di monsignor Enrico Dal Covolo,
Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense
ROMA, lunedì, 2 luglio 2012 (ZENIT.org).- Prima di entrare nell'argomento specifico che mi è stato assegnato, conviene affrontare una questione di fondo: ma… la fede può essere «trasmessa»?
Se la fede, come recita il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), è un atto personale («è la libera risposta dell'uomo all'iniziativa di Dio, che si rivela», n. 166), questa decisione non può essere «trasmessa». La fede di Abramo – tanto per fare un esempio illustre – è il suo personaleatto di obbedienza alla Parola di Dio, e questo atto è solo suo. Può essere indicato come esempio, ma per essere trasmesso deve essere ripetuto da altri, che facciano propria la medesima obbedienza a Dio.
Tuttavia – come sappiamo bene – non c'è solo questo aspetto soggettivoe personale della fede: c'è anche un aspetto oggettivo, fatto di contenuti (enunciati, riti, comportamenti), che sono oggetto, appunto, di insegnamento, e che quindi possono essere trasmessi. Tutto questo ci permette «di esprimere e di trasmettere la fede, di celebrarla in comunità, di assimilarla, e di viverne sempre più intensamente» (CCC, n. 170).
In questo senso, già nella Lettera di Giuda troviamo l'esortazione «a combattere per la fede, che fu trasmessa ai santi», cioè a tutti i credenti, «una volta per sempre» (3).
È importante tenere presenti questi due aspetti dell'esperienza di fede. Essi articolano, in qualche modo, le nostre riflessioni.
Le distribuiamo in tre parti.
La prima parte sarà guidata da Ireneo (+ 202). Nato in Asia Minore, discepolo del vescovo Policarpo di Smirne, egli rappresenta in qualche modo i Padri della Chiesa d'Oriente; la secondae la terza parte, invece, saranno dominate da altre due grandi figure di vescovi, Ambrogio (+ 397) e Agostino (+ 430), alfieri della tradizione occidentale.
Più in particolare, nella prima parte, attenta soprattutto agli aspetti dottrinali, vedremo con quali criteri Ireneo ha creato il più antico «catechismo della dottrina cristiana». Qui parleremo soprattutto della trasmissione della fede in senso oggettivo, cioè dei contenutiin cui crediamo.
Nella seconda parte, invece, parlando di Ambrogio e di Agostino, vedremo in che modo i nostri Padri testimoniavano la fede come scelta personale di vita: perché, se è vero che l'atto di fede personale non può essere «trasmesso», esso può e deve essere efficacemente «testimoniato».
Nella terza parte, infine, vedremo come questi due formidabili pastori, Ambrogio e Agostino, educavano il loro popolo nella fede.
A mano a mano che procederemo nelle nostre riflessioni, ci accorgeremo che, in realtà, trasmettere la fede, testimoniare la fede, educare nella fedesono distinzioni che valgono fino a un certo punto nella mentalità e nella prassi pastorale dei nostri Padri.
Piuttosto, essi rimangono sempre consapevoli che l'integrità della dottrina e la testimonianza della vita devono procedere di pari passo, e sono entrambe indispensabili nella trasmissione e nel cammino della fede.
1. Ireneo di Lione: quale fede trasmettere? Quali sono i contenuti oggettivi della fede?
Ireneo non è un cattedratico, ma un uomo di fede e un pastore. Del buon pastore ha il senso della misura, la ricchezza della dottrina, l'ardore missionario.
Come scrittore, il suo scopo è duplice: quello di difendere la vera dottrina dagli assalti degli eretici (gli gnostici, in particolare), e quello di esporre con chiarezza le verità della fede.
A questi fini corrispondono esattamente le due opere che di lui ci rimangono: lo Smascheramento e confutazione della falsa gnosi (ovvero Contro le eresie, come citeremo noi; l'originale greco è andato perduto, ma ne possediamo una traduzione latina, verosimilmente assai letterale), e l'Esposizione della predicazione apostolica (il più antico «catechismo della dottrina cristiana»; neppure di quest'opera possediamo l'originale, ma all'inizio del secolo scorso ne è stata scoperta una traduzione armena).
In definitiva, Ireneo è il campione della lotta contro lo gnosticismo. Ma la sua opera va ben oltre la semplice confutazione dell'eresia. Si potrebbe dire – con un po' di enfasi – che Ireneo è il primo «teologo sistematico» della Chiesa. Tra i punti più importanti della sua dottrina c'è proprio la questione della regola della fedee della sua trasmissione.
La cura di conservare e spiegare rettamente la regola della fede – espressa nel Credo degli apostoli, e da loro trasmessa ai vescovi (il Credo dell'apostolo Giovanni è lo stesso del suo discepolo Policarpo, vescovo di Smirne, ed è il Credodi Ireneo, vescovo di Lione, discepolo di Policarpo) – spetta solo alla Chiesa, che proprio per questo ha ricevuto lo Spirito Santo.
Perciò il vero insegnamento è quello impartito dai vescovi, che possono provare di averlo ricevuto per mezzo di una tradizione ininterrotta dagli apostoli, in quanto Cristo lo ha affidato a loro. Occorre considerare in modo speciale l'insegnamento della Chiesa di Roma, massima e antichissima, che ha «maggiore apostolicità», perché trae origine dalle colonne del collegio apostolico, Pietro e Paolo: con lei devono accordarsi tutte le Chiese.
Proprio con questi argomenti Ireneo confuta dalle fondamenta le pretese degli eretici: anzitutto essi non posseggono la verità, perché non sono di origine apostolica; in secondo luogo la verità, e quindi la salvezza, non sono privilegio o monopolio di pochi, ma tutti le possono raggiungere attraverso la predicazione dei successori degli apostoli e soprattutto del vescovo di Roma.
In particolare – sempre polemizzando con il carattere segreto ed elitario della tradizione gnostica, e notandone l'esito multiplo e contraddittorio –, Ireneo si preoccupa di illustrare il genuino concetto di tradizione apostolica, che possiamo riassumere in tre punti:
a) la tradizione apostolica è pubblica, non privata né segreta. Per Ireneo non c'è alcun dubbio che la fede insegnata dalla Chiesa è quella ricevuta dagli apostoli e da Gesù. Non c'è altro insegnamento che questo. Pertanto chi vuole conoscere la vera dottrina basta che conosca «la tradizione che viene dagli apostoli e la fede annunciata agli uomini», tradizione e fede che «sono giunte fino a noi per successione di vescovi» (Contro le eresie3,3,3-4). Al punto che, «anche se gli apostoli non ci avessero lasciato le Scritture, si dovrebbe seguire l'ordine della tradizione, che hanno trasmesso coloro a cui [gli apostoli stessi] affidavano le Chiese» (3,4,1).
Di qui l'importanza della «successione apostolica» rappresentata dai vescovi, i quali godono del «carisma certo della verità» (4,26,2).
Secondo Ireneo, parte integrante di questo carisma episcopale non è soltanto la purezza della dottrina, ma anche una vita esemplare e irreprensibile (qui ritorna la questione dei rapporti inseparabili fra trasmettere la fede, testimoniare la fede, educare nella fede);
b) la tradizione apostolica è unica. Mentre infatti lo gnosticismo si suddivide in molteplici sètte, la tradizione ecclesiale è unica, grazie al suo contenuto, che Ireneo – come già abbiamo accennato – chiama regula fidei o veritatis: un contenuto sempre identico, nonostante la diversità delle lingue e delle culture.
Così si esprime al riguardo il vescovo di Lione: «Ricevuto questo messaggio e questa fede, la Chiesa, benché disseminata in tutto il mondo, lo custodisce con cura, come se abitasse una casa sola; allo stesso modo cred e in queste verità, come se avesse una sola anima e un solo cuore; in pieno accordo con queste verità proclama, insegna e trasmette, come se avesse una sola bocca. Le lingue del mondo sono diverse, ma la potenza della tradizione è unica e la stessa. Né le Chiese fondate nelle Germanie hanno ricevuto o trasmettono una fede diversa, né quelle fondate nelle Spagne o tra i Celti o nelle regioni orientali o in Egitto o in Libia o nel centro del mondo» (1,10,2).
In questo modo Ireneo, guardando alla diffusione della Chiesa nell'ecumene, estende lo sguardo da Roma, «centro del mondo», verso i quattro punti cardinali, descrivendo un'Europa «allargata», ormai invasa dal Vangelo e dalla sua potenza unificatrice.
Diciamo tra parentesi che – grazie a questo atteggiamento, con cui la Chiesa dei Padri «in pieno accordo proclama, insegna e trasmette le verità ricevute, come se avesse una sola bocca» – l'insegnamento dei Padri diventa un fondamento ineludibile per l'identità culturale dell'Europa, oggi rinnegata di fatto da molte riletture cosiddette storiche;
c) la tradizione apostolica è pneumatica. Non si tratta di una trasmissione affidata all'abilità degli uomini, più o meno dotti, ma allo Spirito di Dio, che fa della tradizione una realtà divina. È questa la «vita» della Chiesa, ciò che rende la Chiesa sempre fresca e giovane, cioè feconda con i suoi molteplici carismi. Chiesa e Spirito, per Ireneo, sono inseparabili: «Questa (fede)», leggiamo ancora nel suo terzo libro Contro le eresie, «l'abbiamo ricevuta dalla Chiesa e la custodiamo: essa, per opera dello Spirito di Dio, come un deposito prezioso contenuto in un vaso di valore, ringiovanisce sempre e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene.
Alla Chiesa infatti è stato affidato il dono di Dio (...), affinché tutte le sue membra, partecipandone, siano vivificate (...). Infatti nella Chiesa, dice (Paolo), Dio ha posto apostoli, profeti e maestri e tutta la rimanente operazione dello Spirito. Di lui non sono partecipi quelli che non corrono alla Chiesa, ma si privano della vita a causa delle loro false dottrine e azioni perverse. Perché dove è la Chiesa, lì è anche lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio, lì è la Chiesa e ogni grazia» (3,24,1).
Come si vede dalle citazioni riportate (e molte altre se ne potrebbero aggiungere, anche in riferimento all'Esposizione della predicazione apostolica), Ireneo non si limita a definire il concetto di trasmissione della fede, ma lo illustra in modo vitale. La fede va trasmessa quale deve realmente essere: cioè pubblica, unica, pneumatica. A partire da ciascuna di queste caratteristiche si può avviare un fecondo discernimento per una corretta trasmissione della fede, nell'oggi della Chiesa.
(La seconda parte verrà pubblicata domani, martedì 3 luglio)