Necessario il ricambio generazionale

I giovani sono una ricchezza su cui investire

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di Carmine Tabarro

ROMA, lunedì, 9 luglio 2012 (ZENIT.org).- Tra i numerosi argomenti trattati nel Rapporto annuale 2012 dell’Istat uno è stato quasi del tutto trascurato dai mezzi di comunicazione: il netto peggioramento delle opportunità di riuscita sociale e occupazionale dei giovani e quindi guardando al presente e al futuro, le aspettative delle nuove e delle prossime famiglie. Per tutto il ventesimo secolo, durante la crescita economica, l’ascensore sociale in Italia ha funzionato piuttosto bene.

Se analizziamo la grafica dell’ascensore sociale ci accorgiamo che a partire dagli ultimi quattro decenni con l’esplosione del capitalismo finanziario e la globalizzazione, molti giovani, nonostante abbiano un elevato capitale d’istruzione, vedono la scala sociale bloccata ed hanno un lavoro che li colloca in una classe sociale più bassa di quella dei genitori.

Per rimettere in moto l’ascensore sociale e dare un presente e un futuro ai giovani e di conseguenza alle nuove famiglie, oltre che risolvere gli squilibri del capitalismo finanziario serve più meritorietà (1) con particolare attenzione alla selezione per le varie opportunità  occupazionali. Servono anche politiche pubbliche e culturali per aiutare i giovani a liberarsi dalla troppo lunga dipendenza materiale, culturale e psicologica dalla famiglia d’origine.

Il Rapporto dell’Istat evidenzia il tema della mobilità sociale intergenerazionale dandogli un grande  rilievo. Quest’anno, infatti, l’Istat descrive un panorama, poco noto al grande pubblico.

Da una parte segnala un netto peggioramento delle opportunità di affermazione sociale e occupazionale dei giovani, dall’altro segnala la pervicace mancanza di equità dei processi di allocazione delle persone nelle varie posizioni sociali.

La mobilita’ sociale nel XX secolo</p>

Come dimostrano i dati statistici,  per un lungo tratto del XX secolo (soprattutto a partire dal dopo guerra e dall’affermazione della Repubblica), l’Italia ha fatto registrare tassi di mobilità sociale piuttosto elevati e di valore crescente.

Il fenomeno deriva da diversi fattori tra cui: il genio italico,  le buone politiche sociali, l’affermazione delle politiche keynesiane, in cui la cultura del lavoro era considerata un bene comune e conseguentemente ha svolto un effetto leva sulla crescita economica. Ma quando, dalla metà degli anni Novanta, quest’ultime due sono venute meno, anche l’espansione e l’ascensore sociale delle posizioni sociali basse, medie e superiori si è quasi del tutto bloccata.

Questo ha comportato per le nuove generazioni, non solo di accedere lavorative maggiori di quelle della loro famiglia d’origine, ma neppure di raggiungere occupazioni stabili tali da permettere un progetto di vita come la famiglia.

Gia’ a partire dai nati negli anni Settanta, gli italiani avevano conosciuto una riduzione dei tassi di mobilità sociale ascendente e un incremento dei tassi di mobilità discendente. (1)

Ora l’Istat conferma scientificamente quanto accaduto in questo quattro decenni.

Nello specifico, il Rapporto sottolinea come  quasi un terzo dei nati nel periodo 1970-1984 si sono trovati, al loro primo impiego, in una classe sociale più bassa di quella dei loro genitori e che meno di un sesto di essi è riuscito a migliorare la propria posizione rispetto a quella di origine.

Questo significa che nell’arco degli ultimi quattro decenni i tassi di mobilità sociale sono discesi con valori doppi rispetto a quelli di mobilità ascendente.

In altre parole come Paese stiamo vivendo una svolta radicale il passaggio da una società ad alta mobilità sociale ad una società bloccata e in fase recessiva.

Insomma: oggi i posti disponibili nelle posizioni intermedie e di vertice nel mondo del lavoro, politico, culturale ecc., sono tutti occupati da adulti e anziani, cosicché molti giovani sono costretti ad accontentarsi, quando riescono a trovare un lavoro soprattutto precario.

Il Rapporto Istat segnala come questo fenomeno si accompagna ad altri due che messi insieme danno la cifra dell’incidenza negativa sui giovani e sulla loro capacità di vedere riconosciuti i loro meriti e la possibilità di dare vita a un progetto di famiglia.

Il primo è rappresentato dall’influenza della famiglia sui destini sociali delle persone (familismo amorale).(2) In altre parole, la consistenza dei vantaggi e degli svantaggi esistenti tra persone di diversa origine sociale, quando competono per raggiungere le collocazioni occupazionali più vantaggiose, non soltanto non si è affatto ridotta tra i giovani d’oggi ma e’ aumentata in maniera geometrica.

Ne deriva che se, al presente, i figli  delle classi medie e superiori non riescono o riescono con maggiore difficoltà a seguire le orme dei genitori, immaginiamoci quanta  maggiore fatica, rispetto al passato, devono fare i figli delle classi sociali più basse per raggiungere uno sviluppo integrale ed emanciparsi dalle loro origini.

Il secondo elemento che blocca o limita l’ascensore sociale dei giovani è costituito, un po’ paradossalmente, dalla crescita dei loro livelli di istruzione. Poiché, infatti, sono collocati in posizioni professionali meno qualificate di quelle nelle quali, a parità di istruzione, erano collocati i loro genitori, parecchi di essi vedono disperdersi improduttivamente il loro capitale umano. È anche per questa ragione – oltre che per l’instabilità delle relazioni di impiego e i bassi salari – che da qualche anno a questa parte sta crescendo la quota dei giovani italiani istruiti che cercano impiego all’estero. (3)

E’ del tutto evidente che un Paese che si priva del capitale umano e di conoscenza a più alto contenuto è destinato ad entrare in un tunnel di decrescita e di recessione strutturale.

Quindi sono urgenti politiche che rimettano al centro non il familismo amorale ma logiche di meritorietà che sole possono dare la possibilità di emanciparsi da un’eccessivamente lunga dipendenza materiale dalla famiglia d’origine.

Se questo non accadesse, si immiserirebbero ulteriormente le aspettative dei giovani rispetto al loro futuro e, con esse, si rafforzerebbero le tensioni che, per effetto della critica congiuntura economica corrente, già percorrono il tessuto sociale del paese.

*

NOTE

(1) Meritorietà e’ il principio di organizzazione sociale fondato sul merito e non sul potere del merito leggi meritocrazia.

(2) Marzadro e Schizzerotto, 2011.

(3) Tra gli inizi del XX secolo e quelli del XXI il grado di apertura sociale del nostro paese è aumentato in misura non del tutto trascurabile (Schizzerotto e Marzadro 2008). Ma questo dato non contrasta con quello dell’Istat. Dieci anni sono poca cosa sull’arco di un secolo. E spesso, l’apertura, o la chiusura, dei sistemi di stratificazione sociale non si configura come un processo graduale. Né la maggiore fluidità attuale di quello italiano, implica che l’intensità dei legami intercorrenti tra origini e destinazioni sociali delle persone siano di poco conto.

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ZENIT Staff

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