di Valentina Colombo
ROMA, mercoledì, 4 luglio 2012 (ZENIT.org) – Johann Wolfgang Goethe scriveva che “chi ha molto a che fare con i bambini scoprirà che nessuna azione esteriore resta senza influsso su di loro.” Di qui la responsabilità dei genitori, degli educatori, delle società, dei governi e delle istituzioni internazionali ad assicurare a ciascun bambino una crescita sana in un ambiente altrettanto sano. Purtroppo, è risaputo, non tutti i bambini hanno questa fortuna.
Un esempio eclatante è dato dallo Yemen, un paese in pieno fermento politico e tormentato da lotte intestine, tribali e non. Un paese che l’anno scorso ha avuto nella persona di Tawakkul al-Karman, membro del direttivo del partito al-Islah legato ai Fratelli musulmani, un premio Nobel per la pace.
Un paese di cui si sente parlare solo in occasione di attentati di al-Qaeda o di rapimenti di occidentali. Ma il vero problema in Yemen sono i bambini e le bambine, vittime di tradizioni crudeli che li vogliono da un lato soldati e dall’altro spose bambine. La gravità della situazione si evidenzia ancor di più nel momento in cui si viene a conoscenza che su quasi 25 milioni di abitanti, il 14% è rappresentato da bambini tra gli zero e i quattordici anni.
Oggi il sito della televisione satellitare Al-Arabiyya denuncia: “Una scuola premia gli studenti migliori con kalashnikov e armi da fuoco. I bambini yemeniti preferiscono i giochi ‘di morte’ e le divise militari”. Da quando è iniziata la cosiddetta “primavera” yemenita si è aperto il triste capitolo del reclutamento di bambini da parte delle milizie armate e di Al Qaeda di cui troppo poco si parla, ma è ancora più grave e preoccupante che una scuola, nella città di Taizz a un’ora dal porto di Mocha, abbia ‘insignito’ i propri studenti con armi.
Un padre allarmato ha dichiarato: “Mio figlio è stato, al pari di altri, premiato con un kalashnikov, altri bambini hanno ricevuto pistole, razzi, esplosivi e altre armi da fuoco. Tutto ciò suscita in me rabbia e dipinge un’immagine cupa del presente e del futuro dei nostri figli.” Anche il sociologo Naji Dibwan ha ribadito la gravità dell’accaduto:
“Le operazioni di lotta armata influiscono negativamente sulla psiche e sul comportamento dei bambini… non è una rarità vedere nello Yemen un bambino che impugna un’arma al posto di una penna oppure che porta uno zainetto pieno di munizioni e razzi al posto di una cartella con i libri di scuola.
”E’ una denuncia grave che non deve cadere nel vuoto. Se poi al fenomeno dei bambini soldato uniamo quello delle spose bambine ci rendiamo conto che l’opinione pubblica internazionale deve sapere quel che accade nel paese della regina di Saba. In base alla Convenzione per i diritti del bambino delle Nazioni Unite un matrimonio al di sotto dei 18 anni è definito “una violazione dei diritti umani”.
Ebbene un recente rapporto di Human Rights Watch, dal titolo significativo “Come potete consentire il matrimonio delle bambine?”, riferisce l’agghiacciante dato di un sondaggio che vuole che il 52% delle bambine yemenite contragga il matrimonio prima dei 18 anni mentre il 14% addirittura al di sotto dei 15 anni.
La legge yemenita pone come età minima per il matrimonio proprio i 15 anni. Purtroppo ogni tentativo di innalzare l’età minima è stato bloccato dai conservatori religiosi, primo fra tutti il partito al-Islah, cui appartiene il Premio Nobel per la Pace al-Karman.
Nel 2008 si è avuto il primo caso di una sposa bambina di dieci anni, Nujood Ali, che, grazie all’aiuto di una coraggiosa avvocatessa, Shada Nasser, ha ottenuto il divorzio dal marito trentenne. Il caso di Nujood ha fatto il giro del mondo, ma nessuna pressione internazionale è riuscita a sfondare la barriera delle tenebre e dell’oscurantismo che, basandosi sia su tradizioni arcaiche sia sulla vita di Maometto che ha sposato Aisha quando quest’ultima aveva un’età compresa tra i 9 e 10 anni, rifiuta di proteggere la vita delle bambine yemenite.
Il mondo non può restare a guardare. Nello Yemen ci sono quasi undici milioni tra bambini e bambine il cui futuro è messo a repentaglio.
Se vogliamo che lo Yemen viva una vera “primavera” dobbiamo fare in modo che le sue nuove generazioni godano dei diritti fondamentali primi fra tutti il diritto a giocare, a studiare e a vivere una vita degna di essere definita tale.