di monsignor Enrico Dal Covolo
Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense
ROMA, giovedì 19 luglio 2012 (ZENIT.org).-
3. Ancora sul “metodo patristico” dell’omelia
Rimanendo ancora sul “metodo patristico” dell’omelia, e precisamente sul suo duplice movimento, conviene esplicitare almeno due suggerimenti.
* Il primo suggerimento raccomanda una sorta di equilibrio tra il viaggio di andata e il viaggio di ritorno. Ci imbattiamo spesso in omelie “squilibrate”: o troppo ripiegate sull’esegesi dei testi, dove magari si fa sfoggio di erudita informazione biblica e liturgica; oppure, al contrario, omelie troppo sbilanciate sull’attualizzazione, dove il rischio estremo è quello di trasformare l’omelia in un comizio. Nel primo caso il fedele non viene accompagnato nell’interpretazione della Parola pro nobis, hic et nunc; nel secondo caso la Parola rischia di diventare un semplice pretesto, per dire quello che al predicatore sembra bene in quel momento. Conviene ricordare che il viaggio di ritorno, cioè l’attualizzazione, sarà tanto più fecondo, quanto più accuratamente sarà stato preparato dal viaggio di andata.
* Entra qui il secondo suggerimento, anch’esso legato al magistero dei nostri Padri. Nell’esercizio dell’omelia occorre valorizzare il cuore, perché proprio il cuore è il centro dei due movimenti della lectio divina: lì scende la Parola, letta e meditata, e da lì essa riparte per il confronto con la preghiera e con la vita.
Uno dei difetti di molte omelie è quello di un certo intellettualismo. L’omelia invece deve parlare al cuore dei fedeli, nel senso biblico e patristico di questa parola. Per la Bibbia e i Padri, il cuore è l’intimità dell’uomo. E’ là dove teniamo in mano il nostro destino, dove si giocano le grandi decisioni, dove in qualche modo sono chiamate a raccolta tutte le nostre facoltà. E’ in questo senso che il predicatore deve parlare “da cuore a cuore”: cor ad cor loquitur. La tradizione cristiana riconosce nel cuore la via per stabilire incontri autentici e veri. “Non ci ardeva forse il cuore nel petto, mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”, si domandano stupiti i discepoli di Emmaus.
In questo senso, l’icona del predicatore è Maria santissima. Nel Vangelo dell’infanzia Luca ripete due volte che Maria “conservava nel cuore tutte queste cose” (2,19.51). L’evangelista intende dire che nella teca preziosa del suo cuore la vergine madre “custodiva insieme con grande cura” (sunetérei) ogni reliquia del mistero di Gesù. Ma una delle due volte Luca aggiunge: “E le confrontava…” (2,19). Qui viene usato un altro verbo molto significativo: è il verbo greco symbállein, imparentato fra l’altro con il sostantivo italiano simbolo. In questo modo si vuole dire che Maria non soltanto custodiva gelosamente nel suo cuore il Verbo di Dio: di più, essa cercava di confrontare le parole della rivelazione con la propria vita, evidentemente per “metterle in pratica”.
Trascorriamo ora dalla Bibbia ai Padri, sempre riguardo alla centralità del cuore nel metodo dell’omelia.
All’amico Teodoro, medico dell’imperatore, Gregorio Magno raccomandava: “Impara a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio”.
Ma perché questo avvenga davvero, occorre che la Parola sia “digerita” nel cuore dell’uomo. Forse questa immagine della digestione non è molto attraente (Bernardo esortava addirittura i suoi monaci ad essere animalia munda et ruminantia), ma essa ha il pregio di ricordare in modo icastico che la Parola di Dio è vero cibo del nostro cuore.
A questo riguardo la tradizione dei Padri è ricchissima. Mi limito a un solo esempio.
Del beato Aelredo di Rievaulx, discepolo e biografo di san Bernardo, si legge che parlava ex biblioteca sui cordis. Il cuore di Aelredo (e a maggior ragione quello di Bernardo, il suo maestro) era divenuto come una teca, cioè un prezioso scaffale in cui si allineavano ordinati tà biblía, cioè la Sacra Scrittura, “i libri” per eccellenza.
E’ il complimento migliore che si potrebbe fare a un omileta: quando parla, parla dalla biblioteca del suo cuore. Cioè si sente davvero che il suo impegno di “attualizzare” la Parola viene da un cuore plasmato da essa, in profonda sintonia con essa.
Gli omileti che hanno inciso più profondamente nella vita dei fedeli sono precisamente i testimoni di questa intima, cordiale unione con il mistero di Dio.
Si pensi – solo per fare qualche esempio – a Francesco d’Assisi. E’ stato detto che del “profumo del Vangelo” sono a tal punto ripieni i suoi scritti (come lo erano, per quanto possiamo saperne, le sue omelie), che se si togliesse il Vangelo non vi rimarrebbe più nulla. Oppure si pensi a san Carlo Borromeo, e alla celebre Omelia 45, nella quale il santo vescovo si rivolge direttamente al Crocifisso: “Perché hai voluto nascere in così bassa condizione, vivere sempre in essa e morire tra le ignominie? Perché hai sofferto tante fatiche, tante offese, tanti oltraggi, tanti dolori e tante piaghe, e alla fine una morte così crudele, versando il tuo sangue fino all’ultima goccia?…”. E san Carlo conclude la sua omelia proclamando “veramente felici coloro che hanno impresso nel cuore Cristo crocifisso, e non svanisce mai”. Si pensi ancora al santo Curato d’Ars, che sul più bello interrompeva la sua omelia, per rivolgersi con intensità ineffabile al Tabernacolo, dicendo semplicemente: “Ma che importa tutto questo? Egli è là!…”. Ma forse l’esempio più impressionante viene da una singolare omelia di san Luigi M. Grignion de Monfort. Salito sul pulpito all’ora stabilita, il predicatore estrae il suo crocifisso, e senza dire parola si ferma a contemplarlo lungamente, dando sfogo al pianto. Il popolo, a sua volta, non riesce a trattenere le lacrime, quando il predicatore scende e presenta a ciascuno il crocifisso per il bacio. “La predica era stata corta”, commenta il biografo, “ma non occorre meno di tutta la vita di un santo per prepararla”.
(La quarta parte verrà pubblicata domani, venerdì 20 luglio. La seconda puntata è andata in rete mercoledì 18 luglio)