di Robert Cheaib
ROMA, sabato, 7 luglio 2012 (ZENIT.org). – La cultura che ci circonda e ci invade sembra aver superato il disagio del corpo. Non si ha più il pudore del corpo e ancor meno la vergogna di un tempo. Il corpo pare riscattato, osannato, ostentato, curato ed esposto nella sua nudità e nella sua prestanza, nelle sue potenzialità e nel suo fascino seduttore. Basti pensare al peso dato al corpo nudo (più sovente della donna) nelle tecniche pubblicitarie. Si noti anche il condimento erotico di spettacoli e pellicole per renderli più appetibili. Gli spettacoli televisivi, i reality, i giornali… tutti devono una buona fetta del loro audience al corpo messo in bella mostra e preferibilmente senza veli. Siamo in piena ondata di una cultura di fitness e wellness che sembra testimoniare che il corpo ha finalmente trovato la considerazione che gli spetta.
Pare quindi che abbiamo superato tutti i complessi di tutte le generazioni passate; ci risulterebbe incomprensibile il pudore del capitolo terzo del libro della Genesi (che – come ben si sa – avrebbe, teologicamente, significati che vanno ben oltre il pudore provocato dalla nudità fisica).
Al di là della chimera della «redenzione del corpo», però, si nasconde un esilio ben peggiore perché camuffato di libertà, o meglio, di libertinaggio. Uno sguardo critico ma non pregiudiziale, aperto ma non banale, empatico ma non ingenuo alla cultura contemporanea ci mostra che il corpo non ha ancora trovato la dignità che gli spetta nella costellazione dell’humanum. Dal tabù si è passato a un totem etereo che rinnega la natura del corpo e la sua collocazione complessiva come fenomeno, simbolo ed epifania.
Per non rimanere nel teoretico, concentriamoci su due dei tanti ambiti della contemporanea alienazione che si celano dietro l’apparente «culto del corpo».
L’idea del corpo
Il primo ambito riguarda proprio «l’idea» del corpo propinata in ogni manifestazione e strumentalizzazione del corpo. I corpi delle pubblicità sono corpi inconsistenti che si reggono a loro volta in una inconsistenza che sfida la gravità, il tempo e l’età. Sono note a tutti le divinizzazioni da photoshop che costituiscono in fondo un rifiuto della realtà del corpo con le sue inevitabili imperfezioni, asimmetrie e smagliature, o il viso con le sue occhiaie, macchie e solchi scavati dall’esperienza vitale… Il corpo pubblicitario o da vip (ad esclusione degli scatti dei paparazzi) è estraneo a tutti i fenomeni a cui si sottopongono tutti i figli di Adamo (e le figlie di Eva). Questi corpi non corporali proposti come modelli irraggiungibili da incarnare e imitare impongono un’ascesi austera e una sequela che degenera e genera tanti dei mali comuni alla nostra epoca: l’insicurezza (fisica), l’anoressia, la bulimia, la depressione, l’imitazione ossessiva dell’aspetto dei divi e purtroppo a volte anche il suicidio.
Il corpo in queste situazioni non è il corpo reale ma appunto un’idea del corpo che è difficilmente raggiungibile e definitivamente insostenibile. È l’idea di un corpo che non tiene in considerazione la lotta contro il tempo, contro le malattie, contro la debolezza… in una parola contro la sua corporeità.
L’avatar
L’altro ambito che vogliamo considerare è quello del corpo virtuale. Ci riferiamo a fenomeni contemporanei legati in particolare ai social network e a giochi di ruolo come «second life». Second life è qualcosa di più di un semplice gioco di ruolo, è un passaporto verso un’identità (pseudo)-personale in un mondo virtuale “vero” e proprio. Second life esercita il suo fascino perché permette alla persona di creare a proprio piacimento un rappresentante virtuale di sé sul web. Il mondo virtuale generato dalle sinapsi dei cittadini virtuali si rivela spesso come una copia sbiadita del mondo reale. Anche lì c’è la cattiveria umana, i furti, gli stupri… «Il mondo nuovo del web – come osserva Saskia Wendel – dimostra di essere solo un doppione di quello esistente: nessuna traccia di redenzione o di realizzazione del “totalmente altro”, ma semplice perpettuazione dello status quo». Vi è però una nota interessante che sorprendentemente contraddistingue questo mondo: Non esiste in esso quasi nessun brutto o vecchio. La nuova identità creata dalla stragrande maggioranza delle persone rientra nei canoni dominanti di bellezza e fascino fisico. I paradigmi diffusissimi sono bellezza, virilità, femminilità, vitalità, salute… ma quasi mai vecchiaia, malattia, disabilità.
Inoltre, l’avatar creato sul web funge più da qualcosa che da qualcuno. Nella sua ricerca di autorealizzazione e identità, la persona si affida a un meccanismo depersonalizzante a un non-io nel quale realizzare-virtualmente (si noti l’ossimoro!) i proprio sogni e affogare i propri incubi.
Eros-corpo-cristianesimo
Questi due ambiti presi a campione ci mostrano che seppure il mondo contemporaneo doni l’impressione di una risurrezione e insurrezione del corpo, in verità esso non rivaluta ancora il corpo nella sua realtà e nella poliedricità della sua esperienza e delle sue situazioni vitali.
… Il corpo è una cosa seria e richiede un’attenzione maggiore di uno spot pubblicitario strumentalizzante. Il cristianesimo, religione dell’incarnazione, religione della salvezza tramite il corpo (di Cristo), nel corpo (come esperienza storica) e del corpo (come traguardo di risurrezione escatologica). La fede cristiana ha molto da dire alla cultura contemporanea sul valore e sulla valorizzazione del corpo reale. Lo scandalo del Dio che si fa uomo, del Verbo che si fa sarx, è tuttora inaccettabile per gli appartenenti ad alcune tradizioni religiose. Gli stessi cristiani non sono sempre all’altezza della kenosi dell’incarnazione.
Il libro curato da Stefan Orth, Eros – corpo – cristianesimo. Una provocazione per la fede? dall’editrice Queriniana, raccoglie le riflessioni e i contributi di vari autrici e autori che si interrogano con interesse e senza pregiudizi sul valore attribuito al corpo in alcune opere di letteratura, in film cinematografici, nelle esperienze mediatiche e sociali dell’uomo contemporaneo. I contributi vagliano l’apporto che tali produzioni possono offrire alla riflessione credente sul corpo e nel contempo considerano quanto la fede dice ancora al corpo e sul corpo.
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