La testimonianza dei Padri della Chiesa (Seconda parte)

La trasmissione della fede nel mondo di oggi

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di monsignor Enrico Dal Covolo
Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense

ROMA, martedì, 3 luglio 2012 (ZENIT.org).-

2. Ambrogio e Agostino: come testimoniare la scelta della fede?

Parliamo anzitutto dell’incontro tra i due, Ambrogio e Agostino, e da questo incontro ricaveremo alcuni tratti significativi circa la «testimonianza della fede» secondo i nostri Padri.

Dobbiamo ricomporre, con un po’ di pazienza, le circostanze di questo celebre incontro, certamente uno dei fatti più notevoli della storia della Chiesa.1

Tormentato da un’inquieta ricerca della verità, deluso dalle dottrine manichee, frustrato nell’insegnamento dall’indisciplina degli allievi, Agostino nel 383 lascia Cartagine e si reca a Roma.

Ha ventinove anni, e si potrebbe dire che ha ormai raggiunto una piena maturità di vita. In realtà, nel suo intimo egli è più perplesso e angosciato che mai: nulla sembra offrirgli salde garanzie per il conseguimento di quella verità, a cui aspira con tutte le forze, come il senso ultimo della sua esistenza. Per di più nell’insegnamento incontra diverse difficoltà, perché – come egli stesso confessa – «a Cartagine la libertà è del tutto sfrenata, e gli studenti come delle furie turbano la disciplina» (Confessioni 5,8).

Così la partenza di Agostino da Cartagine in quella notte del 383 sa molto di una fuga. Monica si rende conto della fase critica che sta attraversando suo figlio, e non vorrebbe assolutamente lasciarlo partire in quello stato. Agostino deve ricorrere a uno stra­tagemma. Mia madre – racconta egli stesso – «pianse dirottamente, seguen­domi fino al mare. Allora io l’ingannai, fingendo di voler stare lì, per non lasciare solo un amico ad aspettare che si alzasse il vento per levare l’ancora. Riuscii a convincerla che, se non voleva tornare indietro senza di me, si ritirasse almeno a passare la notte in una chiesetta, vicino al luogo dov’era la nave; e in quella notte io partii di nascosto, ed ella rimase a piangere e a pregare» (ibidem).

In verità né Monica né Agostino se ne rendono conto, ma la fuga da Cartagine costituisce l’inizio di quell’episodio assoluta­mente centrale della vita di Agostino, che è l’incontro con Ambrogio, culminato nella conversione e nel battesimo.

Ma in un primo momento la destinazione di Agostino, esule da Cartagine, fu Roma. Se non che l’impatto con l’ambiente romano fu un’altra terribile delusione. Agostino si era illuso che gli studenti romani fossero più disciplinati di quelli africani: e invece si accorge che a Roma gli allievi sono solo più imbroglioni, e che non pagano neppure i loro insegnanti.

Agostino sta giusto facendo questa triste esperienza, quando al prefetto di Roma, Simmaco, giunge una richiesta dalla corte imperiale (che in quel momento aveva la sua sede a Milano): si è resa vacante la cattedra di eloquenza allo Studio Pubblico, e si vuole coprirla con un retore di sicuro prestigio. Il titolare della cattedra di eloquenza a Milano, infatti, è in qualche modo l’oratore ufficiale della corte imperiale. Simmaco pensa subito ad Agostino, e questi accetta. Portato dal cursus publicus (una sorta di vettura ufficiale, di rappresentanza), Agostino giunge a Milano.

Siamo ormai nell’autunno del 384.

Subito il gio­vane cattedratico dello Studio Pubblico inizia – come di consuetudine – la sua visita di cortesia alle varie autorità cittadine, e così incontra pure il vescovo Ambrogio.

La nostra fonte è ancora il libro quinto delle Confessioni.

Qui Agostino narra che Ambrogio lo accolse satis episcopaliter. È un avverbio un po’ misterioso: che cosa intendeva dire Agostino? Probabilmente, che Ambrogio lo accolse con la dignità propria di un vescovo, con paternità, ma insieme con qualche distacco.

È certo che Agostino rimase affascinato da Ambrogio; ma è altrettanto certo che un incontro a tu per tu su ciò che ad Agostino maggiormente interessava, e cioè sui problemi fondamentali della fede, veniva di giorno in giorno differito, tanto che qualcuno ha potuto affermare che Ambrogio era molto freddo nei confronti di Agostino, e che poco o nulla egli ebbe a che fare con la sua conversione.

Eppure Ambrogio e Agostino s’incontrarono più volte. Però Ambrogio teneva il discorso sulle generali, facendo per esempio ad Agostino gli elogi di Monica, e congratulandosi con lui per avere una simile madre. Quando poi Agostino si recava appositamente da Ambrogio, lo trovava regolarmente impegnato con caterve di per­sone, piene di problemi per le cui necessità egli si prodigava; oppure, quando non era con loro (e questo accadeva per lo spazio di pochissimo tempo), o ristorava il corpo con il necessario, o ali­mentava lo spirito con letture.

E qui Agostino fa le sue meraviglie, perché Ambrogio leggeva le Scritture a bocca chiusa, solo con gli occhi. Di fatto, nei primi secoli cristiani la lettura era strettamente concepita ai fini della pro­clamazione, e il leggere ad alta voce facilitava la comprensione pure a chi leggeva: che Ambrogio potesse scorrere le pagine con gli occhi soltanto, segnala ad Agostino ammirato una capacità assolutamente singolare di conoscenza e di comprensione delle Scritture.

Agostino siede spesso in disparte, con discrezione, ad osser­vare Ambrogio; poi, non osando disturbarlo, se ne va in silenzio. «Così», conclude Agostino, «non mi era mai possibile interpellare, su ciò che mi interessava, l’animo di quel santo profeta, se non per questioni trattabili rapidamente. Invece quei miei travagli interiori lo avrebbero voluto disponibile a lungo per potersi riversare su di lui; ma questo non succedeva mai» (ibidem 6,3).

Sono parole molto gravi: tanto che ci verrebbe da dubitare della stessa sollecitudine pastorale di Ambrogio e della sua reale attenzione alle persone.

Personalmente, invece, sono convinto che quella di Ambrogio nei confronti di Agostino fosse un’autentica strategia, e che essa rappresenti efficacemente la figura di Ambrogio nel suo modo di trasmettere e di testimoniare la fede.

Ambrogio è informato della situazione spirituale di Agostino, oltre al resto perché gode delle confidenze e della piena fiducia di Monica. Con questo precedente, è credibile che Ambrogio non s’ac­corgesse di Agostino, quando questi entrava da lui, e pieno di sog­gezione si sedeva in disparte, mentre egli leggeva? No, non è credi­bile. Ma il vescovo non riteneva opportuno impegnarsi in un con­traddittorio dialettico con Agostino, dal quale lui, Ambrogio, avrebbe potuto anche uscire perdente…

Così Ambrogio sospende le parole, lascia parlare i fatti, e con la sua prassi afferma che la trasmissione della fede non si realizza attraverso le parole soltanto, ma deve passare soprattutto attraverso la testimonianza della vita.

Quali sono questi fatti?

Anzitutto, la testimonianza della vita di Ambrogio, intessuta di preghiera e di servizio nei confronti dei poveri. E Agostino rimane salutarmente impressionato dal fatto che Ambrogio si dimostra uomo di Dio e uomo totalmente donato al servizio dei fratelli, soprattutto dei più poveri. La preghiera e la carità, testimo­niate da questo formidabile pastore, subentrano alle parole e ai ragionamenti umani.

L’altro fatto che parla ad Agostino è la testimonianza della Chiesa milanese. Una Chiesa forte nella fede, radunata come un corpo solo nelle sante assemblee, di cui Ambrogio è l’animatore e il maestro (grazie anche ai celebri Inni da lui composti e musicati); una Chiesa capace di resistere alle pretese dell’imperatore Valentiniano e di sua madre Giustina, che nei primi giorni del 386 erano tornati a pretendere la requisizione di una chiesa per le cerimonie degli ariani.

Nella chiesa che doveva essere requi
sita, racconta Agostino, «il popolo devoto vegliava, pronto a morire con il proprio vescovo. Anche noi», e questa testimonianza delle Confessioni è preziosa, perché segnala che qualcosa andava muovendosi nell’intimo di Agostino, «pur ancora spiritualmente tiepidi, eravamo partecipi dell’eccitazione di tutto il popolo» (ibidem 9,7).

Agostino insomma, pur non riuscendo ad affrontare in un dia­logo a quattr’occhi il vescovo Ambrogio, resta positivamente conta­giato dalla sua vita, dal suo spirito di preghiera, dalla sua carità verso il prossimo, e dal fatto che Ambrogio si manifesta uomo di Chiesa: lo vede impegnato nell’animazione delle liturgie, ne coglie il progetto coraggioso di edificare una Chiesa unita e matura.

In questo modo Agostino diviene la buona terra per il seme della fede.

L’attualizzazione di questa storia non è difficile. Propongo solo qualche spunto di riflessione.

Molte volte si incontrano pastori o catechisti scoraggiati, che constatano con amarezza la scarsa incisività del loro messaggio: in effetti, più che a conversioni come quella di Agostino, oggi assi­stiamo a un allarmante cedimento in ciò che riguarda l’impegno per i valori. Ma vorrei chiedere al pastore o al catechista scoraggiato:

Tu preghi? coloro che educhi alla fede ti vedono pregare? colgono il fatto che sei uomo di Dio, uomo della Parola? in altri termini, come è la dimensione contemplativa della tua vita?

Tu pratichi la carità? sai accogliere il «povero», il più bisognoso, il meno simpatico, quella persona che tutti mettono da parte perché dà fastidio? sai farti prossimo? sai stare insieme, dando la tua vita (non soltanto alcune parole) ai destinatari del Vangelo? solidarizzi con loro, anche quando ti sembra di perdere tempo?

Tu ami la Chiesa? ti impegni a contribuire con ogni forza alla sua edificazione sia nella liturgia sia nella pratica della vita quotidiana?

La figura del pastore, quale emerge dalla storia che abbiamo rievocato, è una figura compatta e forte nella testimonianza: una persona in cui le parole sono intercambiabili con i fatti.

Viene alla mente la testimonianza di Gandhi. Sir Stanley Jones gli si accostò, chiedendogli di rilasciare un messaggio per il mondo. Il Mahatma lo guardò, e gli rispose turbato: «Io non ho una parola da dire; la mia vita è il mio messaggio…».

Ebbene, per noi le cose vanno ben diversamente.

Noi l’abbiamo la Parola: noi abbiamo il lieto messaggio di Cristo, noi abbiamo il Credo degli apostoli e della Chiesa, noi abbiamo la fede da trasmettere. Ma questo Vangelo – stando all’in­segnamento dei nostri Padri – non può passare senza la testimo­nianza della vita…

Così nella trasmissione della fede non si potrà mai prescin­dere dai due elementi fondamentali che entrano in gioco: il conte­nuto oggettivo e la testimonianza personale (quale fede trasmettere, e come trasmetterla), che devono raccordarsi tra loro in una sintesi vitale.

(La prima parte è stata pubblicata ieri, lunedì 2 luglio. La terza puntata andrà in rete domani, mercoledì 4 luglio)

*

NOTE

1 Cfr. A. PINCHERLE, Ambrogio ed Agostino, «Augustinianum» 14 (1974), pp. 385-407; G. BIFFI, Conversione di Agostino e vita di una Chiesa, in A. CAPRIOLI – L. VACCARO (curr.), Agostino e la conversione cristiana, Palermo 1987, pp. 23-34; E. DAL COVOLO, Il pastore, ministro della Parola e della carità. L’esempio del vescovo Ambrogio, in M. CARDINALI (cur.), Pastori dinanzi all’emergenza educativa. Per la formazione dei formatori, Città del Vaticano 2011, pp. 33-58.

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ZENIT Staff

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