di padre Angelo del Favero*
ROMA, giovedì, 26 luglio 2012 (ZENIT.org).-2 Re 4,42-44
“In quei giorni venne un uomo che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: “Dallo da mangiare alla gente.”. Ma il suo servitore disse: “Come posso mettere questo davanti a cento persone?”. Egli replicò: “Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”. Lo pose davanti a quelli, che mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore.”.
Gv 6,1-15
“ Gesù andò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzati gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”. Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: “Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo”. Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?”. Rispose Gesù: “Fateli sedere”. C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”. Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: “Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!”. Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo”.
Una giornata memorabile, un trionfo del Regno di Dio: “Questi è davvero il profeta, che viene nel mondo!”; ma Giovanni chiude il racconto con una pennellata amara: “Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo” (Gv 6,15).
Dice “di nuovo”, perché la giornata era cominciata proprio sul monte, in un clima straordinario: una folla di persone attorno al Signore, pronte a sopportare ogni disagio pur di ascoltare la sua parola e a seguirlo “perché vedeva i segni che compiva sugli infermi.” (Gv 6,2).
Vediamo quel che è successo.
All’ora del pranzo, Gesù e i discepoli si rendono conto che sulla tavola non c’è niente da mangiare per i cinquemila invitati, salvo cinque pani e due pesci. Allora “Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano” (Gv 6,11). Molto semplicemente.
Ma come è successo? Nessuno lo saprà mai, ma il fatto è che appena Gesù pronuncia la preghiera di ringraziamento, la mensa deserta si imbandisce abbondantemente da sé, tanto che alla fine avanzano ben dodici mucchi di residui alimentari: stupore ed ebbrezza di gioia!
Ma ecco che l’incanto di questa comunione conviviale si spezza come si spezza il pane tra le mani, e l’onda della folla ormai sazia costringe il Signore a fuggire, nascondendosi più in alto sul monte.
Conclusione per Gesù inaspettata, anche rispetto al racconto simile della prima Lettura, protagonista il profeta Eliseo (2 Re 4,42-44).
Il confronto tra i due testi ci fa anzitutto notare che, mentre la miracolosa distribuzione dei pani d’orzo è fatta dal servitore del profeta Eliseo, nel Vangelo è il Signore in persona a distribuirli (assieme ai pesci): “li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano” (Gv 6,11).
Che significato possiamo dare a questa diversità di soggetti?
Mi sembra che il tu-per-tu di Gesù con i cinquemila uomini seduti sull’erba, riveli il suo desiderio di condivisione e comunione con ognuno, la sua offerta per tutti di amicizia personale. Assicurando il rimedio del corpo, Gesù vuole sfamare e dissetare le anime con l’amore del Padre, offrendo se stesso quale “vero cibo e vera bevanda” (Gv 6,55).
Un grandioso segno di solidarietà con questa “grande folla” di sani ed infermi, di poveri e ricchi, di piccoli e grandi, di buoni e cattivi: tutti fratelli del Signore.
Venendo ora al triste epilogo della giornata sembra, in verità, che tale sventurato malinteso politico da parte della gente (“venivano a prenderlo per farlo re” – Gv 6,15) non era del tutto imprevedibile.
Ma Gesù ha deciso ugualmente di correre il rischio, perché la sua intenzione fondamentale era quella di saziare il vuoto infinito del cuore umano.
Per far questo, Gesù ha ‘inventato’ sul monte dei cinque pani “il Pane della vita” (Gv 6,35), che è il Suo stesso Cuore, Carne viva da mangiare e Sangue vivo da bere quale “vero cibo e vera bevanda” dell’uomo (Gv 6,55).
Ma quel giorno, sul monte, nessuno lo poteva capire.
A noi oggi, lo ricordava anche Benedetto XVI all’inizio del suo pontificato, parlando dell’istituzione dell’Eucaristia:
“Già da sempre tutti gli uomini in qualche modo aspettano nel loro cuore un cambiamento, una trasformazione del mondo. Ora questo è l’atto centrale di trasformazione che solo è in grado di rinnovare veramente il mondo: la violenza si trasforma in amore.
Quello che dall’esterno è violenza brutale – la crocifissione – dall’interno diventa un atto d’amore che si dona totalmente. E’ questa la trasformazione sostanziale che si realizzò nel cenacolo e che era destinata a suscitare un processo di trasformazioni il cui termine ultimo è la trasformazione del mondo fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti” (Omelia sull’Ultima Cena, 21 agosto 2005).
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.