È ben noto come alcuni eventi economici, politici e militari abbiano fortemente condizionato l’approccio alla questione industriale, ma c’è ancora molto spazio per la riflessione sui possibili rapporti tra industria ed arte. Entro questi rapporti, credo sia capitale soffermarsi a considerare l’artigianato: proprio l’artigianato è quell’elemento mediano tra industria e belle arti, insostituibile sul piano produttivo, ma anche teoreticamente indispensabile per porre correttamente la questione.
Negli ultimi due secoli, si è affermata come vincente l’idea che la produzione seriale di tipo industriale possa universalmente risolvere ogni tipo di problema. Sulla base della constatazione che la produzione a basso costo fosse automaticamente capace di produrre più profitto e sulla convinzione che l’incremento dell’industria pesante aumentasse la potenza delle nazioni, si è privilegiato il prodotto industriale seriale rispetto a quello artigianale.
Passata l’ondata dell’entusiasmo, si è adesso giunti al momento in cui tutte le scelte fatte in passato debbano essere pagate sul tavolo della storia, e il risultato è che un mercato basato solo sulla produzione a basso costo stia di fatto implodendo a causa di effetti collaterali a quelle politiche economiche: aver pensato che l’industrializzazione forzata di una intera nazione fosse il modo per portarla ad un adeguamento di sviluppo economico “moderno” è stato un errore clamoroso.
Entro questo momento di ripensamenti e riflessioni, io credo importante condurre una riflessione teoretica sull’artigianato, che è stato marginalizzato a puro folklore nella prospettiva industrialista. Può un prodotto industriale sostituire in ogni campo la produzione artigianale? Vorrei limitarmi a considerazioni di carattere propriamente “culturale”.
Sicuramente le funzioni di certi oggetti di uso quotidiano possono – e di fatto sono- essere svolte con pari efficienza e minor costo da prodotti industriali, rispetto a manufatti. Così, sulle nostre tavole, o sui banconi del bar, bicchieri prodotti serialmente trovano il loro giusto posto, senza dover scomodare maestri vetrai.
Ma ci sono alcuni elementi che l’industria non può produrre o riprodurre, e tutti attengono all’unicità e alla bellezza. La produzione industriale è strutturalmente finalizzata alla produzione di oggetti in serie e la bellezza in alcun modo può essere prodotta nella prospettiva seriale meccanizzata o informatizzata.
L’industria non può competere con l’artigianato per quanto riguarda l’unicità e la bellezza.
Innanzitutto questo non è economico. Se un’industria paradossalmente producesse pezzi unici o oggetti belli, la spesa non varrebbe l’impresa. Per quanto mi riguarda, mi sono interessato specificatamente della produzione industriale tessile alcuni anni fa, con la conclusione (forse scontata) che la produzione di un numero zero bello (nel caso specifico un paramento sacro: un piviale istoriato) nella prospettiva di una successiva produzione quantitativa, ebbene tale produzione del pezzo inizialmente unico avrebbe richiesto costi tali da non giustificarne la produzione. Mi fu risposto che era molto più economico e di più sicuro successo cercare la collaborazione di un artigiano.
E’ il mondo dell’artigianato, e non quello industriale, il vero alleato della creazione artistica. Non solo perché storicamente le due figure si sovrappongono, e perché in certa misura ogni artista deve essere in parte artigiano, ma perché teoreticamente la produzione di pezzi unici e belli richiede la manifattura. Non è certo un caso che il mondo del design, concettualmente legato alla produzione industriale, abbia sempre privilegiato una apparenza asciutta, minimalista, priva di decorazioni.
Nelle idee di inizio ‘900, promosse da Adolf Loos e poi dalla Bauhaus di Gropius e di Itten [1] è implicita la tautologia che la produzione industriale a basso costo non deve essere costosa, e che la produzione seriale non deve cercare l’unicità. La bellezza dell’arte non è producibile dall’industria. Il pezzo unico, fatto a mano e realizzato da artisti e/o artigiani di qualità non ha rivali.
L’unico modo di realizzazione di un pezzo unico e bello è nelle mani dell’artigiano, e questo è anche il modo meno costoso. La produzione seriale non può garantire la qualità della bellezza, proprio perché è soggetta ad una logica e ad una tecnologia che esclude l’unicità e cerca sempre la facilità.
Le belle arti e l’artigianato di qualità hanno il pregio di non essere schiave della produzione seriale né della logica del basso costo, quindi sono capaci di inventare cose belle e, non essendo soggette al condizionamento meccanico della produzione seriale, possono produrre pezzi unici di alta qualità.
Riqualificare la produzione artigianale sarebbe dunque non solo un’opera di giustizia non solo verso la umana necessità di bellezza, ma anche una operazione economicamente intelligente.
I luoghi di formazione sono i primi interessati alla rinascita dell’artigianato. In Italia si vedono dappertutto segni di grande vitalità.
Valga come esempio, la Scuola Orafa Arces di Palermo che opera dal 1995 con lo scopo di formare futuri artigiani, promuovendone le qualità individuali e aiutandoli a scegliere i propri obiettivi professionali. Esito della Scuola è la creazione di nuove botteghe artigianali o l’inserimento di apprendisti orafi, o restauratori o progettisti, in quelle già esistenti.
Recentemente, è stato istituito a Palermo anche un Master di II livello [2], della durata di un anno, in “Storia e Tecnologie dell’Oreficeria”, che nasce dalla collaborazione del Dipartimento di Chimica “Stanislao Cannizzaro” dell’Università di Palermo con il Collegio Universitario Arces.
Il percorso è multidisciplinare, ed offre 32 materie distribuite tra umanistiche, scientifiche e tecniche. Infatti, l’artigiano è uno che “sa fare”, ed unisce dunque una sapienza di tipo umanistico, una solida conoscenza scientifica ed una provata capacità di realizzazione. Quest’ultima viene particolarmente curata con la partecipazione a ben 250 ore di laboratorio di argenteria ed oreficeria
Si tratta di una sfida ad un mercato del lavoro in rapida evoluzione, che deve allo stesso tempo tenere conto del patrimonio storico e artistico, senza disdegnare, ovviamente, del contributo della ricerca scientifica e delle nuove tecnologie. Ma tutto volto alla coltivazione dell’unicità e della bellezza del prodotto, che solo l’artigianato può garantire.
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NOTE
[1] Cfr. V. Pasca, Fatto a mano. Da Henri van de Velde a Johannes Itten, in “Arte Dossier “, 290 (2012), pp. 24-29.
[2] Cfr. http://masteruniversitariostore.wordpress.com/2012/02/29/relazione-finale-sulla-prima-edizione-del-master-in-storia-e-tecnologie-delloreficeria