di José Antonio Varela
CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 13 luglio 2012 (ZENIT.org) – Si dice che se non si impara dai propri errori, si corre il rischio di ripetere la storia. È un concetto molto chiaro, quest’ultimo per il cardinale Cottier, quando analizza il tempo presente, in cui opera una Chiesa che ha ricevuto luce e certezze dal Concilio Vaticano II, e che, in virtù di questo, è in grado di parlare in un mondo “veloce a rispondere, ma lento ad ascoltare”.
Nell’ultima parte di questa indimenticabile intervista con un testimone vivente dell’evento più importante della Chiesa nel XX secolo, ci rendiamo conto, quindi, di quanto sia stata geniale l’idea di Papa Benedetto XVI di convocare una celebrazione universale del Concilio Vaticano II, punto di partenza per qualcosa di assolutamente nuovo voluto da Dio, i cui veri risultati sono ancora da vedere…
***
Abbiamo parlato del perdono pubblico voluto dal beato Giovanni Paolo II… Secondo lei, cosa sta facendo oggi l’umanità, e a chi dovrà chiedere perdono domani?
Card. Cottier: Tutto il problema della banalizzazione dell’aborto, e anche dell’apertura di alcune pratiche senza rispetto dell’embrione umano. Sono queste, per me, le colpe più grandi che rischiamo di pagare. Ora che c’è la possibilità di vedere il sesso del bambino nell’utero della madre: in alcuni paesi si preferisce il maschio alla femmina e si verifica un grave squilibrio demografico. Anche la permissività in campo sessuale, direi, si può considerare un’offesa alla persona, in particolare alla donna o ai bambini.
Quindi solo a questo livello?
Card. Cottier: No, c’è n’è anche un altro: il commercio delle armi. Ci sono già molti sforzi in tal direzione, ma il processo non è ancora finito. Le guerre in Africa, ad esempio, sono durissime e provocano numerose vittime innocenti; tutto l’armamento, però, è fatto nelle nostre fabbriche occidentali, o anche in Cina e in Russia. Bisogna dare, quindi, uno sguardo anche all’economia attuale, alla tolleranza di alcune miserie e via dicendo, altrimenti l’avvenire sarà severo con noi.
La Chiesa cattolica come risponde a tutto questo?
Card. Cottier: Tutti questi sono peccati contro cui la Chiesa ha lottato da sempre, attraverso delle iniziative e i mezzi evangelici della predicazione. Vorrei dire che “il bene è più efficace del male”, anche se le apparenze sembrano dimostrare il contrario. Il bene, infatti, non si vede, è silenzioso, è come l’immagine di Gesù che prende il seme, lo getta nella terra e poi matura lentamente. Il male, invece, fa molto chiasso e lascia rovine, morti fisiche e spirituali nelle anime. Abbiamo fatto grandi progressi a partire dell’ultima guerra, l’esperienza è stata così tremenda, infatti, che si ha una maggiore sensibilizzazione ad un atteggiamento pacifico, al dialogo, anche questo un frutto del Concilio.
Il Vaticano II ha cambiato quindi l’atteggiamento di fronte alle guerre?
Card. Cottier: Prima delle due ultime guerre mondiali, i teologi facevano una teologia della guerra giusta, che è un problema importante. Così come di tutte le mostruosità accadute, della potenza di mezzi come la bomba atomica, ecc. Ora sappiamo che la guerra non è mai la soluzione, ma cosa è successo prima di arrivare a questa conclusione? È cominciato il Concilio e grazie, in seguito, all’enciclica Pacem in Terris di papa Giovanni XXIII, o al grande discorso di Paolo VI alle Nazioni Unite, la Chiesa ha cominciato ad elaborare una dottrina di pace, non più della guerra. Basti ricordare tutti i discorsi del 1° gennaio. C’è tutto un insieme di riflessioni sulla pace che è bellissimo, oltre che un contributo molto moderno.
Lei pensa che ci siano ancora dei settori in cui la Chiesa, con il suo atteggiamento, sta sbagliando e per cui dovrà chiedere perdono in futuro?
Card. Cottier: Sì, può darsi. Non direi però la Chiesa, che è come la vuole Cristo, ma i membri o alcuni settori del mondo cristiano. Certamente ci sono dei pregiudizi, come, ad esempio, l’accusa che ambienti ricchi ignorino i poveri, questo non è giusto. La divisione dei beni, però, o la tolleranza di alcune leggi ingiuste, l’uso della violenza, questa non è Chiesa. In documenti recenti, per esempio, si insiste sulla democrazia. Ma che vuol dire democrazia? Non è soltanto un tipo di votazione ma vuol dire, la partecipazione degli uomini come persone.
La disobbedienza in alcuni settori, per esempio, nel nord di Europa… Perché sorge tutto questo? E’ grazie a un modo di pensare che così le Chiese si riempiranno?
Card. Cottier: No, penso che questi movimenti di contestazione nella Chiesa siano sempre esistiti, divenendo ancora più frequenti dopo il ’68 in Europa e in America del Nord. Ci sono gruppi che avanzano rivendicazioni abbastanza insensate, come ad esempio le donne che chiedono il sacerdozio femminile. La Chiesa deve fare tanto, quindi, per valorizzare le doti maschili e femminili nella vocazione di ciascuno. È interessante notare che questi tipi di rivendicazioni siano spesso conseguenza di un rifiuto della natura umana. Tutte le teorie dei ‘gender’ si risolvono nel fatto che la differenza sessuale è un fatto culturale, non naturale. La natura è un cammino per la vocazione, sia dell’uomo, sia della donna.
Di questo, la Chiesa ne ha già parlato, vero?
Card. Cottier: Rifacendosi alla tradizione che viene da Cristo, Giovanni Paolo II è stato chiaro e ha detto: “Non è possibile che la Chiesa non si senta in diritto di toccare una cosa dove Gesù stesso ha dato l’esempio”. A questo hanno risposto: “Cristo si è adattato alla sua epoca”, ma credo che sia un’argomentazione di poco valore, dal momento che la Madonna, che sempre è stata centrale, non ha mai avuto compiti sacerdotali, ma un’altra vocazione. È molto interessante osservare come molte femministe vogliono il sacerdozio delle donne perché lo vedono in un’ottica di potere, una cosa totalmente falsa. Per questo il Papa ha ripetuto spesso negli ultimi tempi che il sacerdozio è un servizio. Se si capisce questo già cambia molto.
Ci sono altri temi “scottanti”?
Card. Cottier: Sì, il matrimonio dei sacerdoti e tutte le crisi che tale tema comporta. Una delle prime rivendicazioni della riforma protestante è che i sacerdoti siano sposati. Il Vangelo, però, non è facile, anzi è molto esigente; e lo è perché ci porta ad un fine grandissimo: la gioia. La gioia evangelica, infatti, non è quella proposta dalla società di consumo, ma la gioia di Dio. C’è una convenienza spirituale profondissima in questa intenzione del celibato nella Chiesa di rito latino, che porta molti frutti spirituali che non dobbiamo perdere.
Anche perché un sacerdote sposato non sarebbe solo uno marito, ma un padre di famiglia…
Card. Cottier: La vocazione di padre di famiglia non è una piccola vocazione. Oggi occupa molto anche lo spirito e non so se, appunto, potrebbe essere compatibile. La Chiesa, inoltre, crede che quando si consacra un vescovo, questi è considerato come suo sposo. Una cosa analoga accade nel clero diocesano. Quindi non c’è un tesoro spirituale a cui la Chiesa non può rinunciare. Alcuni vescovi pongono dei problemi, ma non è un peccato porre delle questioni, è necessario studiare, giusto? Si tratta di questioni che devono essere affrontate nella nuova evangelizzazione.
Per ultimo, qual è il suo messaggio per le nuove generazioni che stanno cominciando il loro percorso dentro la Chiesa, come presbiteri, suore o tutte quelle persone che offriranno la propria vita, proprio come l’ha offerta lei?
Card. Cottier: Voglio richiamare il pensiero del Santo Padre, in particolare una parola che ricorre spesso nei suoi discorsi: la < em>gioia. Voglio dire lo stesso: fate tutto questo con gioia, con entusiasmo e con fedeltà al Vangelo, perche il vostro compito è un servizio e una testimonianza. E la testimonianza è la vita evangelica, non c’è niente da inventare, il Vangelo ci insegna già tutto…