di Costanza Miriano
ROMA, mercoledì, 25 luglio 2012 (ZENIT.org).- Le donne che mi fanno più tenerezza in assoluto sono quelle che non riconoscono la propria fragilità, il loro bisogno di uno sguardo benevolo che si posi su di sé. Quelle che non sanno che “verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà”.
Perché siamo tutte così, tutte desideriamo che l’altro ci rimandi la nostra immagine attraverso i suoi occhi. Riconoscere la nostra fame è il primo passo per saziarla.
Ho conosciuto delle femministe vere, dure e pure, quelle della prima ora, le madrine della liberazione sessuale e dell’aborto. Altro che donne liberate, emancipate, autonome. Non ho mai visto persone più fragili e spaventate dalla solitudine, soprattutto quando gli anni della giovinezza erano ormai lontani.
Ho conosciuto donne di potere, e mi sono sembrate incredibilmente insicure, almeno su qualcuno dei fronti della loro vita. Ho conosciuto donne di successo, e ho letto nei loro occhi la paura del giorno in cui lo avrebbero perso, quel successo diventato fonte di identità.
Per la donna è assurdo che ci sia qualcuno che non la ami, o non la stimi. Questo è un dato di fatto. Poi dipende dal suo livello di sanità mentale, di equilibrio, di maturità, il modo in cui cercherà di colmare la sua voragine interiore.
Molte di noi lo fanno investendo sulla propria bellezza, e qui vorrei calare un pietoso sipario sul fatto che io in profumeria comprerei praticamente di tutto. Non vorrei interrogarmi troppo sulla circostanza che le commesse quando mi vedono arrivare da lontano cominciano a stappare il Brachetto per brindare agli incassi della giornata.
Non vorrei pubblicizzare troppo il fatto che a Parigi, dove abbiamo vissuto una settimana in un quartiere etnico dove ogni due negozi uno era una profumeria che vendeva prodotti per le donne di colore che vogliono sbiancare la pelle – pieno di insegne tipo fair and white, shining white – stavo per comprare una fornitura vitalizia della crema per diventare bianca, dimenticando il piccolo particolare che io bianca lo sono già (sono pronta a credere a qualsiasi promessa, basta che mi fate pagare, e mi date qualche ricetta faticosissima da eseguire, tipo svegliarmi sei volte a notte per eseguire le abluzioni).
Sapere di sé, di questa sete, aiuta a riconoscere nelle circa sei – settecento volte in cui ogni giorno si viene ferite, o si vedono comunque deluse le proprie attese, quanto di questa trafittura dipenda da noi, dalla nostra fragilità – molto – e quanto invece dalle mancanze degli altri.
L’unico amante che non si dimentica mai un gesto di attenzione, che non si distrae, l’unico amico che non tradisce mai, né dice mai “oggi non ho tempo”, l’unico fratello sempre generoso, l’unico padre sempre accogliente è quel Dio che si è fatto uomo ed è morto per noi, e che quindi ha fatto il massimo che si possa anche solo sognare.
La mia amica suor Fabiana è una donna riuscita e fiorita pienamente. È così luminosa che sembra avere comprato anche lei una fornitura della crema fair and white che stavo per aggiudicarmi a Parigi.
Mi ha invitata ad Assisi, e pur essendo andata a cena con un’ampia fornitura di figli e nipoti, mi sono riposata come non mi capitava credo da una dozzina di anni. Lei e le sue sorelle e con loro una schiera di postulanti (sì, ci sono anche conventi che hanno ancora schiere di postulanti) hanno trastullato tutti con un ampio ventaglio di attività, comprendenti per la cronaca anche il suono della tromba. Una generosità allegra e sovrabbondante.
Ho chiesto a suor Fabiana il loro, il suo segreto – mi servisse se non altro per la pelle. Nonostante il suo pudore ho capito che è un rapporto personale con quel tipo di cui dicevo sopra, e la meditazione, mai lasciata neanche un giorno, anche tra le grandi responsabilità che lei ha nell’intera provincia dell’ordine. Ritagliata tra le tante cose da fare, e aggiunta agli impegni di preghiera collettivi. Un impegno che riempie e nutre e guarisce.
È solo la preghiera che rende liberi di non inseguire quello che possa colmarci, ma anzi capaci di dare e farci carico, non per eroismo, ma per una sovrabbondanza che non può che traboccare, naturalmente.