Nelle gioie autentiche della vita alberga il desiderio di Dio

Durante l’Udienza Generale, Benedetto XVI riflette sulla ricerca dell’Assoluto che accomuna credenti e non credenti

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di Luca Marcolivio

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 7 novembre 2012 (ZENIT.org) – Il tema del desiderio di Dio è stato al centro della catechesi di papa Benedetto XVI in occasione dell’Udienza Generale di stamattina.

Punto di partenza della riflessione è stata l’affermazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, secondo il quale “il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio” (n°27). Un principio che potrebbe sembrare “una provocazione nell’ambito della cultura occidentale secolarizzata”.

In realtà il desiderio di Dio “non è del tutto scomparso e si affaccia ancora oggi, in molti modi, al cuore dell’uomo”, ha commentato il Papa. Che cosa può dunque saziare il desiderio dell’uomo? Partendo da questa domanda Benedetto XVI ha individuato nell’amore tra uomo e donna un momento i cui si può avvertire, grazie alla donazione reciproca, “la grandezza e la bellezza della vita e del reale”.

Il bene che desidero per l’altro, il mettermi al suo servizio è tanto più autentico nella misura in cui, arrivo “fino alla rinuncia a me stesso”. Comprendere il vero senso dell’amore, vuol dire quindi affrontare “la purificazione e la guarigione del volere, richiesta dal bene stesso che si vuole all’altro”, per la quale “ci si deve esercitare, allenare, anche correggere, perché quel bene possa veramente essere voluto”.

All’estasi iniziale verso l’altro, di natura essenzialmente emotiva, segue la consapevolezza che “nemmeno la persona amata, infatti, è in grado di saziare il desiderio che alberga nel cuore umano”. Al contrario, “tanto più autentico è l’amore per l’altro, tanto maggiormente esso lascia dischiudere l’interrogativo sulla sua origine e sul suo destino, sulla possibilità che esso ha di durare per sempre”, ha aggiunto il Santo Padre.

L’esperienza umana dell’amore, dunque, possiede “un dinamismo che rimanda oltre se stessi, è esperienza di un bene che porta ad uscire da sé e a trovarsi di fronte al mistero che avvolge l’intera esistenza”.

Considerazioni analoghe si possono fare attraverso esperienze umane di altro tipo: “l’amicizia, l’esperienza del bello, l’amore per la conoscenza”. Tutti sentimenti in grado di scatenare nel cuore umano “un desiderio fondamentale che non è mai pienamente saziato”.

Questo desiderio tende a Dio ma in maniera indiretta e, in qualche modo, inconsapevole. “Non si può conoscere Dio a partire soltanto dal desiderio dell’uomo”, ha infatti osservato il Pontefice che ha definito l’uomo un “cercatore dell’Assoluto”, sebbene in questa ricerca proceda “a passi piccoli e incerti”.

“Gli occhi riconoscono gli oggetti quando questi sono illuminati dalla luce – ha proseguito -. Da qui il desiderio di conoscere la luce stessa, che fa brillare le cose del mondo e con esse accende il senso della bellezza”.

Per credenti e non credenti è quindi auspicabile una vera e propria “pedagogia del desiderio” che, in primo luogo, ci farà apprendere “il gusto delle gioie autentiche della vita”.

Vi sono infatti gioie effimere ed altre ben più profonde come “la famiglia, l’amicizia, la solidarietà con chi soffre, la rinuncia al proprio io per servire l’altro, l’amore per la conoscenza, per l’arte, per le bellezze della natura”. Imparare a gustare queste gioie “significa esercitare il gusto interiore e produrre anticorpi efficaci contro la banalizzazione e l’appiattimento oggi diffusi”.

Respingere, invece, “tutto ciò che, pur apparentemente attrattivo, si rivela invece insipido, fonte di assuefazione e non di libertà. E ciò farà emergere quel desiderio di Dio di cui stiamo parlando”.

Un secondo aspetto di questa pedagogia è “non accontentarsi mai di quanto si è raggiunto” ed aspirare a “un bene più alto, più profondo”, comprendendo che “nulla di finito può colmare il nostro cuore”. È in questo modo che possiamo tendere “verso quel bene che non possiamo costruire o procurarci con le nostre forze” e a non lasciarci “scoraggiare dalla fatica o dagli ostacoli che vengono dal nostro peccato”.

Nemmeno a chi “si inoltra su cammini sviati”, magari sulle tracce di “paradisi artificiali” è preclusa la “capacità di anelare al vero bene” e di tendere verso Dio che “con il dono della sua grazia, non fa mancare mai il suo aiuto”. Il desiderio profondo che alberga nel cuore dell’uomo non va quindi soffocato ma liberato “affinché possa raggiungere la sua vera altezza”.

Il Santo Padre ha concluso la catechesi auspicando che nel pellegrinaggio della nostra vita tutti noi possiamo sentirci “fratelli di tutti gli uomini, compagni di viaggio anche di coloro che non credono, di chi è in ricerca, di chi si lascia interrogare con sincerità dal dinamismo del proprio desiderio di verità e di bene”.

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ZENIT Staff

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