La fede si nutre di luce e bellezza

Il Fondatore dei Francescani dell’Immacolata spiega la Trafigurazione di Gesù al Tabor

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di padre Stefano M. Manelli F.I.

ROMA, lunedì, 30 giugno 2012 (ZENIT.org) – Il quarto “mistero della luce” è realmente un mistero di grande luce che svela il contenuto luminoso della nostra fede in Cristo e nella vita eterna, che rende visibile e luminoso ciò che nella fede non appare e non si vede.

Gli Apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, prima dell’esperienza del Tabor, vedevano Gesù-uomo, sapevano che Egli era il «Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16), ma vedevano soltanto l’uomo Gesù, e nulla vedevano del suo essere Dio, celato nella sua umanità.

Sul Tabor, invece, avviene, per essi, la rivelazione visiva di Gesù Dio e uomo: i tre apostoli vedono, sul Tabor, lo splendore abbagliante della divinità di Gesù, rapiti in un’estasi indicibile. Da allora essi potevano rendersi conto che la fede in Gesù si basava, saldamente, sull’ineffabile realtà della sua Divinità, che pur appariva così poco afferrabile all’esterno.

Nei riguardi di Maria Santissima, poi, gli apostoli ancora di più non vedevano nulla che manifestasse qualcosa di straordinario, almeno un qualcosa che fosse rivelatore della grandezza quasi infinita della Maternità divina. Soltanto la fede potrà far capire, lentamente, la realtà e il valore di questa creatura così mite e umile, e nello stesso tempo così alta da essere «sublimis inter sidera» (sublime fra le stelle), come canta la Liturgia.

Anche chi recita la preghiera del Rosario si trova di fronte alla Madonna, si rivolge a Lei e parla con Lei «“Ave, o Maria, piena di grazia … Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori…”» ma non vede nulla di nulla. Soltanto la fede assicura, a chi recita il Rosario, che la Madonna ascolta ogni nostra parola, che Ella è presente e vicina come la Madre tutta celeste e tutta splendore, tutta amore e tesoriera materna di tutte le grazie. La fede ci dona questa certezza.

Qui vale l’esperienza di quel giovane soldato che perse la vista durante le battaglie in trincea, ma non volle dare notizia alla mamma della disgrazia della cecità.

Quando tornò a casa, tuttavia, la mamma si accorse subito che il figlio era cieco, e con strazio gli disse: “Figlio mio, tu non mi vedi!”; e il figlio, di rimando immediato: “Sì. Mamma, non ti vedo, ma ti sento!”.

La fede non fa vedere, ma fa sperimentare, fa comprendere e fa possedere i tesori di verità e di bene che porta con sé. Non è forse questa, ad esempio, l’esperienza

quotidiana di fede nell’Eucaristia, che si presenta a noi come un’ostia di farina, ma che porta in sé il tesoro infinito del Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo? È il “mistero della Fede”! Tocca a noi, però, avere gli occhi dell’anima trasfigurati dalla fede durante la recita del Rosario, perché i quadri dei misteri del Rosario diventino quadri di luce immensa e radiosa, di luce amorosa e operosa per la santificazione della nostra vita, come Dio vuole: «Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (1 Ts 4,3).

Certo, non si può pretendere di arrivare alla trasfigurazione dell’anima e di sperimentarla nella recita del Rosario se lo spirito non viene custodito dalle distrazioni dei sensi interni ed esterni che disturbano e finiscono col dissolvere ogni interesse per «le cose di lassù» (Col 3,1).

Le immagini e i rumori del mondo, non respinti, colpiscono il nostro spirito occupandolo e dominandolo fino a schiavizzarlo. Di qui la noia e il fastidio, se non il disgusto e il rigetto della preghiera. E anche quando si cerca ugualmente di pregare, l’anima si trova comunque vuota e arida, chiusa ad ogni anelito superiore, oppressa dalle voglie carnali e terrene. Quale perdita è mai questa!

San Giuseppe Cafasso, chiamato «il prete della forca», perché preparava a morire cristianamente i condannati alla forca, parlando della vita cristiana fedele alla preghiera e pura dai peccati, la paragonava al fiume che se ne sta nel suo letto scorrendo tranquillamente con le sue acque limpide. La vita cristiana dissipata e mondana, invece, la paragonava al fiume che straripa per la campagna, rendendo fangose e torbide le sue acque che trascinano con sé immondizie di ogni genere.

Attenti, quindi! L’Imitazione di Cristo ci ammonisce salutarmente dicendo che «pochi si danno alla contemplazione perché pochi sanno separarsi pienamente da ciò ch’è creato e caduco».

Un’altra illuminazione che il mistero della Trasfigurazione porta all’anima è quella di un richiamo vivo all’aldilà, sperimentato dai tre Apostoli prediletti di Gesù. Come insegna san Paolo, la nostra mente non può neppure immaginare la realtà trascendente dell’aldilà, «ciò che Dio ha riservato agli eletti».

Sul monte Tabor i tre Apostoli ebbero soltanto un saggio dell’indicibile bellezza del divino. E san Giovanni Evangelista, nel descrivere la Trasfigurazione, per darcene una pallida idea, si serve delle immagini del sole e della luce. Ma la realtà del Paradiso, della visione di Dio e della sublimità di Maria Santissima, in effetti, non può che essere indicibile e ineffabile, rispetto ad ogni realtà materiale o spirituale da noi conosciuta.

Santa Teresa d’Avila, ad esempio, la grande estatica, nella sua Autobiografia racconta che una volta le fu concessa la visione del Paradiso “per la durata di un’Ave Maria”. Tale visione così breve bastò a generare in lei un disprezzo assoluto di tutte le gioie e le

glorie di questo povero mondo. «È impossibile – scrive la Santa – che lo spirito umano riesca a formarsi un’idea, anche lontana, della gloria celeste: la luce del sole è tenebra di fronte allo splendore dei Beati in Paradiso».

Un giorno, a San Giovanni Rotondo, mentre san Pio da Pietrelcina stava sulla veranda, un gruppo di fedeli, nel campo sottostante, cantava l’inno mariano:

«Bella tu sei qual sole, bianca più della luna, e le stelle, le più belle, non son belle al par di Te». All’udire queste parole, Padre Pio disse: «Se la Madonna fosse bella soltanto come il sole, la luna e le stelle, rinuncerei ad andare in Paradiso». Uno dei frati presenti, meravigliato di quelle parole, disse: «Ma allora, Padre, come è bella la Madonna in Paradiso?…». Padre Pio lo guardò e gli disse in un soffio: «Hai voglia, figlio mio!».

Se le creature terrene più belle, come il sole, la luna e le stelle, sono brutte rispetto alle realtà celesti, che cosa deve essere l’incanto sublime del volto di Gesù e di Maria nel Paradiso? Ciò che conta, però, è che, con la recita attenta e amorosa del Rosario, noi ci leghiamo alla Madonna per essere da Lei condotti nel Regno dei cieli.

Virtù da praticare: Contemplazione del volto di Gesù e di Maria

Per ogni approfondimento: Padre Stefano Maria Manelli, “O Rosario benedetto di Maria!” (Casa Mariana Editrice)

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ZENIT Staff

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