto della Parola di Dio e dalla preghiera. Nella preghiera, infatti, incontriamo Cristo e lo riconosciamo nel volto dei poveri che serviamo. All’inizio della Deus Caritas Est, Benedetto XVI ricordava che “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (DCE, 1). La carità quindi va letta nell’ottica di questo incontro con Gesù che dona ad alla vita un impronta nuova e decisiva. Per tale motivo il Santo Padre invita a non ridurre l’azione caritativa ad un atto umanitario e a semplice solidarietà, in quanto il vivere la carità è sempre un ripresentare l’Amore di Dio. Chi vive la carità, intesa nel senso cristiano, non può che ripartire dalla fede nel Dio di Gesù Cristo, mandato a donarci la propria vita per la nostra salvezza. Solo l’incontro con Dio in Cristo è capace di suscitare nei credenti l’amore e aprire il loro animo all’altro. La vera carità quindi è una conseguenza derivante dalla fede che diventa operante nell’amore. Per un cristiano vivere la carità partendo dalla fede è l’unico modo che ha per abbracciare totalmente il bisogno dell’altro.
A cosa si riferisce il Papa quando afferma che la carità aiuta l’evangelizzazione? E perché l’evangelizzazione è da considerarsi, secondo il presente Messaggio, “la promozione più alta e integrale della persona umana”?
Card. Sarah: Una carità che parte dalla fede annuncia la buona novella del regno di Dio. Il credente che vive la carità secondo il Vangelo è sempre anche un testimone del Suo amore; rende presente concretamente l’amore di Dio non solo al fratello che sostiene nel suo bisogno, ma anche a coloro che incontra sul proprio cammino. L’evangelizzazione quindi, ci ricorda il Papa, è da considerarsi la più grande opera di carità, in quanto non v’è azione più benefica, e quindi caritatevole, verso il prossimo che spezzare il pane della buona notizia del vangelo, introdurlo nel rapporto di amicizia con Dio. L’uomo che incontra Dio è abbracciato totalmente nella sua umanità. Presentandola Paroladi Dio, si presenta all’uomo la possibilità di una sua vera promozione integrale. Solo Gesù salva pienamente l’umano. Il vero atto di carità quindi consiste nel portare Gesù, il Verbo Eterno che viene dal Padre, unica strada che conduce alla verità e alla vita.
Come si alimentano la fede e la speranza in un mondo dove le persone sono ambiziose di potere? Servirà, quindi, ad aumentare la fede se si praticano più digiuno, penitenza ed elemosina?
Card. Sarah: L’uomo non è mai abbandonato a se stesso. Attraverso la proposta della Chiesa siamo aiutati a rimanere fedeli al cammino battesimale. Il tempo di Quaresima, quindi, è una grande opportunità per ogni fedele di accrescere la propria fede e di essere sostenuto in una realtà, tante volte fatta di prove e insidie. Le tentazioni più grandi che vengono poste ad ogni uomo, sono quelle di essere indipendente, di farsi da se stesso, di avere il potere necessario di fare a meno di Dio. Sono le stesse tentazioni che Gesù ha ricevuto nel deserto dopo aver digiunato per quaranta giorni. Il digiuno non ha indebolito il Figlio di Dio, ma lo ha reso più cosciente della sua missione e della sua figliolanza. Quindi attraverso le indicazioni concrete del digiuno, della penitenza e dell’elemosina, chela Quaresimaci invita a vivere, sono, per ogni cristiano, un occasione grande di crescere nella fede e camminare con gioia sulla via dei comandamenti.