CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 18 novembre 2012 (ZENIT.org) – Riportiamo di seguito la terza e ultima parte della prolusione di monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, intervenuto ieri alla prima sessione della XXVII Conferenza Internazionale del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. La prima e la seconda parte sono state pubblicate rispettivamente venerdì 16 e sabato 17 novembre 2012.
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Il malato nuovo evangelizzatore
Ci sono esperienze ricche e intense di nuova evangelizzazione che meritano di essere partecipate e vissute. Queste lasciano trasparire che la nuova evangelizzazione, al di là ogni forma di retorica, coinvolge non solo a quanti sono chiamati ad essere evangelizzatori nei confronti delle persone che soffrono, ma primariamente rende gli malati i protagonisti della nuova evangelizzazione nel momento in cui sono in grado di inserire la loro malattia e dolore nel mistero della Croce e Risurrezione di Gesù Cristo. È sempre Giovanni Paolo II che ricordava questa profonda verità quando diceva: “Carissimi fratelli e sorelle, che sperimentate in modo particolare la sofferenza, voi siete chiamati ad una peculiare missione nell’ambito della nuova evangelizzazione, ispirandovi a Maria Madre dell’amore e del dolore umano. Vi sostengono in tale non facile testimonianza gli operatori sanitari, i familiari, i volontari che vi accompagnano lungo il quotidiano cammino della prova” (1). I primi evangelizzatori dell’ospedale, quindi, sono i malati. Essi sono chiamati ad assumere in sé la consapevolezza e responsabilità dell’annuncio della bella notizia del vangelo che salva a partire dalla loro stessa condizione. La cosa non è priva di significato, perché punta a guardare con maggior intensità e impegno alla formazione dei credenti in modo che anche in queste circostanze di sofferenza possano essere vissute in coerenza con la fede. Non ci si improvvisa evangelizzatori né si riesce a dare senso al dolore dall’oggi al domani. Tutto ciò richiede una preparazione che cresce e matura con la fede nel mistero di partecipazione attiva e reale al mistero di Cristo e alla vita di comunione con lui offerta dal battesimo.
Il cammino del Pontificio Consiglio per la pastorale sanitaria da molto tempo ormai ha fatto della Nuova evangelizzazione una sua scelta prioritaria. Ne sono testimonianza le molteplici iniziative di cui è promotore. Basti già ricordare, in tal senso, il tema della IX Giornata Mondiale del Malato nel 2001, dal titolo: “Nuova evangelizzazione e la dignità dell’uomo sofferente”, quando il beato Giovanni Paolo II scriveva così: “L’evangelizzazione deve essere nuova, nuova nel metodo e nell’impegno, perché nell’assistenza ai malati sono cambiate e stanno cambiando molte cose. Non solo la sanità si trova di fronte a pressioni economiche senza precedenti e a complessità legali, ma a volte si trova anche nell’incertezza etica che tende a oscurare quelli che sono stati i suoi chiari fondamenti morali. Questa incertezza può trasformarsi in una confusione fatale che si manifesta come incapacità di comprendere che lo scopo essenziale dell’assistenza sanitaria è di promuovere e tutelare il benessere di chi ne ha bisogno, che la ricerca e la pratica mediche devono seguire sempre imperativi etici, che i deboli e quanti possono apparire improduttivi agli occhi della società dei consumi hanno una dignità inviolabile che va sempre rispettata e che le cure sanitarie dovrebbero essere disponibili come diritto basilare per tutti senza alcuna eccezione” (Ench. 1105). Tutto questo inserisce ancora più direttamente nello specifico della nostra tematica come un percorso costante che mostra il progresso compiuto e il grande lavoro ancora da realizzare.
L’ospedale consente di compiere una prima esperienza basilare: il timore per la perdita di un bene che ognuno ritiene fondamentale. Non è estraneo in questi luoghi – se non nel paziente, spesso nei famigliari - l’esperienza del limite e dell’impotenza che porta con sé una forma di incredulità che non può accettare che la scienza e la tecnica non abbiano dei limiti. Davanti ad alcune patologie difficilmente si accetta il responso che non si può avere certezza. La mente corre immediatamente a soluzioni alternative e l’illusione si riproduce alla ricerca di nuove diagnosi e nuove terapie. Se non nel proprio Paese, allora certamente altrove in Paesi più tecnologici certamente esisterà la soluzione. Non si accetta il limite e tanto meno il dolore. La mente preferisce rincorrere l’illusione dell’utopia piuttosto che arrendersi al realismo. Eppure, la malattia è una vera chiave d’avviamento per mettere in moto la mente che vaga alla ricerca del pensiero migliore, quando non è affossata dal pessimismo più buio. L’esperienza della malattia impone che si fissi lo sguardo sull’essenziale che è spesso eclissato dall’effimero; in questo processo, tuttavia, è importante che nessuno sia lasciato solo. Qui si impone l’impegno della nuova evangelizzazione, perché formi la coscienza di un’azione pastorale animata dall’entusiasmo che sa dare la compagnia della fede. In questi momenti non è richiesta una compagnia loquace, ma eloquente. Essa è più efficace quando è solo compagnia come presenza di un cuore che ama e che per questo è vicino, che partecipa e com-patisce portando il peso dell’altro. In un periodo in cui l’ammalato è di fatto unicamente affidato alla scienza medica,alla tecnologia e al medico, e per contraddittorio che possa apparire alla struttura sanitaria che nei momenti ricchi specula sulla sua presenza e in quelli di crisi lo rinvia immediatamente a casa, la fede deve far comprendere che c’è bisogno di una compagnia più solida che sostiene e che sa dare la risposta ricercata invano altrove. Il malato per la sua stessa condizione personifica una richiesta di aiuto, di vicinanza e di senso. Una nuova evangelizzazione che si fa forte dei nuovi mezzi di comunicazione come può dimenticare che esiste una comunicazione silenziosa, fatta di grida del cuore che chiede di essere ascoltata perché impone di cogliere quegli interrogativi spesso disattesi quali il coraggio di affrontare un percorso ad ostacoli, la speranza di vincere e la non rassegnazione a subire?
L’ospedale può essere umanizzato quando diventa luogo in cui si sperimenta la comunione che supera la solitudine, l’accoglienza che schiaccia l’interesse e la disponibilità al servizio che annienta la chiusura in se stessi. L’ospedale è anche la chiesa del malato. Ritornano con forza le parole di Gesù alla samaritana: “Né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre… i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Gv 4,21-22). È vero, ci sono luoghi che sono consacrati come tali perché siano segno del sacro e del peculiare rapporto con Dio. Ma ci sono luoghi che diventano sacri per la celebrazione del mistero della salvezza che si opera attraverso le persone. L’ospedale è uno di questi. Celebrare il mistero della malattia e della salvezza, della debolezza del corpo e della forza dell’amore rendono l’ospedale per ciò stesso un luogo sacro dove domina il silenzio e dove la preghiera personale e intima prevale sulle parole della scienza. Qui il malato riceve la visita di Cristo eucaristia che gli indica il vero percorso della fede: non una conquista dell’uomo che va alla ricerca di Dio, ma di Dio che gli va incontro là dove lui vive e ne sente il bisogno più profondo. Qui riceve maggior significato la celebrazione del sacramento della riconciliazione come spazio reale in cui nella debolezza della propria fisicità si vuole sentire la voce della misericordia che tutto perdona e che incute coraggio per guardare avanti con sguardo sereno. Qui l’unzione dei malati ha il suo spazio privilegiato perché ci riporta al valore dei segni sacramentali che sono effica ci per la presenza della grazia che viene donata e della fede che vede in essi la risposta necessaria. L’unzione ricorda che siamo stati battezzati e confermati nella fede e che il nostro corpo non è estraneo a quello del Figlio di Dio che lo ha trasformato in quello glorioso della sua risurrezione. L’esperienza del perdono che viene realizzata, dona fiducia e quanto è stato nel passato mediazione di peccato viene ora rinnovato dalla vera potenza del perdono che tutto distrugge per far percepire la grandezza dell’amore che accoglie tutti senza escludere nessuno. La fede, insomma, aiuta a superare le inevitabili paure che ognuno porta con sé e, tuttavia, fortifica l’umana debolezza che non può essere tolta perché tutti siamo arroccati a questo terreno della creazione, ma può essere trasformata nella luce del mistero pasquale.
Conclusione
Come esiste una nuova evangelizzazione che entra nella promozione e difesa di un’antropologia formata sull’immagine di Dio, così è necessario che la nuova evangelizzazione si faccia carico di entrare nelle pareti dei tanti luoghi di sofferenza e di dolore per portare la parola di speranza che è contenuta nel Vangelo. Dove si impone un annuncio come questo se non là dove si sperimenta la debolezza e le domande esistenziali si fanno più forti e la mente è più aperta alla verità così come il cuore più disponibile all’accoglienza? Ritornano cariche di senso e di particolare commozione le parole del beato Giovanni Paolo II quando diceva: “Ogni giorno mi reco idealmente in pellegrinaggio negli ospedali e nei luoghi di cura, dove vivono persone di ogni età e di ogni ceto sociale. Vorrei soprattutto sostare al fianco dei degenti, dei familiari e del personale sanitario. Sono luoghi che costituiscono come dei santuari, nei quali le persone partecipano al mistero pasquale di Cristo. Anche il più distratto è lì portato a porsi domande sulla propria esistenza e sul suo significato, sul perché del male, della sofferenza e della morte (cfr. GS 10). Ecco perché è importante che mai manchi in tali strutture una presenza qualificata e significativa dei credenti” (2). È questo pellegrinaggio al letto di quanti soffrono che la nuova evangelizzazione deve pensare per ridare fiducia e coraggio alle persone che attendono dai nuovi evangelizzatori una parola di speranza per divenire loro stessi nuovi evangelizzatori.
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NOTE
(1) Enchiridion della Nuova Evangelizzazione, 874
(2) Ibidem, 1086