Denver piange le vittime della strage di Aurora

Intervista con il nuovo arcivescovo della capitale del Colorado, monsignor Samuel Aquila

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di Ann Schneible

ROMA, mercoledì, 25 luglio 2012 (ZENIT.org) – La folle sparatoria che venerdì scorso ha provocato ad Aurora, nell’area metropolitana di Denver (Colorado/USA), 12 vittime ed una cinquantina di feriti, solleva importanti questioni su temi come il bene, il male e il perdono. Lo dichiara il nuovo arcivescovo di Denver, monsignor Samuel Aquila, in un’intervista con ZENIT.

La sparatoria è avvenuta quando James Holmes, 24 anni, ha aperto il fuoco sugli spettatori che assistevano alla prima cinematografica dell’ultimo film della serie di Batman, Dark Knight Rises. Si tratta della più grave sparatoria nello Stato del Colorado, dopo quella nella Columbine High School, in cui, nel 1999, morirono 12 studenti e un insegnante.

La strage di Aurora è avvenuta in un’area metropolitana che nel passato ha visto già un’altra tremenda sparatoria, quella di Columbine. Qual impatto ha avuto questa nuova sparatoria sulla comunità locale?

Mons. Samuel Aquila: La sparatoria che ha avuto luogo venerdì scorso è stato un atto malvagio, un atto di vera violenza. La nostra comunità è scioccata ed afflitta. Come comunità, essa si pone domande sul bene e sul male, e sulla guerra spirituale e morale fra il bene e il male. Anche nel mezzo del caos e del male di quella prima mattina, emergono storie di eroi che, in piena sparatoria, hanno cercato di proteggere con il proprio corpo amici e persone care. Con la grazia di Dio, la gente di Aurora e del Colorado ha risposto con grande amore, con carità e misericordia verso i feriti e le famiglie che hanno perso i loro cari. C’è un netto senso di unità in tutto il nostro Stato, e questo è davvero una grazia.

Il perdono è una virtù estremamente difficile da mettere in pratica quando si tratta di tali crimini, soprattutto quando sono appena avvenuti. Cosa può dire alle persone offese per condurle sulla via del perdono?

Mons. Samuel Aquila: Chi ha perpetrato questa strage ha commesso un atto malvagio molto grave. Va affrontato in modo adeguato secondo la nostra procedura civile. A livello umano la risposta è rabbia e forse anche vendetta. Ma mi viene in mente il perdono molto personale che Giovanni Paolo II offrì a Mehmet Ali Agca. E naturalmente mi viene in mente il perdono personale che Gesù Cristo offre a ciascuno di noi dalla Croce sulla quale ha subito una morte violenta.

Mt 6,14). Sebbene perdonare può richiedere tempo, l’unico modo per guarire la ferita e il dolore è con il perdono. Prego che chi ha perpetrato un tale atto malvagio possa incontrare Gesù Cristo, e spero che altri si uniranno a me in questa preghiera.

Che tipo di sostegno la diocesi fornisce alle vittime e alle loro famiglie e persone care?

Mons. Samuel Aquila: Sacerdoti e diaconi dell’arcidiocesi di Denver hanno fornito assistenza spirituale negli ospedali, nelle case e nelle chiese a coloro che sono coinvolti nella tragedia. Ho avuto l’opportunità di incontrare le famiglie delle vittime, persone che stanno veramente soffrendo. Prego che possiamo portare Gesù Cristo a loro.

Regina Caeli Counseling Services di Catholic Charities ha messo servizi di consulenza a disposizione di chi ne ha bisogno. Abbiamo offerto delle Messe pubbliche ed organizzato delle veglie di preghiera pubbliche. Celebreremo alcuni funerali. E, soprattutto, offriamo le nostre preghiere, la nostra solidarietà e la presenza della nostra comunità in un momento in cui la presenza di Cristo è assolutamente necessaria.

Quale messaggio vuole trasmettere alle vittime e alle loro famiglie?

Mons. Samuel Aquila: Questi tipi di eventi sono dolorosi per noi perché non hanno senso, stravolgono le nostre convinzioni per quanto riguarda la stabilità, la giustizia e la sicurezza. Sembrano morti senza senso. Comprendo questo dolore, questa tristezza. Ho riflettuto spesso sul senso della nostra sofferenza, e so che essa ci configura sempre più strettamente a Gesù Cristo. La sofferenza è un’opportunità per conoscere meglio Dio. E possiamo anche ricordare che Cristo stesso ha subito una morte violenta ed era innocente.

Maria stava sotto la croce e ha vissuto la perdita del suo figlio e accompagna ogni genitore che ha subito la perdita di un figlio per una morte violenta ed inaspettata. Come cristiani sappiamo nella fede, che la morte e il peccato sono stati vinti nella risurrezione di Cristo. Possiamo affidare i nostri morti a Cristo, sapendo che in Lui possono vivere eternamente. Il Padre non ha permesso che la morte e il peccato sconfissero suo Figlio, ma ha distrutto la morte e ha rivelato la vita eterna, nella risurrezione di Gesù. La morte non è abbastanza forte per separarci dall’amore di Dio che è amore.

[Traduzione dall’inglese a cura di Paul De Maeyer]

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ZENIT Staff

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