di José Antonio Varela Vidal
ROMA, giovedì, 29 novembre 2012 (ZENIT.org) – Nel suo messaggio di quest’anno per le Missioni, papa Benedetto XVI ha esortato a lavorare in modo realista nei cosiddetti “territori di missione”. L’obiettivo è che il vangelo sia proclamato con chiarezza, anche in quei luoghi dove c’è ostilità al cristianesimo.
A Roma c’è un luogo dove si stanno formando 164 seminaristi destinati alle chiese giovani. Si tratta del Collegio Urbano di Propaganda Fide, il cui rettore, il sacerdote comboniano di origine portoghese, padre Fernando Domingues, ha raccontato a ZENIT l’attività del seminario, senza trascurare il suo recente viaggio in Pakistan, dove la Chiesa lavora in maniera discreta da quasi cento anni.
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Lei è appena tornato dal Pakistan: come si sta sviluppando la missione della Chiesa in questo paese?
Padre Domingues: Una breve visita come quella che ho appena fatto permette soltanto una visione parziale della vita della Chiesa in Pakistan, ma mi è stato comunque possibile osservare alcuni elementi che condivido qui ben volentieri. La missione della Chiesa si attua in tre indirizzi principali: l’evangelizzazione e lo sviluppo delle comunità cristiane, la formazione dei giovani nelle scuole, e i progetti di sviluppo socioeconomico indirizzati alle fasce più povere della popolazione.
L’evangelizzazione e la crescita delle comunità cristiane proseguono a buon ritmo. Le diocesi, almeno di quella di Lahore dove sono stato, hanno un buon numero di catechisti a tempo pieno. Hanno una solida formazione di base che, da alcuni anni, è a tempo pieno, e un piano di formazione permanente che permette un aggiornamento e una buona sintonia con il cammino della Chiesa. Questi catechisti, accompagnati e aiutati dalla propria famiglia – moglie e figli – vivono nei villaggi e animano la vita della comunità cristiana cui appartengono, come altre comunità di villaggi della stessa zona.
Come si svolge il lavoro pastorale?
Padre Domingues: Una parrocchia che ho visitato, un centinaio di chilometri a nord di Lahore, ha una settantina di comunità cristiane in altrettanti villaggi, animate da quindici catechisti, due sacerdoti e due comunità di suore. Poiché sia i catechisti, che le suore e i sacerdoti sono nella quasi totalità nativi del Paese, la catechesi, le celebrazioni liturgiche e l’organizzazione pratica delle comunità hanno un ‘gusto’ pakistano, che le rende molto vivaci, gioiose e soprattutto accoglienti.
Lo sforzo della Chiesa nel campo dell’educazione scolastica è notevolissimo. Spesso in una stessa parrocchia, si trovano una scuola cattolica di lingua inglese e un’altra di lingua Urdu. Così si apre l’offerta educativa della Chiesa sia per le famiglie più benestanti, per lo più musulmane, sia per le famiglie di livello economico più basso, cui appartengono la maggior parte dei cattolici. I progetti di sviluppo socio-economici sono un altro impegno notevolissimo della Chiesa, e contano sul supporto molto generoso delle agenzie internazionali, in particolare la Caritas e la Missio.
Com’è la convivenza tra cristiani e musulmani? È vero che c’è timore per l’influenza della Chiesa nei temi di diritti fondamentali e delle conversioni?
Padre Domingues: Il Pakistan è chiaramente un Paese dove la stragrande maggioranza della popolazione professa la fede islamica ed è, dunque, naturale che la vita di tutta la società sia fortemente marcata da questa religione. Per motivi di convenienza economica e commerciale, la giornata settimanale dedicata al riposo è la domenica. Naturalmente tutti i musulmani sono liberi dagli impegni di lavoro per recarsi alla moschea ogni venerdì pomeriggio. La Chiesa cattolica, presente nel Paese da più di cent’anni, ha una presenza notevole anche se spesso umile e discreta nel territorio. Ciò che talvolta si sente dire tra di noi, ovvero che “nei Paesi musulmani è proibito costruire chiese”, viene chiaramente smentito dalla presenza delle cattedrali diocesane e delle molte chiese presenti nei villaggi.
Quindi, si convive…
Padre Domingues: In genere i rapporti tra musulmani e cristiani sono di coesistenza pacifica, anche se non sempre esenti da tensioni. La presenza di gruppi di carattere terroristico è fortemente combattuta dal governo, che oggi comprende due ministri cristiani, ed è sentita come una minaccia e un pericolo costante sia per le comunità musulmane che per quelle cristiane. Sentendo i pastori locali, non si può dire che esista una situazione di persecuzione contro la Chiesa o contro la fede cristiana in genere. Appare chiara una posizione svantaggiata dei cristiani nella società, sia perché tradizionalmente i cristiani provengono dai ceti economicamente più bassi, sia perché essere musulmano apre più porte alle possibilità d’impiego a tutti i livelli della vita pubblica.
In Pakistan la Chiesa promuove il dialogo come a Roma?
Padre Domingues: Per affrontare con serenità i pregiudizi e le tensioni che spesso sorgono tra le due più importanti comunità religiose del Paese, sono stati creati, in tutte le diocesi, centri o gruppi di dialogo islamo-cristiano, che si adoperano per sciogliere eventuali tensioni e per coltivare insieme la pace. Le comunità locali, da parte loro, praticano il “dialogo della vita”, cercando di condividere in pace la vita quotidiana, il lavoro per sostenere le proprie famiglie, frequentando la scuola insieme. A livello di commissioni regionali o diocesane si cerca soprattutto di coltivare insieme la mutua comprensione e la coesistenza pacifica di tutti i cittadini.
[La seconda parte dell’intervista a padre Fernando Domingues sarà pubblicata domani, venerdì 30 novembre]