Un tempio romano intatto nella chiesa di S. Urbano

Una visita al parco romano della Caffarella, sull’Appia Pignatelli

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di Paolo Lorizzo*

ROMA, sabato, 21 luglio 2012 (ZENIT.org).- Comodità, raggiungibilità e pubblicità: sono questi i requisiti essenziali dei grandi circuiti turistici. Troppe volte monumenti o pezzi di storia raggiungono un numero elevato di visitatori solo perché ben rappresentati o perché al centro di percorsi culturali di grande rilievo. Non è dunque un caso che monumenti dalla straordinaria importanza storico-artistica siano spesso sconosciuti anche ai residenti o noti solo per ‘sentito dire’.

Uno degli esempi più evidenti è situato nel cuore del parco della Caffarella, immerso nella rigogliosa vegetazione della campagna romana e nel silenzio che solo la voce del passato può fornire. Percorrendo via Appia Pignatelli (lasciandosi alle spalle via Appia Antica) si giunge, dopo circa un chilometro, dinanzi ad una stradina nota come vicolo di Sant’Urbano. La chiesa, seminascosta dagli alberi, è situata su un terreno di proprietà privata, elemento non trascurabile per la piena fruizione turistica dell’edificio.

Come molti edifici cristiani già precedentemente analizzati, la chiesa di Sant’Urbano è stata costruita utilizzando la struttura di un precedente edificio di culto pagano, ma a differenza di altri contesti, l’antico edificio romano, attribuibile al culto di Cerere e Faustina, è praticamente intatto. Cerere era la divinità strettamente legata al mondo naturale, colei che donava agli uomini i frutti della terra, mentre Faustina, moglie di Antonino Pio, venne divinizzata dopo la sua morte avvenuta nel 140 o 141 d.C. Quando il tempio venne abbandonato, grazie al fatto di essere situato in una zona piuttosto isolata, non subì l’amaro destino di altri monumenti cittadini, feriti da saccheggi e distruzioni e si mantenne praticamente intatto fino al IX secolo quando venne trasformato in chiesa. Il tempio è un prostilo tetrastilo (possiede cioè un portico formato da quattro colonne in facciata), originariamente rialzato dal terreno mediante un podio raggiungibile attraverso una rampa di sette gradini, ancora esistente ma completamente interrato.

L’originale dislivello quindi risulta completamente azzerato e l’attuale accesso venne realizzato soltanto nel 1634 in seguito ad un violento terremoto che danneggiò il pronao rendendolo pericolante. Si decise quindi di tamponare gli intercolumni (lo spazio compreso tra una colonna e l’altra), dando alla facciata un chiaro gusto tipico delle chiese dell’epoca costruite tra il tardo manierismo e l’inizio dell’epoca barocca. Per l’occasione venne costruito il piccolo campanile a vela sulla sommità dell’edificio, si mise mano all’altare che era stato profanato e vennero restaurate le pitture altomedievali. Quest’ultimo intervento comportò modifiche radicali e gli affreschi subirono notevoli alterazioni a tal punto da rendere prezioso il lavoro voluto dal cardinale Francesco Barberini che li fece riprodurre con la tecnica dell’acquarello, attualmente conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana.

L’alzato del tempio è costituito da una prima trabeazione in marmo pentelico e da un alzato in mattoni, materiale usato anche per la realizzazione del timpano e delle mura della cella. L’interno presenta un vano quasi quadrato con copertura con volta a botte. Le pareti un tempo corrispondenti alla cella erano decorate da finestre ad arco, ancora visibili nella parete di fondo (solo quelle laterali).

Le pareti sono scandite da tre diversi ordini in mattoni, mentre all’altezza dell’imposta della volta erano collocati due fregi con insegne ed armi (soltanto uno parzialmente conservato), inseriti nel contesto di alcuni rilievi celebranti i trionfi e le virtù imperiali. La volta è decorata da ottagoni, al centro dei quali era realizzato un fregio (se ne conserva soltanto uno) la cui sobrietà realizzativa testimonia il classicismo della metà del II secolo. In dettaglio si notano due figure, una maschile e l’altra femminile che stringono nella mano destra due anatre e una colomba, elementi da porsi in relazione alle offerte portate durante la cerimonia. Questa scena era probabilmente una delle immagini componenti una narrazione, come confermato dall’atteggiamento ‘dinamico’ delle figure.

La proposta è quella di vedere identificati Erode Attico e sua moglie Annia Regilla. Il tempio infatti era parte integrante del celebre ‘Triopio’ una villa residenziale appartenuta allo stesso Erode Attico, politico greco che giunse a Roma al seguito dell’imperatore Antonino Pio. Egli sposò la nobile romana Annia Regilla, possidente di numerosi terreni, uno dei quali situato tra il II e il III miglio della via Appia, luogo dove sorgeva una struttura residenziale risalente alla tarda età repubblicana, ampliata con la costruzione del ‘Triopio’.

Nell’Alto Medioevo il tempio venne riadattato in chiesa dedicata a Sant’Urbano martirizzato ai tempi dell’imperatore Marco Aurelio. Le straordinarie pitture ancora oggi visibili (ma notevolmente alterate all’inizio del XVII secolo) rappresentano un prezioso elemento di studio della pittura altomedievale a Roma, cosi importanti ed elaborate da meritare uno specifico approfondimento in un prossimo articolo.

La Chiesa di Sant’Urbano alla Caffarella, rappresenta un pezzo della ‘Roma scomparsa’, come quella magistralmente tramandataci dal Labruzzi e dai molti pittori suoi contemporanei, capaci di farci vivere quelle sensazioni che soltanto la campagna romana con le sue ricchezze culturali riesce a trasmetterci.

* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.

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ZENIT Staff

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