di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 2 luglio 2012 (ZENIT.org) – San Tommaso è a Parigi e presiede la cattedra di teologia, Luigi IX si prepara per una nuova crociata; Tempier, vescovo di Parigi, è alle prese con temi dottrinali in odore di eresia.
Nel contempo, a Bagdad sono trascorsi dodici anni dalla conquista mongola e la città sta lentamente risollevando; al Cairo Bayrbas consolida il suo potere, strappa Damasco ai mongoli e si appresta a sostenere l’esercito cristiano.
È in questo contesto che si svolge il romanzo 1270 scritto da Giuseppe Mazzi e pubblicato da If Press (www.if-press.com). Nonostante i tanti particolari storici, l’autore sostiene che si tratta di un romanzo filosofico, dove il vero dibattito è il rapporto tra scienza e fede.
Incuriositi dal tema e dal contesto storico, ZENIT ha intervistato Giuseppe Mazzi, già professore di storia e filosofia.
Perché mettere un numero “1270” a titolo di un romanzo? Che significa?
Mazzi: Nessun significato recondito. Quel numero è semplicemente la data in cui si svolgono le vicende narrate.
San Tommaso, Luigi IX , Tempier vescovo di Parigi, Al Gazzali, Avicenna e Averroé…. Come entrano tutti questi personaggi nel romanzo che ha scritto?
Mazzi: San Tommaso, san Bonaventura, Tempier erano vivi e attivi nel 1270, Al Gazzali, Avicenna e Averroé erano morti da tempo ma vivi culturalmente e punti di riferimento fondamentali, soprattutto i primi due, della cultura islamica. Il romanzo che intende porre a confronto le due culture lo fa attraverso l’opera di questi personaggi.
Perché ha scelto questi personaggi storici?
Mazzi: Perché essi costituiscono gli snodi fondamentali per comprendere lo spirito dell’epoca sorprendentemente più ricco, vivace e filosoficamente sottile di quanto in genere si sia portati a credere.
Lei sostiene che non si tratta di un romanzo storico, ma filosofico. Che vuole dire? Quali sono i concetti, le visioni del mondo, le filosofie di cui si parla nel libro?
Mazzi: Non è un romanzo storico perché nelle mie intenzioni la storia fa solo da cornice al dibattito culturale – prevalentemente filosofico e teologico – del periodo sia in ambito cristiano sia in ambito islamico. Del resto non dico nulla di nuovo se affermo che un diverso modo di intendere Dio determina un diverso modo di intendere l’uomo e del rapporto che questi instaura con il mondo. Per fare un esempio, mentre per noi occidentali la fonte del diritto è la ragione, per i musulmani le fonti del diritto sono il loro libro sacro e gli Habit, cioè i detti e i fatti legati al Profeta.
Qual è il legame con il mondo di oggi?
Mazzi: Il tema fondamentale del romanzo è dato dal rapporto tra ragione e fede, un tema tristemente attuale come testimoniano gli attentati terroristici che traggono origine da un certo fanatismo religioso dal quale la ragione in primo luogo può liberarci. Un concetto che affido a un personaggio secondario del romanzo facendogli dire che mentre le fedi – e non solo quelle religiose – dividono gli uomini, la ragione, quando non si mette al servizio di qualche ideologia peraltro assunta fideisticamente come vera, tende a unirli. In altri termini, il dialogo tra credi religiosi passa attraverso la ragione.
Perché ha scritto questo romanzo? Quali sono le finalità? Intende far rinascere un dibattito filosofico? Su quali temi?
Mazzi: Per due motivi. Il primo dettato dalla persuasione che si possono cogliere appieno le differenze tra la civiltà occidentale, figlia di Atene, Roma e Gerusalemme, e la civiltà islamica solo risalendo alle ragioni filosofiche e teologiche che le hanno determinate. Il secondo motivo nasce dalla constatazione che da molti anni la scienza si sta occupando di temi – l’origine dell’universo o l’emergere della coscienza – che da tempo erano propri della filosofia. Non considero ciò un’illegittima invasione di campo ma mi ostino a pensare che su questi temi la filosofia posso e debba dire la sua.