di Robert Cheaib
ROMA, sabato, 14 luglio 2012 (ZENIT.org). – Lo gnosticismo è venuto a galla presso l’attenzione dell’uomo medio negli ultimi anni grazie in parte al romanzo di Dan Brown, «Il codice Da Vinci». L’autore aveva cucito una trama accattivante intorno ad alcuni vangeli gnostici per inculcare alcune immagini o visioni ideologiche riguardo a Gesù. A prescindere dall’interpretazione falsata ben lontana dall’esattezza storica e non consona con lo spirito dello gnosticismo e la sua ermeneutica della realtà, un effetto di tale impresa è stato quello di aver aperto gli occhi e suscitato la curiosità riguardo ai cosiddetti scritti “nascosti”. Basandosi infatti su uno dei sinonimi della parola “apocrifa”, Brown ha saputo completare indebitamente la sua conspiration theory che la Chiesa abbia nascosto alcuni vangeli che contengono dottrine segrete di Gesù e fatti inediti della sua vita.
Il secolo passato è stato arricchito da varie scoperte di testi gnostici in seguito a ritrovamenti archeologici importanti. Forse la scoperta più interessante è quella che avvenne nel dicembre 1945 nell’Alto Egitto e precisamente a Nag Hammadi ove furono rinvenuti vari codici manoscritti contenenti testi gnostici originali.
Ciò che è meno saputo, però, è che il più grande storico e storiografo dello gnosticismo è un Padre della Chiesa del II secolo, sant’Ireneo di Lione. La sua opera maggiore, Adversus haereses, il cui titolo completo è «smascheramento e confutazione della falsa gnosi», costituisce – non solo il documento più antico che presenta, spiega e confuta le dottrine degli gnostici – ma anche una delle più autorevoli presentazioni dello gnosticismo di tutti i tempi. I testi di Nag Hammadi non hanno fatto altro che dare conferma generale della conoscenza dello gnosticismo che Ireneo (e altri Padri) offrivano nei loro scritti; i manoscritti hanno mostrato infatti la veridicità dell’affermazione di Ireneo che dichiara nella sua opera di scrivere avendo i testi degli gnostici sotto mano.
L’Adversus haereses è un’opera di grande importanza almeno per due motivi. Essa – in primo luogo e come stavamo appena dicendo – è un’autorevolissima presentazione delle dottrine gnostiche, e una loro puntuale e paziente confutazione. Lo gnosticismo – e come ci mostra Ireneo, è meglio parlare di dottrine e correnti gnostiche al plurale – è un fenomeno molto complesso fondato su una conoscenza dalla «consistenza ontologica». La possibilità di poter accedere a tal conoscenza esoterica è già una predestinazione salvifica in quanto segno dell’appartenenza alla cerchia privilegiata dei pneumatokoi. Ireneo rimprovera a più riprese – e non di rado con toni irrisori – gli gnostici di essersi impossessato di una qualifica che non compete loro, quella del «sapere» essendo la loro in verità una «falsa gnosi». Il loro sapere non si fonda sulla predicazione della verità ma su vane fantasticherie e su gerarchie celesti costituite a caso. Le loro dottrine – tra cui la distinzione tra il «Demiugro» creatore e il Dio di Gesù Cristo – mostrano un disprezzo evidente della realtà creata a discapito della teologia della creazione presenti in entrambi i testamenti e dell’incarnazione del Figlio di Dio.
In secondo luogo, l’Adversus haereses gode di particolare importanza perché costituisce la prima grande sintesi della fede cristiana. Infatti, dopo la presentazione – nel primo dei cinque libri – della genesi dei trenta eoni degli gnostici che costituiscono il pleroma iniziale, e delle varie ramificazioni della falsa gnosi, Ireneo si dedica nel secondo libro a confutare queste dottrine partendo dal contenuto scritturistico. Il resto dei libri è un’affermazione poliedrica delle verità della fede professate dai cristiani nel vero e unico Dio Padre. Al di là delle illusioni infondate degli gnostici, Ireneo mette in chiaro i pilastri della fede apostolica e della «regola della verità», mostra l’interdipendenza e la complementarità dei due testamenti, affermando anche il criterio della «successione apostolica» manifesta a tutti e rintracciabile. A mo’ d’esempio Ireneo offre il paradigma della tracciabilità della successione apostolica nella Chiesa di Roma, e non senza vanto mostra anche la sua discendenza spirituale da Ippolito da Smirne nella cui memoria balenava ancora la predicazione di Giovanni l’apostolo.
L’Adversus haereses è un classico intramontabile. La lunghezza e la prolissità di alcuni parti sono impedimenti lievi di fronte alla grande attrattiva che investe l’opera, sia per chi è interessato alla questione dello gnosticismo e della risposta del proto-cristianesimo ad esso, sia per toccare da vicino una formulazione solida della fede che riecheggia con potenza l’ardore e l’ardire della fede degli apostoli. Un’apologia a cui non siamo tanto abituati ai nostri giorni, sia per la sua grinta, sia per la sua pretesa, ma della quale abbiamo più che mai bisogno.
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