Don Mauro Gagliardi*
ROMA, giovedì, 22 dicembre 2011 (ZENIT.org).- Per il quarto anno consecutivo, diamo inizio alla pubblicazione della rubrica di teologia liturgica “Spirito della Liturgia”. Rispetto agli anni precedenti, lo facciamo con un ritardo di due mesi, dovuto al cambio della guardia avvenuto ai vertici dell’agenzia di informazione Zenit. Il nuovo Direttore, Dott. Antonio Gaspari, ha espresso con forte convinzione il desiderio che la rubrica “Spirito della Liturgia” continuasse ad essere pubblicata, fornendo così un servizio agile ed accessibile di formazione dei lettori in materia liturgica, in accordo al sentire della Chiesa e del Santo Padre.
In questa linea, è stato scelto anche il tema che intendiamo trattare quest’anno. Come è noto, il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto l’Anno della Fede (ottobre 2012 – novembre 2013). L’indizione è stata annunciata mediante la Lettera “Motu Proprio data” Porta Fidei, dell’11 ottobre scorso. Nella Lettera, oltre a dare l’annuncio dell’indizione, il Papa richiama alcuni aspetti fondamentali riguardo al tema della fede, nonché alla recente storia della Chiesa.
Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, il Sommo Pontefice fa notare che l’Anno della Fede viene indetto a cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962), presieduta dal beato Giovanni XXIII, data che coincide anche con i vent’anni dalla promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (11 ottobre 1992), effettuata dal beato Giovanni Paolo II. Benedetto XVI ha ritenuto che il modo migliore per celebrare questi due importantissimi eventi della storia ecclesiale recente fosse quello di attirare l’attenzione della Chiesa sul tema della fede.
Qui intervengono, nella Lettera Porta Fidei, alcuni richiami sul tema della fede, che tradizionalmente viene compresa come fides qua creditur e fides quae creditur, vale a dire: come fede con la quale (qua)si crede e fede che (quae) si crede. Semplificando ulteriormente, il binomio fides qua/fides quae indica non due forme di fede separate, che potrebbero sussistere l’una senza l’altra; bensì due aspetti inscindibili dell’unica virtù della fede. Fides qua indica l’atto personale della fede, la fede con cui credo/crediamo. Fides quae i contenuti dottrinali che credo/crediamo. È intuitivo che non basta conoscere le dottrine per credere, perché è necessario anche l’atto libero di professare come vere tali dottrine, e vivere di conseguenza. Come pure, è impensabile che la fede sia un vago affidamento a Dio senza contenuti. In questo caso si potrebbe dire «credo!», ma dinanzi alla domanda: «che cosa credi?», si sarebbe costretti ad ammutolire. Se ci sono state epoche in cui c’era il rischio di focalizzare l’attenzione principalmente sulle dottrine, da qualche decennio – forse anche per reazione – ci si è dedicati molto al tema dell’atto libero nella fede, ma poco alle nozioni della fede. In entrambi i casi, si tratta di impostazioni parziali che, quando diventano radicali, ci fanno perdere il vero concetto e la retta pratica della fede.
La distinzione fides qua/fides quae si trova già in sant’Agostino, che scrive: «Certamente affermiamo con piena verità che la fede impressa nel cuore di ciascuno di coloro che credono [...] proceda da un’unica dottrina, ma una cosa è ciò che si crede [ea quae creduntur], altra cosa la fede con cui si crede [fides qua creduntur]» (De Trinitate, XIII, 2, 5). Il Santo continua spiegando che la fede è una sola a livello dottrinale, mentre diversa per ciascuno a livello personale, nel senso che alcuni credono di più, altri di meno, e qualcuno non crede affatto. Non si tratta di una diversità di fede riguardo ai contenuti – il che implicherebbe non condividere la stessa fede – bensì di una diversità di accoglienza, da parte del singolo, della grazia della fede. Ne consegue che ciò che tiene la Chiesa unita non è l’intensità soggettiva della fede – diversa da persona a persona – bensì l’unica dottrina della fede, creduta da ogni fedele. Perciò la Chiesa ha sempre custodito e difeso con grande zelo la purezza della sana dottrina, senza la quale la stessa Chiesa è ineluttabilmente destinata alla divisione.
Il Santo Padre, perciò, ci richiama alla completezza dell’atto di fede, composto indissolubilmente di adesione personale e di dottrine che bisogna conoscere e professare. Anche se il Concilio Vaticano II ha voluto autodeterminarsi come Concilio pastorale, è intuitivo che la pastorale senza la fede (soggettiva e oggettiva) non esiste o, se esiste, non ha alcun senso. Perciò è più che adeguato celebrare un Anno della Fede nel cinquantesimo dall’inizio del Concilio. E questo, ricordando che il Catechismo della Chiesa Cattolica non rappresenta «un passo indietro» rispetto allo «spirito del Concilio». Il Catechismo del 1992 è il Catechismo del Concilio Vaticano II.
Per questo, assieme ai qualificati autori di “Spirito della Liturgia”, cui va sin d’ora il ringraziamento per la competente collaborazione che offriranno, abbiamo deciso di dedicare questa quarta annata della nostra rubrica alla sezione liturgica del Catechismo. Contiamo così di aiutare i lettori – seppur in modo sintetico, come si conviene ad articoli di questo tipo – a riprendere in mano il Catechismo e a rileggerlo con la calma e l’attenzione dovute, affinché questo prezioso testo continui ad essere punto di riferimento dottrinale e alimento per la fede personale di ogni battezzato e della Chiesa intera.
*Don Mauro Gagliardi è Professore ordinario presso l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum”, Professore incaricato presso l’Università Europea di Roma, Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice e della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
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